lunedì 19 aprile 2021

COMPARAZIONE STORICO-FILOSOFICA TRA L’ATOMISMO E LE TEORIE QUANTISTICHE

COMPARAZIONE STORICO-FILOSOFICA 

TRA L’ATOMISMO DEL PERIODO CLASSICO 

E LE TEORIE QUANTISTICHE CONTEMPORANEE

a cura di Argeo Basevi Magi

-2019-


ABSTRACT

La filosofia classica, oggi erroneamente definita continentale, nella storia della cultura, si è riservata sempre un compito unificante, ossia, non voler essere un sapere particolare, ma un sapere generale del «filosofo in atto» («filosofo nella pratica» di Leopardi).

Non è una scienza specifica, ma una «metascienza» - intesa come una scienza della scienza, metodo dei metodi, e così via -. L’impegno del «filosofo in atto» si è articolato in varie fasi e per un periodo molto lungo; la sua universalità non si è disgiunta da una sensibilità scientifica più definita, ossia, verso una disciplina particolare: “E secondo queste osservazioni si conosce come il filosofo non sia filosofo nella vita e nelle azioni, s’egli non guarda se stesso e i fatti suoi come quelli degli altri, se egli non gli osserva dall’alto, come quelli degli altri, se insomma non si spoglia dell’abitudine naturale di escludere se stesso e i fatti suoi dalla dottrina generale degli uomini e dèi fatti del mondo. Se il filosofo non è «filosofo nella pratica», e se i suoi princìpi non corrispondono alle sue azioni, il che accade tutto giorno”.1

Del resto, la scienza e la tecnica ci hanno indicato i mezzi da usare, invece la filosofia ci avrebbe dovuto indicare il modo migliore di usarli. Infatti, Aristotele era un naturalista, Cartesio raccomandava al «filosofo in atto» l’esercizio delle scienze naturali e della matematica, consigliando però di dedicare alla filosofia solo una parte limitata del proprio tempo. In questo senso, il filosofo era considerato e declassato piuttosto ad un «teoretico», denominazione che oggi avrebbe molti aspetti vantaggiosi, data l’usura dei termini, e del termine «filosofia» in particolare.

Quindi, anche quando la filosofia si è progressivamente distaccata dalle scienze naturali - non proprio recentemente, infatti, gli ultimi cultori di una vera e propria filosofia naturale e ambientalistica in senso ristretto sono stati i cosiddetti presocratici: Eraclito, Anassimandro, Anassagora, Democrito, Lucanus, e anche Socrate, Platone e Aristotele per certi casi - , ha mantenuto qualche aspetto concreto: ha svolto un’analisi e critica dei metodi delle prime attività empiriche, e ha promosso l’emancipazione dalle strutture mitiche.

Poi, sulla pericolosa via della generalizzazione filosofica, il filosofo è diventato, forse, uno specialista della non-specializzazione, ossia, il contraddittorio dello specialista: “Quindi si veda quanto sia difficile a trovare un vero e perfetto filosofo”.2

È forse l’unico cosiddetto ricercatore-specialista che abbia respinto ogni definito contenuto limitativo, abbracciandoli tutti. Fino a che quest’atteggiamento rappresentava l’aspirazione di superare i limiti della propria disciplina filosofica, era ben giustificato. Ma l’attuale specialista della non-specializzazione - oggi il filosofo è diventato proprio questo, quando non tenda semplicemente a far lievitare una singola disciplina fino a estenderla al tutto per ogni circostanza: bio-etica, sociologia, linguistica, ermeneutica, logica[...] - è fondamentalmente separato dalla Scienza della natura, e non si nutre della ricerca sperimentale: tanto che spesso per mancanza di uno specifico campo disciplinato, ripiega sulla storia. Pertanto, non è filosofo, ma è diventato cultore di storia della filosofia, è l’esperto delle affinità e delle dissidenze culturali.

È irrimediabilmente volto al passato, ma quale passato? Analizzandolo bene, anche quando il filosofo coltivava interessi naturali, non erano le cose naturali il suo vero oggetto-obiettivo.

L’oggetto della filosofia non era il mondo, piuttosto ciò che stava dietro le cose, di cui esse sono l’apparenza. L’esigenza di una teorizzazione a largo raggio si fece sentire fin da principio - con Platone per l’Occidente, ancor prima in altri contesti a più forte coloritura mitica - come connessione tra l’immaterialità del pensiero e qualcosa d’altro, ugualmente immateriale, dietro o dentro alle cose, attraverso cui queste divenissero comprensibili.

È forse l’unico cosiddetto ricercatore-specialista che abbia respinto ogni definito contenuto limitativo, abbracciandoli tutti. Fino a che quest’atteggiamento rappresentava l’aspirazione di superare i limiti della propria disciplina filosofica, esso era ben giustificato.

Il filosofo cosiddetto specializzato ha sempre pensato - e continua anche oggi, in correnti di pensiero corpose e ufficiali - che sia possibile una sfera conoscitiva che prescinda dall’osservare il mondo esterno. La filosofia classica è appunto quella disciplina che non tanto va oltre gli oggetti visibili - tutta la scienza moderna tenta di andare oltre gli oggetti visibili, invece -, quanto prescinda dagli oggetti. Tale atteggiamento si è fatto più radicale, poiché il filosofo analitico prescinde anche da se stesso concepito come oggetto-soggetto di studio.

Il suo «Io», inteso l’«Io» dell’essere umano in generale, non è quello esaminato dallo studioso inteso come antropologo, psicologo, sociologo, anche biologo.

C’è una via molto più breve, che gli permette di guadagnare tempo e fatica: consiste nel chiudere gli occhi fisici che si volgono all’esterno, mediante le varie scienze naturali, e nell’aprirne altri che si volgono all’interiorità, mediante quella che viene oggi comunemente definita meditazione.

Non attraverso la ragione, che è per definizione un chiudere gli occhi fisici - nel fare operazioni interne senza distrazione alcuna -, maneggiando in tal modo la realtà.

No! Qui la realtà proprio non c’è, se non quella dell’«Io» intransitivo che interroga se stesso, e fonda tutto su questo soliloquio meditativo.

Si è delineata una modalità tutta diversa di conoscenza, una cosiddetta conoscenza-assimilazione, senza mediazione di linguaggi o di tecniche conoscitive, che si può chiamare anche intuizione o in qualche altro modo, oppure, un uso di categorie razionali applicate per analogia a un campo non naturale e non empirico. Ciò è stato teorizzato in formulazioni precise da quando una certa necessità di coerenza lo ha imposto. Descartes parla d’idee chiare e distinte, nel senso appunto di fatti mentali che non abbiano bisogno né di prove, né di mediazioni linguistiche, né di apparati tecnici di collegamento ad altre idee.

E. Husserl - secondo alcuni il Cartesio moderno - parla di necessità - non solo possibilità - di mettere tra parentesi il mondo - epoché - per evidenziare situazioni interne di tal natura, e lui fa questo con ambizioni più forti, ossia, fondare una vera e propria scienza di questo «Io» che ha chiuso i suoi occhi interiori e che si è messo in comunicazione con la realtà mediante tale filo diretto, prescindendo dal tortuoso cammino della mediazione, della dimostrazione, degli apparati tecnico-biologici della mente. La ricerca del «filosofo in atto» è infatti destinata a «fondare» la conoscenza, cioè a trovare un principio incontrovertibile - il cogito ergo sum cartesiano, o la epoché husserliana - , dal quale poi si possono ricavare tutte le conoscenze particolari: quindi, un fondamento filosofico che si sia sottratto ai paradossi e alle contraddizioni sempre filosofiche.

Con ostinazione il «filosofo in atto» si allontana da ogni critica, superando così qualsiasi obiezione a proposito dell’illusorietà dell’esistenza e della relatività del pensiero.

Il punto è divenuto proprio questo: esiste allora una conoscenza interiore? Ma non classificata come vitalità interiore. Allora, occorre credere anche ad una vita interiore? Si deve intendere di conoscenza interiore, cioè di una forma di conoscenza che proceda direttamente verso l’interiorità, senza utilizzare dati, strutture e canali categoriali : circuiti, linguaggi, rappresentazioni di cose e di persone, operazioni di rapporto tra cose, memorie di fatti, ecc. ecc.; una conoscenza intransitiva, che presupponga l’eliminazione dell’esteriorità come apparenza, ossia come elemento di disturbo, e sia rivolta all’evidenza spontanea di qualcosa di certo. Una conoscenza indipendente da organi e da tecniche, cioè da quest’apparato natural-burocratico con cui ha a che fare il ricercatore moderno del significato, e che non è ben apprezzato dal «filosofo in atto», perché considerato non plausibile.

Dal momento che la conoscenza della Natura ha acquisito le sue specifiche tecniche e operazioni, la conoscenza del «filosofo in atto» è allora radicalmente cambiata, ossia, «altra filosofia», qualitativamente diversa, e la diversità si presenta subito come opposizione dialettica di un altro modo di vedere le cose, per un altro modello umano. Da questa situazione nasce un’altra radicale opzione di partenza: che non esista una conoscenza interiore.

Non c’è dimostrazione né giustificazione a tale pretesa, non c’è traccia di tale conoscenza diretta e introspettiva nella storia naturale e culturale, né vi sarebbe una prova in forza della sua intransitività come esperienza incomunicabile, anche se ci fosse. Quanto sta sotto questo nome di conoscenza interiore è una costruzione intellettuale che si serve dei normali mezzi di produzione e comunicazione del pensiero - ad esempio la spettacolarizzazione -, con la sola eventuale variante di essere, più delle costruzioni abituali, intrisa di un desiderio egoistico: desiderio di onnipotenza, desiderio di possedere la chiave universale che apre tutte le porte, di essere onniscienti, di valicare i limiti imposti dalla natura.

Desiderio divenuto legittimo, proprio interno alla nostra costituzione fisiologica, ma che purtroppo non dimostra l’esistenza di qualcosa che oggettivamente gli corrisponda.

La conoscenza è ed è stata sempre una funzione naturale dell’uomo, ed esiste solo in quanto si è immersa nelle cose. Così la conoscenza ambientale, che lavora solo in relazione alle cose naturali.

Ha il carattere categoriale e strumentale che le ha assegnato la storia cosiddetta evolutiva, nella quale la selezione è avvenuta su quanto realmente già esisteva.

La conoscenza naturale ambientalistica è sempre stata mediata tra un’incorporazione diretta del suo stato e un’assimilazione della realtà della Natura matrigna, come riscontro degli effetti delle cose su altre cose, ossia, gli organismi umani: “[…]Detta per questo fu degli déi la gran madre, e delle fiere la madre, e della nostra progenie la genitrice sola”.3

La combinazione fra densità demografica e consumo delle risorse non rinnovabili prospetta uno scenario apocalittico per la fine del XX secolo e l’inizio del XXI.

Quello che sembrava in fieri come l’incubo dell’Anno Mille fu la fine del mondo; l’incubo del XXI secolo potrebbe divenire il breakdown ecologico.

Nei cosiddetti Paesi poveri l’esplosione demografica potrebbe provocare nuove versioni della teoria hitleriana dello spazio vitale come jus ad bellum. In situazioni geografiche insulari potrebbe - come già avviene nelle Filippine - alimentare la guerriglia interna.

L’incubo del collasso ecologico viene non soltanto dal boom delle nascite nei Paesi poveri, ma anche dal boom dei consumi nei Paesi ricchi. L’Occidente ospita anch’esso i suoi cavalieri dell’Apocalisse: inquinamenti, effetto serra e corrosione dello schermo di ozono.

H. Jonas scriveva (1977): “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita”.4

J. G. Fichte - 1796 - scriveva: “Agisci in modo da poter concepire la massima della tua volontà come una legge per te eterna”.5

Credo che la comparazione teleologica di questi due significati morali stia nella responsabilità etica che entrambi i due filosofi hanno voluto sottolineare, seppur in epoche diverse. È la dimostrazione che l’etica nella sua esegesi è sempre stata ed è senza tempo.

Comunque, a differenza delle categorie politiche convenzionali, l’ecologia6 deriva il suo nome dalle scienze naturali anziché dalle scienze sociali.

Il suo fondamento è nella biologia olistica, che esalta il legame dell’essere umano con la Natura, l’interdipendenza della vita umana con le condizioni del suolo, dell’aria, dell’acqua e del cibo, e anche la propensione verso comportamenti individuali spontanei, non sofisticati e appunto «naturali». Ma l’ecologismo ha guadagnato una forza politica consistente soltanto quando, agli inizi degli anni ‘70, ha realizzato la fusione fra la biologia olistica e l’economia delle risorse esauribili.

Con le campagne contro gli inquinamenti e per la conservazione delle risorse non rinnovabili, l’ecologismo ha anche modificato molti dei suoi connotati originari, e si è portato su collocazioni politiche di sinistra, associandosi in molti casi con tematiche pacifiste, femministe ed egualitarie.

Lo sviluppo più clamoroso fu, come è noto, il fenomeno dei Verdi scaturito dalle contestazioni studentesche del ‘68 in Germania. Oggi in tutti i Paesi europei partiti e movimenti verdi riscuotono fino al 10% e oltre dei voti, e nel nuovo Parlamento europeo ci sono più ecologisti che comunisti.

Anche per merito dell’ecologismo contestativo, l’interdipendenza fra essere umano e ambiente, il rapporto fra equilibrio dell’ecosistema e qualità anche morale della vita, la considerazione dei beni che non possono essere negoziati sul mercato, in quanto rappresentano interessi diffusi, sono princìpi oggi politicamente sostenuti e attivi. La conciliazione fra ecologia e sviluppo qualche passo avanti l’ha già fatto, e forse necessita di trovare anch’essa uno storico di riferimento.

Purtroppo oggi non ci sono idee chiare e distinte per sé, ma idee che divengono chiare e distinte in un processo linguistico e in un sistema di funzioni logiche implausibili.

Quando crediamo oggi di possedere la sensazione di chiarezza e immediatezza, in realtà sfruttiamo al massimo la strumentalità e la falsità dei collegamenti mediatici, ed è proprio allora che la nostra macchina sembra funzionare bene e senza intoppi, tanto che il meccanismo mediatico ci dia l’illusione di un’appropriazione diretta di ciò che conosciamo.

L’essere umano è divenuto un meccanismo assimilato, inserito nei linguaggi, negli altri, nella natura scientifica. Quanto è umano è giustificato da questo metabolismo del significato che ha costruito relazioni e riferimenti in esso, in rimandi quasi senza fine, in una cosiddetta complessità d’inferenze e traduzioni da lasciare storditi.

Seppur ci troviamo in una conoscenza naturale privilegiata rispetto al mondo animale, non possiamo possedere quanto conosciamo; infatti, la realtà sembra collocata dove la vediamo o ce la fanno vedere; ma per conoscere, come prima condizione dobbiamo anzi respingere il desiderio e il concetto stesso del possesso e del dominio sulla Natura matrigna. La sensibilità ecologica esprime valori che concernono il senso del solidale e dell’unitario. L’ambientalismo è solidale perché gli anni Ottanta sono stati il decennio dell’«Io» egotico e gli anni Novanta dovrebbero essere stati il decennio del «Noi»?7 Ma è stato proprio così? Non sembra.

Perché, come nel romanzo di Richard Mason, «il vento non sa leggere»8: gli elementi naturali non leggono i cartelli di confine e non si fermano alla dogana.

Noi esseri umani qui ora siamo non i padroni, ma i custodi delle ricchezze del mondo che abitiamo. Abbiamo la responsabilità della conservazione di ciò che abbiamo a favore di coloro che ci seguiranno.

Oggi mi sforzo di vivere secondo questa regola, ma nel corso dei miei viaggi sono spesso rimasto colpito dalla frequenza con cui gli adulti non tengono alcun conto delle generazioni future.

Assistiamo in tutto il mondo allo spettacolo di genitori che sembrano curarsi ben poco del pianeta che i loro figli dovranno un giorno ereditare.

Paradossalmente, il cosiddetto progresso tecnico-scientifico degli ultimi cinquant’anni ha reso possibile lo studio dei fenomeni di alterazione ambientale e della sempre maggiore situazione di degrado imposta alla Natura.

Naturalmente una buona conoscenza degli esseri viventi, così come quella delle condizioni chimico-fisiche del loro ambiente, è importante, se non indispensabile, per l’apprendimento dei concetti ecologici, concetti assimilabili solo con l’insegnamento pratico e in laboratorio.

In questi ultimi tempi sono state introdotte nella scuola sia primaria sia secondaria buone nozioni di ecologia come parte integrativa dei programmi di biologia; questo però non è risultato ancora sufficiente a garantire una buona conoscenza della materia, occorre anche una conoscenza pratica sul terreno che permetta una più tecnica e precisa educazione su come rispettare la Natura e l’ambiente prodotto da essa in cui ogni essere è destinato a vivere e sopravvivere.

In breve l’ecologia, in quanto studio e ricerca onnicomprensiva di azioni, moti e reazioni attraverso cui si realizza la vita di tutti gli esseri umani e non, non è soltanto affascinante, ma è anche e soprattutto indagine che ci permette di capire, entro limiti ben precisi, alcune caratteristiche del misterioso viaggio dell’esistenza del regno animale e vegetale sulla Terra che abitiamo.

Come tutte le discipline anche l’ecologia ha avuto il suo percorso storico, talvolta involuto altre volte evoluto e a tal proposito basta ricordare le opere di Ippocrate, di Aristotele e di altri filosofi del passato citati nei prossimi paragrafi, soprattutto greci, di chiaro contenuto ecologico, senza però che da esse scaturisse un trattato dedicato ad una scienza della Natura.

Nella nostra primitiva vita sociale ogni individuo aveva imparato a conoscere molto bene attraverso la sua esperienza quotidiana, per sopravvivere, l’ambiente in cui agiva quotidianamente vale a dire che doveva conoscere dove trovare gli animali da cacciare, le piante per i vari usi e i ripari più idonei per difendersi dai nemici: le forze della natura erano spesso ostili alla sua vita.

Questa situazione vigeva, generalizzata, nel primo periodo di organizzazione sociale, ma cambiò radicalmente nel momento in cui l’uomo primitivo cominciò a manomettere la natura e a fabbricare i primi strumenti con l’ausilio del fuoco.

Successivamente, l’incremento demografico e la capacità umana di intervenire sull’ambiente circostante fecero nascere i primi squilibri, peggiorati col trascorrere dei secoli, fino ad arrivare all’attuale situazione di «rottura» dell’equilibrio ambientale.

Inconsapevolmente l’uomo ha dovuto interessarsi di ecologia sin dall’inizio della sua storia questo interesse è documentato infatti dalle sue manifestazioni pittoriche - pitture rupestri -.

Esse sono il primo esempio di trasmissione di informazioni e dati necessarie all’uso corretto di piante medicinali, che talvolta potevano risultare anche velenose e di animali che convivevano con gli esseri umani primitivi.

Più che forme artistiche erano vere e proprie forme primitive di trasmissione di dati informativi per le generazioni future9. Quindi, sono stati più sapienti di noi? Direi proprio di sì!

Karl R. Popper in un saggio su Parmenide del 1998, scrive: “Il problema dell’interpretazione del poema di Parmenide, per il quale avanzo qui una soluzione congetturale, è il seguente: perché, dopo averci spiegato come è in verità il mondo reale e dopo averci ammonito severamente dall’essere ingannati dalle opinioni umane sulle apparenze, Parmenide (o la dea) si dilunga a descrivere dettagliatamente: come è in apparenza?[…]Pertanto questa concezione di Parmenide non deve sorprendere. Ciò che invece sorprende in Parmenide è la sua idea che la conoscenza divina della realtà è razionale e quindi veritiera, mentre l’opinione umana dell’apparenza è basata sui nostri sensi, i quali non sono solo inaffidabili, ma anche totalmente ingannevoli[…]Tuttavia, i suoi maggiori successori e oppositori sono chiaramente Leucippo e Democrito, i fondatori dell’atomismo, che capovolsero l’elenchus per fornire una confutazione empirica della sua cosmologia: c’è il movimento. Quindi: il mondo non è pieno. C’è lo spazio vuoto. Il nulla, il vuoto, esiste. Quindi: il mondo consiste dell’esistente, dell’impenetrabile e pieno, e del vuoto: degli «atomi e del vuoto».10

Popper, seppur ritenesse la teoria di Parmenide assurda empiricamente, ne riconosce la validità e eredità riflessiva, tanto che potrebbe essere commisurata alle teorie anticipatrici della Relatività Ristretta - RR - e quantistica, visto il periodo e i mezzi di cui disponevano questi geni del periodo classico. La presenza di una teoria, apparentemente assurda, come quella di Parmenide, che può essere rifiutata, modificata e rivalutata, fu di utilità incommensurabile.

Infatti, non esiste altra euristica. Anche oggi ci avviciniamo alle cose e circostanze da conoscere - anche alle persone da conoscere, intellettualmente ed emotivamente - con cautela, muniti o prevenuti di tutte le tecniche adatte per fare entrare tali cose e persone nel giro della nostra comprensione, che è divenuta principalmente linguistica, anche se, reciprocamente, è ancora sentimentale e affettiva.

Il pensiero odierno come conoscenza diretta - non quella del filosofo che cerca la fondazione di tutto in un atto iniziale e vergine, alla maniera di Edmund Husserl [1859-1938] quella biblica - è in realtà un pensiero scomposto, e quindi non pensiero ma comportamento istintuale, perché la conoscenza del mondo circostante concepita come reazione bio-psicologica è nella fase della nostra umanizzazione di assimilazione diretta, di possesso, basata sulla distruzione naturale e ambientalistica di ciò che viene posseduto, che è metabolizzato ed entra a far parte o a conoscenza della nostra umanizzazione.


DEMOCRITO E IL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ RISTRETTA

Democrito, e mi spiace confutare l’interpretazione precedente di Popper, anticipa più di un secolo prima, la riflessione di Aristotele nella sua Fisica: “Ancora, se l’essere contemporaneamente e il non essere né prima né dopo significasse il trovarsi in uno stesso (singolo) «ora» e se tanto l’antecedente quanto il successivo fossero in questo «ora», risulterebbe che ciò che avverrà oppure ciò che è avvenuto diecimila anni fa è avvenuto contemporaneamente all’oggi”.11

In una riflessione analoga si colloca l’antiperistasi - spazio-tempo-spazio - aristotelica e platonica, che si potrebbe interpretare anche in termini di contrazione dell’universo, ossia: “Mentre l’«ora», ossia il non essere né prima né dopo, significa esser nel medesimo tempo e nell’istante, se si ammettesse la coincidenza di ciò che è prima e di ciò che è poi nello stesso istante, allora indubbiamente gli avvenimenti accaduti diecimila anni fa sarebbero simultanee con quelli odierni, e nessuna cosa sarebbe né prima né dopo in relazione ad un’altra”.12

La speciale intuizione di Democrito nel valutare «la natura del moto e del tempo»13 anticipa le riflessioni sulle teorie dei quanta che si svilupperanno ben 2500 anni dopo: “Conseguentemente, se uno vede contemporaneamente numerose - particelle -, le vede come un unico - oggetto -, perché non è percepibile il singolo effluvio che proviene da ciascuna di esse e che penetra negli occhi. Perciò sembra essere unico l’effluvio che si produce in una sola volta e che proviene da un unico oggetto visibile[…]essi risponderebbero che proprio questo frequente fluire e passare delle immagini costituisce la causa del fatto che molte immagini, accumulandosi e quasi condensandosi, paiono essere una sola”.14

Ma non solo, anche l’idea di fenomeno ed epifenomeno kantiani, ossia la sovrapposizione di fenomeni visivi che possono oggi essere comparati ai fotoni e al loro propagarsi in quello che è stato definito etere, ma che al tempo di Democrito e Ocellus Lucanus veniva classificato o intuito come vuoto.

Democrito colloca un oggetto D in un tempo A come bianco e in un tempo B un oggetto non bianco, con un intervallo intermedio G di bianco e non bianco; è la medesima disposizione del sillogismo che Aristotele riprenderà un secolo dopo. Con il termine minore, il termine maggiore e quello intermedio.

Seppur rispettando le capacità intellettive di Aristotele, va presa in considerazione la sua capacità interpretativa ed ermeneutica del pensiero dei suoi predecessori dei quali ha saputo completarne il messaggio sebbene sviluppando una riflessione teoretica efficace e personalizzata.

L’intuizione di Democrito apre la comprensione della percezione visiva degli esseri umani che da scomposta e multimmagine diventa un’immagine sola.

In effetti così è stata percepita all’interno della teoria quantistica la funzione dei fotoni e delle loro peculiarità nel trasmettere fino a noi la luce e il calore del sole.

Oggi è più facile e plausibile sorridere di queste considerazioni retrodatate, poiché in quello che noi chiamiamo progresso abbiamo inserito tutte le conoscenze e il sapere che la scienza ci ha svelato ma che sono pervenute, nostro malgrado, da grandi pensatori del periodo classico, ma che hanno avuto bisogno dell’intelletto e intuizione umane per concretizzarsi in teorie scientifiche empiricamente dimostrabili e dimostrate.

Infatti, Einstein nella sua RR fa l’esempio di un treno - oggetto D di Democrito - che viaggia alla velocità «v» e un passeggero che cammina sul treno in direzione di marcia alla velocità «w» mentre agli estremi dei binari A e B si scaricano simultaneamente due fulmini: il bagliore del fulmine - il bianco A e il non bianco B di Democrito - s’incontrerà per primo in quale dei due punti?: “[...]Supponiamo che il vagone ferroviario, nostro vecchio amico, viaggi sulle rotaie con una velocità costante «v», e che una persona che cammini entro tale vagone nel senso della sua lunghezza e precisamente nella direzione di marcia con una velocità «w». Con quale rapidità o, in altre parole, con quale velocità «W» la persona avanza, relativamente alla banchina, durante il suo procedere? L’unica risposta possibile sembra risultare dalla seguente considerazione: se una persona restasse immobile, in un secondo essa avanzerebbe, relativamente alla banchina, di un intervallo «v» numericamente uguale alla velocità del vagone. In realtà però, come conseguenza del fatto che la persona cammina, essa percorre in quel secondo un intervallo suppletivo rispetto al vagone e quindi anche rispetto alla banchina, intervallo che numericamente è eguale alla velocità con la quale la persona cammina. In totale, percorre dunque, nel secondo preso in considerazione, l’intervallo W=v+w relativamente alla banchina[...]”.15

In tutta la nostra storia intellettuale, scienza e filosofia sono state intimamente associate. Sono nate insieme, nell’antica Grecia, e insieme sono fiorite durante la rivoluzione scientifica del Cinquecento e del Seicento che ha inaugurato la scienza e la filosofia moderna come le pratichiamo oggi.

L’assenza di una distinzione risulta chiara dal fatto che si chiamasse ancora filosofia naturale quella che oggi per noi è la Fisica, e che Newton intitolasse Philosophiae Naturalis Principia Mathematica quello che oggi è per noi un capolavoro di fisica matematica. Tuttavia la fisica matematica di Newton sembrava rompere decisamente con la filosofia meccanicista, poiché ritraeva l’interazione gravitazionale come un’azione a distanza immediata attraverso lo spazio vuoto.

Un’interazione che Democrito definì «forza della necessità»: “Non è necessario che avvenga solo l’accumularsi - degli atomi - né che nel vuoto si origini un vortice in cui può generarsi il mondo conformemente a quella che si chiama «forza della necessità» né che il mondo si accresca fino a quando si scontri con un altro mondo, come conferma qualcuno dei cosiddetti fisici”.16

Questa «forza della necessità» si può ricondurre a quella forza - esterna - alla quale i discepoli di Leucippo e di Democrito ritendevano che gli atomi fossero assoggettati17: “[…]Allorché diciamo che i colpi di fulmine A e B sono simultanei rispetto alla banchina, intendiamo: i raggi di luce provenienti dai punti A e B dove cade il fulmine si incontrano l’uno con l’altro nel punto medio M dell’intervallo A÷B della banchina. Ma gli eventi A e B corrispondono anche alle posizioni A e B sul treno. Sia M' il punto medio dell’intervallo A÷B sul treno in moto. Proprio quando si verificano i bagliori (giudicato dalla banchina) del fulmine, questo punto Mꞌ coincide naturalmente con il punto M, ma esso si muove verso la destra del diagramma con la velocità v del treno. Se un osservatore seduto in treno nella posizione M' non possedesse questa velocità, allora egli rimarrebbe permanentemente in M e i raggi di luce emessi dai bagliori del fulmine A e B lo raggiungerebbero simultaneamente, vale a dire s’incontrerebbero proprio dove egli è situato. Tuttavia nella realtà (considerata con riferimento alla banchina ferroviaria), egli si muove rapidamente verso il raggio di luce che proviene da B, mentre corre avanti al raggio di luce che proviene da A. Pertanto l’osservatore vedrà il raggio di luce emesso da B prima di vedere quello emesso da A. Gli osservatori che assumono il treno come loro corpo di riferimento debbono perciò giungere a conclusione che il lampo di luce B ha avuto luogo prima del lampo di luce A. Perveniamo pertanto al seguente importante risultato: Gli eventi che sono simultanei rispetto alla banchina non sono simultanei rispetto al treno e viceversa (relatività simultanea). Ogni corpo di riferimento (sistema di coordinate) ha il suo proprio tempo particolare; un’attribuzione di tempo è fornita di significato solo quando ci venga detto a quale corpo di riferimento tale attribuzione si riferisce. Orbene prima dell’avvento della teoria della Relatività, nella fisica si era sempre tacitamente ammesso che le attribuzioni di tempo avessero un significato assoluto, cioè fossero indipendenti dallo stato di moto del corpo di riferimento. Abbiamo però visto or ora che tale ipotesi risulta incompatibile con la più naturale definizione di simultaneità[...]”.18

Le opere di Aristotele pervenuteci, che sono la raccolta del materiale preparato per le sue lezioni e non per la pubblicazione, sono formate di parti nate in tempi diversi e rispecchianti interessi diversi. Le differenti opinioni e le contraddizioni che si riscontrano nell’ambito di non poche opere e addirittura nell’ambito delle maggiori - a cominciare dalla Metafisica - si spiegherebbero proprio in funzione dell’idea d’evoluzione di Aristotele e dei connessi mutamenti di tale prospettiva.

Ciononostante, fra la posizione di Platone e quella di Aristotele c’è una differenza essenziale, che capovolge il nesso fra «opere pubblicate» e «lezioni tenute all’interno dell’accademia»: ciò che dà senso coerente e compiuto alle opere pubblicate da Platone è ciò che egli non ha reso pubblico se non nella dimensione della pura oralità dialettica - e che noi conosciamo attraverso la tradizione indiretta, ossia attraverso le testimonianze dei discepoli -; invece ciò che dà senso completo alle opere «non pubblicate» di Aristotele e composte da lui per i suoi corsi - le uniche che ci sono pervenute - sono quelle «pubblicate».

Probabilmente la teoria atomistica del vuoto sembra essere somigliante alla teoria spaziale di Galilei e di Newton, mentre l’horror vacui aristotelico sembra avere una comunanza con la teoria del «campo» di Einstein: “[…]I risultati di tutti questi fatti ed esperimenti, fuorché di uno, l’esperimento di Michelson e Morley, furono spiegati da H. A. Lorentz in base all’ipotesi che l’etere non partecipi del moto dei corpi ponderabili, e che le parti dell’etere non posseggano alcun moto relativo le una rispetto alle altre. L’etere appariva quindi, per così dire, come la personificazione di uno spazio assoluto. L’indagine di Lorentz fece ancora di più. Essa spiegò tutti i processi elettromagnetici e ottici all’interno dei corpi ponderabili allora conosciuti, in base all’ipotesi che l’influenza della materia ponderabile sul campo elettrico - e inversamente - fosse dovuta unicamente al fatto che le particelle costitutive della materia trasportano cariche elettriche, le quali partecipano al moto delle particelle. Riguardo all’esperimento di Michelson e Morley, H. A. Lorentz mostrò che il risultato ottenuto per lo meno non contraddice la teoria di un etere in quiete[…]”.19

La caratteristica della scienza moderna sembra definita dalla transizione dalla fisica di Newton a quella di Einstein, per esempio in cui un quadro o paradigma omnicomprensivo sia stato scalzato da un altro, radicalmente diverso. Invece, come ci ha dimostrato lo studio della storia dei classici essa è un continuus di idee e concetti che sono stati indicati e che sono state interpretate e non cambiate dai nostri scienziati, poiché le leggi della Natura che ci hanno accompagnati sono rimaste invariate nelle loro forme, ciò che è cambiato è la capacità ermeneutica degli esseri umani e quella della loro insipienza nella gestione etica delle risorse naturali.

Senza dubbio il messaggio che ci proviene dai classici come Lucanus, Democrito, Lucrezio, Aristotele, Platone, Socrate, per citare i più importanti e conosciuti, è quello di un rispetto antropo-genetico verso la Natura matrigna, i quali consideravano l’istante - l’«ora» - vissuto come un sillogismo tra un passato e un futuro: “[…]e che esistano i tempi futuro e passato senza che esista il presente e che esistano il «testé» e lo «stare per» senza che esista assolutamente l’«ora»”.20

Dunque, gli Atomisti Antichi costituiscono uno dei punti-chiave nella storia spirituale dell’Occidente, sia a livello filosofico sia a livello scientifico.

Nasceva così il concetto di «atomi» - indivisibili -, tutti uguali nell’essere, ciascuno, unità-immutabili, differenziantisi fra di loro per figura geometrica, ordine e posizione.

Gli «atomi» sono materiali, e quindi un «pieno», che di necessità richiede il ruolo di un «vuoto», il quale rispetto a essi è un «non-essere», ma che è la condizione che permette il loro di essere-molti e di restare in movimento.

Sempre secondo gli atomisti, originariamente gli «atomi» si muovevano, volteggiando in tutte le direzioni, in modo analogo al pulviscolo atmosferico che si vede appunto volteggiare mediante i raggi di sole che filtrano dalle finestre.

Nasce, quindi, un movimento vorticoso, in cui vari «atomi» si aggregano fra di loro: i simili si uniscono con i simili, i più pesanti si portano verso il centro, i più leggeri verso l’esterno, e nasce così il mondo e le cose del mondo.

Ed entra in gioco il ruolo del sole non solo come fonte vitale, ma come stella lucente e palpitante di energia.21 Per gli Atomisti nulla avviene e nulla è pensabile razionalmente senza una causa.

Allora, come tutte le altre cose, anche il corpo umano è formato da un incontro di «atomi». Infatti, se analizzassimo una parte minuscola del sole scopriremo che l’elemento più abbondante è l’idrogeno, seguito dall’elio, dall’ossigeno, dal carbonio e dall’azoto. Se analizziamo, invece, un campione di pelle umana troveremo che: le percentuali dell’idrogeno, dell’ossigeno, del carbonio e dell’azoto sono paradossalmente simili a quelle del Sole. L’ossimoro - nel nostro sistema, visto che non ne conosciamo altri - in questa miscela di elementi sono proprio i pianeti solidi che, del resto, rappresentano meno dell’uno per cento della massa totale: “Nella natura delle cose si deve ricercare (la risposta a) due (questioni): quale sia, prima di tutto, la materia costitutiva di ciascuna (cosa), e poi quale sia quella forza da cui è costituita ciascuna (cosa)”.22

I composti che derivano dalle varie combinazioni di questi elementi sono innumerevoli e, con alcuni di loro, gli esseri umani hanno perfezionato una grande familiarità in quanto sono alla base della nostra sopravvivenza: l’acqua e l’anidride carbonica. Non è un caso che le forme biologiche sviluppatesi nel sistema solare abbiano tutte come denominatore comune il carbonio, l’idrogeno e l’ossigeno, gli elementi, cioè, più comuni in ogni zona del sistema. Naturalmente molti elementi influenzano le possibilità di sopravvivenza dei composti del carbonio e dell’acqua.

Tra questi sono estremamente importanti la temperatura ambientale, ovvero la distanza dal Sole, e l’attrazione di gravità, cioè la massa del corpo.

Se la temperatura fosse troppo alta l’acqua si trasformerà in vapore che, una volta raggiunti gli alti strati atmosferici, verrà dissociato nuovamente dalla radiazione solare nei suoi componenti iniziali.

Nell’ipotesi che l’energia ceduta dalla radiazione agli «atomi» prodotti dalla dissociazione dell’acqua sia tale da permetter loro di sfuggire all’attrazione gravitazionale del corpo celeste da cui sono stati degassati, quest’ultimo verrà depauperato in breve tempo sia dell’idrogeno che dell’ossigeno. Ruolo molto simile avranno i composti gassosi del carbonio che, però, essendo più pesante, dopo la foto-dissociazione sedimenterà nuovamente al suolo combinandosi con i minerali presenti al suo interno.

Ciononostante, per Aristotele il vuoto non esisteva poiché lo spazio era comunque come il luogo - topos, termine proprio del lessico degli atomisti - occupato da un corpo. Il concetto di vuoto, a questo punto, sembrerebbe contradditorio perché in esso teoricamente un corpo non saprebbe come e dove muoversi, non esistendo alcuna distinzione fra alto e basso o fra un luogo e un altro.

Così per l’antiperistasi di Ocellus Lucanus, appunto, l’aria che spinge un proietto, se, invece, esistesse il vuoto non esisterebbe e, quindi, non si giustificherebbe il moto di un proietto.


EVOLUZIONISMO E INVOLUZIONISMO DI OCCELLUS LUCANUS

«Esistiamo per merito di un difetto o di un errore» Sembrerebbe proprio un’idea plausibile, da quando, alla fine degli Anni Venti, Paul Dirac ipotizzò per primo l’esistenza dell’antimateria, e poi quando si scoprì e dimostrò che materia e antimateria, incontrandosi, si annichilano; è uno dei problemi che i fisici hanno continuato a porsi indagando alla radice le ragioni dell’esistenza dell’universo e quindi anche di noi stessi: “Se l’universo viene ad essere dissolto, è necessario ch’esso sia dissolto in ciò che è o in ciò che non è; è impossibile ch’esso sia dissolto in ciò che è dappoicché ciò che è, è l’Universo stesso, o, almeno una certa parte dell’Universo; esso d’altra parte non può essere dissolto in ciò che non è poiché ciò è parimenti impossibile, che ciò che è composto di parti inesistenti: che ciò che esiste sia dissolto in ciò che non esiste. Dunque l’Universo è indistruttibile e imperituro”.23

Se per «materia» intendessimo «ciò che è» e per antimateria «ciò che non è», nel breve trattato dei principi di φιλοσοφία speculativa e iniziatica sulla natura del Mondo - l’Universo di Lucanus italico - si troverebbe il germe di tutta la dottrina fondamentale di induzione sulla creazione e l’esistenza dell’Universo eterno e sulla materia incorporea di un Ente intelligente primigenio, del quale tanto polemizzarono i filosofi iniziati; probabilmente, in esso si troverebbero le basi di molte teorie che sembrano moderne, come quelle di evoluzionismo e di involuzionismo e sulla immutabilità dell’ordine Universale di Occellus Lucanus.

Non esiste infatti nessuna ragione perché all’inizio di tutte le cose, nei primi istanti successivi al big bang, «materia» e «antimateria» esistessero in quantità diverse.

Dunque l’esplosione originaria avrebbe dovuto produrre così una quantità enorme di particelle, ma anche una probabilità altissima che particelle e antiparticelle si incontrassero e annullassero a vicenda. Probabilmente, sarebbero così rimaste in attività quelle poche particelle e antiparticelle che il caso - chaos - avesse deciso di non far incontrare.

Ognuna di esse - se guardassimo questa storia con la visuale dell’unico modo di manifestarsi del reale in quegli istanti, ossia, quello della particella - vivrebbe con l’incubo di incontrare prima o poi la propria antiparticella, per suicidarsi reciprocamente.

Forse potrebbe sembrare un paradosso, ma nell’immaginazione dell’homo matematicus, sempre alla ricerca di equazioni semplici ed eleganti e soprattutto sempre spinto da quel grande bisogno di simmetrie che aveva portato Dirac a postulare l’esistenza, accanto a ogni particella, della sua antiparticella, identica in tutto, ma di carica elettrica opposta.

In realtà non si tratta solo di un bisogno soggettivo di perfezione nella formalizzazione della descrizione matematica della natura.

L’«antimateria» c’è, poiché è stato osservato sperimentalmente che l’elettrone ha il suo positrone, che il protone ha il suo antiprotone.

Ma l’«antimateria» non va considerata come il «nulla», ma l’opposto alla sua definizione, come nel dualismo della dissociazione hegeliana, o dell’eros platonico, dove ogni cosa sussiste per il suo opposto o contrario, così come il tempo e il non tempo, i quali scorrono in direzioni opposte.

Già la nostra breve e ultima storia antropologica occidentale, cronologicamente si è vista determinare dalla soglia limite della nascita di Gesù una prospettiva decrescente spazio-tempo verso uno zero temporale, per iniziare la successiva a partire da essa e sommandola in successione di anni crescenti.

Per questo tale soglia è stata classificata e indicata come prima e dopo la nascita di Gesù. Due condizioni opposte che indicano simbolicamente la direzione temporale decrescente verso uno zero e la sua susseguente crescita da zero.

Un esempio per giustificare il processo di una decelerazione e la susseguente espansione dell’universo con il termine evoluzione - evoluzionismo cosmico - e l’inizio della sua accelerazione e susseguente contrazione con involuzione - involuzionismo cosmico -, quest’ultima in direzione opposta alla precedente.

In verità è per questo che abbiamo la sensazione di un’accelerazione cosmica, non perché l’universo stia ancora espandendosi, bensì in senso opposto, perché si starebbe contraendo su se medesimo: “Se l’universo dunque è ingenerato e corruttibile, esso deve per conseguenza cambiare dal meno al più e dal peggio al meglio; e così in seguito egli deve cambiare dal più al meno e dal meglio al peggio; è ancora necessario che il mondo [sempre nell’ipotesi ch’esso sia stato prodotto] prenda un accrescimento ed una più grande forza, ed infine egli deperirà e finirà; dappoicché tutta la natura PRODOTTA ha una progressione di tre termini e di due intervalli. I tre termini sono la generazione, la forza e la fine; gli intervalli sono quello dopo la nascita sino alla forza (big bang) e quello dopo la forza sino alla fine (big crunch)”.24

Il lettore di Considerazioni sull’Universo è, quindi, condotto per mano di Lucanus in un’antiperistasi evocativa nella quale si intravedono Talete e Platone, Galileo e Newton, Kant, Mach, Einstein, e tanti altri, ognuno con un suo aneddoto scientifico in mano da raccontare, curioso, stravagante, calmo, angosciante.

Non possiamo sapere quale opinione esprimerebbe oggi Lucanus a distanza di 2500 anni sui nostri risultati e riflessioni sull’astronomia; sicuramente ne sarebbe affascinato, come sarà stato appassionato nelle sue considerazioni sull’astronomia del suo tempo, ma non avrebbe certo condiviso l’uso di una scienza applicata e costata miliardi di dollari, e che alla fine ha mantenuto poco di ciò che aveva promesso, in una nuova e disastrosa disciplina: l’astrospreco.

Ma torneremo più avanti, alla comparazione tra la antiperistasi e quella di evoluzionismo e involuzionismo cosmici di Lucanus.

Come facciamo noi ad esistere, dunque, in questo cosmo simmetrico e nel contempo asimmetrico? Fortunatamente ogni teoria fisica della natura, comprese quelle ancora non compiute di grande unificazione delle quattro forze fondamentali, anche quella della «supersimmetria», prevede la possibilità del difetto, della rottura della simmetria in particolari condizioni.

Avvenne così, in quel primo miliardesimo di secondo della nascita dell’universo che conosciamo, che quel difetto, quella rottura di simmetrie perfette, permettesse la sopravvivenza di un protone su un miliardo, di un elettrone su un miliardo.

L’universo, che aveva così forse corso il rischio di essere vuoto, si popolava, invece, di galassie, stelle, pianeti: di vita e di esseri umani. La storia dei passi compiuti dalla ricerca scientifica per andare alla radice di questi problemi, è ricostruita nel numero di aprile 1996 di «Le Scienze» edizione italiana di «Scientific American», da Robert Adair, direttore associato dei programmi per la fisica nucleare e delle alte energie al Brookhaven National Laboratory. Adair fa nel suo articolo un largo uso di Alice, la creatura di Luis Carrol, e dei suoi famosi e fantastici specchi.

Così progressivamente, di fronte a ogni problema di simmetria, Adair si poneva e pone ancora oggi la domanda: “Può Alice, magari destatasi da un sogno di Carrol, dire se si trova nel mondo dello specchio o nel mondo reale?” Allora, Alice ci guida così per mano fra mesoni «K» e mesoni «p», tra forze micro-deboli e super-deboli, fra simmetrie di carica e di parità: sempre alla ricerca della «grande equazione».

Alvaro De Rujula, spagnolo, fisico teorico del CERN, il centro ginevrino di ricerca sulla fisica nucleare, rilasciava a La Thuile - nel corso dei Rencontres de Physique che si tenevano là ogni anno, sotto il Monte Bianco, organizzato da due fisici italiani, Giorgio Bellettini e Mario Greco, in collaborazione con l’assessorato alla Cultura della Valle d’Aosta - divagazioni sottili sui temi fondamentali della fisica, sui perché noti e su quelli ancora completamente privi di risposte: “Il nostro universo è fatto in modo molto buffo”.

Fra una sessione e l’altra, fra una relazione sui tentativi di scoprire una nuova particella chiamata «Top Quark», e una sulle nuove macchine acceleratrici che sarebbero sorte entro il 2000 in Europa - l’odierno LHC Large Hadrom Collider di Ginevra -, Unione Sovietica, Stati Uniti, egli dichiarava di quanto fosse buffo e incompreso, il nostro universo: “Per ogni particella di materia c’è un miliardo di particelle di luce. E praticamente non c’è niente antimateria. È un universo completamente asimmetrico, e per il fisico, al quale piace che le cose siano sempre molto perfette, simmetriche, tutto ciò è difficile da accettare. Un fisico non avrebbe mai fatto l’universo così. Non gli sarebbe mai venuto in mente di farlo così brutto. Allora, come hanno risolto questa situazione insostenibile per le loro menti matematiche? Fortunatamente esistono delle teorie secondo le quali l’universo nei primi istanti del big bang fosse perfettamente simmetrico alle sue origini. Poi, nel corso della sua evoluzione, siamo progressivamente arrivati alla situazione attuale, che ha la medesima probabilità di qualsiasi altra. È come quando c’è una bollicina in una tazza di tea e sale in una qualsiasi direzione, nonostante sia la tazza sia la bollicina siano perfettamente simmetriche. Insomma non ci sarebbe niente di strano se oggi fossimo fatti completamente di antimateria. Del resto il suo nome deriva soltanto dal nostro antropocentrismo, per cui chiamiamo materia ciò di cui siamo fatti e antimateria le altre particelle, dotate di carica opposta alle nostre. La prima persona che ha presentato una teoria ragionevole, capace di spiegare in questo modo l’attuale asimmetria dell’universo, è stato il fisico sovietico Andrej Dimitrovic Sacharov, che quindi non ha inventato solo la bomba H sovietica”.25

Ma il tema centrale del meeting di La Thuile era stato soprattutto un altro, anch’esso strettamente legato a questioni di simmetria, al cosiddetto problema del «Top Quark», una delle particelle fondamentali, l’unica non ancora osservata in nessun laboratorio, e quindi, perché questa particella dovrebbe necessariamente esistere, sebbene nessuno l’abbia mai rilevata?

Quindi, per quale motivo senza di essa i conti non tornano. Le particelle fondamentali sono, infatti, divise in due grandi gruppi: da una parte ci sono i leptoni, il più noto dei quali è l’elettrone e dall’altra i Quark, due dei quali sono i costituenti di protoni e neutroni, cioè dei nuclei atomici.

Poiché i leptoni rilevati sono 6, mentre i Quark sono 5, ecco presentarsi una scomoda e inusuale asimmetria. Si evince, che se si trovasse il «Top», ossia, il «Quark» mancante l’obbiettivo sarebbe raggiunto; ma è tutt’altro che facile, perché non se ne conosce la massa, e quindi, essendo massa ed energia equivalenti, dalle riflessioni di Einstein in poi, non si sa quanta energia serva per produrlo.

Esso è un enigma cui stanno lavorando i fisici sperimentali di tutto il mondo da molti anni: un obiettivo che non sarà neppure l’ultimo. Dopo il «Top» toccherà, infatti, alla cosiddetta particella di Higgs, un oggetto evanescente, di massa indeterminata, che la cosiddetta «teoria standard», quella che sta alla base della fisica dell’infinitamente piccolo, vuole raggiungere a tutti i costi, per far «quadrare il cerchio». E poi, oltre la particella di Higgs, ci sono altri grandi misteri e al primo posto il motivo della sussistenza di così tante particelle, dal momento che ne bastano 4 - elettrone, neutrino, Up Quark e Down Quark - per fare tutta la materia dell’universo, compreso l’essere umano. Ma qui, quando si comincia a chiedersi il motivo, è facile sconfinare oltre i limiti propri della scienza, oppure, forse, si tornerebbe proprio alla radice della scienza medesima: “La forma del mondo, il movimento, il tempo e la sostanza non avendo né principio né fine sono sicure garanzie che l’Universo non è mai stato prodotto e non sarà mai dissolto.26

Ecco, che la ricerca di tale radice ci riporta al pensiero di Lucanus, considerato uno dei più insigni rappresentanti del pitagorismo e vissuto nel V secolo a.C., perché in verità, nessun’altro ha anticipato prima di Considerazioni intorno all’universo, un’idea coerente di evoluzionismo e involuzionismo cosmici, in un’opera più arguta che colta, comunque oggi esplicitamente rivolta a un pubblico non strettamente accademico ed erudito. Nel frattempo si sono susseguiti numerosi altri scritti sul tema dell’antiperistasi, ma quasi nessuno ha raggiunto il livello filosofico della sua sintesi, degna del genio come sosteneva Shakespeare: “Gli uomini e gli altri animali cangiano successivamente e corrono presto al termine della natura. Poiché non vi è affatto per essi un ritorno verso il primo stadio né di antiperistasi e di mutamento, come ve ne sono per il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra[…]Tutte queste antiperistasi e questi differenti mutamenti formano delle figure e degli indici che l’Universo, o il tutto che contiene tutti i corpi, conserva e così tutte le cose che in lui sono contenute e quelle che in lui furono distrutte.27

Sebbene l’elemento che abbia stimolato la curiosità umana, compresa quella di Lucanus l’italico, sia sempre stato legato alla sopravvivenza della specie umana, essa è sembrata insensata, quando ha creduto di raggiungere con mezzi tecnici ciò che fosse solo il riflesso della vita sulla terra.

Per lui sia evoluzionismo sia involuzionismo come eventi vengono classificati in un processo di «mutamento» condiviso tra produzione e dissoluzione.

È difficile riconoscere se lo studio e la pratica dell’astronomia sia stato un tentativo maldestro o risolutore di soddisfare tale atavica curiosità.

I brevi brani che compongono il suo testo sono stati scritti nel rispetto di una continuità tematica, ma anche in realtà di una profondità, di una passione, e anche sembrerebbe di una difficoltà, sconfinate, come fosse sconfinato l’Universo di cui si occupò, benché a sua insaputa fosse formato dai miliardi di galassie, che come la nostra comprendono miliardi di stelle.

Il testo inizia con un aneddoto, ossia, una citazione in terza persona e un riferimento biografico, per esplodere come il suo Universo, per noi dopo il big-bang, nella distensione di considerazioni filosofiche condotte secondo la formula della «libera co-varianza» cara a Einstein, nel raccontare in successione storie che partono dalla percezione terrestre del firmamento e si sviluppano attraverso limpidi e anticipatori riferimenti alla φιλοσοφία, alla scienza, alla fisica, alla biologia, all’astronomia, alla teologia, alla biogenetica della polis: “Il fuoco ove sia concentrato in un punto di riunione ingenera l’aria e l’aria l’acqua e l’acqua la terra: e lo stesso ritorno e lo stesso periodo di mutamento ha luogo dalla terra al fuoco, di dove egli fuoco ha cominciato a mutarsi. Allo stesso modo i frutti, le piante, gli alberi, hanno ricevuto un principio di generazione per mezzo dei semi, in seguito essendo divenuti frutti e giunti alla loro perfezione essi si risolvono di bel nuovo nel loro germe, compiendo la natura questa progressione per mezzo della stessa cosa e nella stessa cosa”.28

È nel termine perfezione che Lucanus anticipa il vero concetto di evoluzionismo, poiché una volta raggiunto la top quality della sua specie, tutto ciò che ne deriva dopo è inteso come mutamento, ossia, un involuzionismo verso una naturale involuzione antropica.

In passato, per esempio, si riteneva che tutte le galassie si fossero formate nel medesimo istante cosmico, ora, invece, si ipotizza che la loro formazione sia determinata dall’espulsione da galassie precedenti. Questa nuova immagine delle galassie impone alla moderna φιλοσοφία la capacità di capire paradigmi alternativi, senza la pretesa di fornire princìpi indipendenti dai dati della scienza.

Alcuni scienziati giustamente difendono il principio antropico, secondo cui l’universo deve possedere le proprietà necessarie per la nascita dell’essere umano come essere fisico e biologico.

Perciò, partendo dal fatto che «io esisto», posso dedurre che ciò è stato reso possibile da un’armonizzazione in vari campi, ossia, da una convergente presenza di elementi che hanno appunto garantito la «mia esistenza».Un problema, questo, che né la teoria cosmologica dello stato stazionario, né quella del big-bang riuscirebbero mai a spiegare in termini soddisfacenti.

Si ritiene, che il principio antropico non sia scientifico ma metafisico, perché, secondo Popper, non può essere smentito. Si evince che anche la storia della scienza è essa medesima una scienza empirica, anche se abbia concesso successivamente una grande importanza alla fisica classica, la cui comprensione è possibile rileggendo la fisica odierna. Anche i modelli cosmologici di Anassagora e di Epicuro considerati allora «perdenti» possono essere ora considerati anticipatori di teorie più moderne, ossia, di quelle «vincenti»? L’astrofisico australiano Paul Davies oltre alla teoria della variazione della freccia del tempo - time’s arrow -, ossia della contrazione dell’universo, sostiene l’idea di un cosmo intelligente, che è stata presa in prestito da altri scienziati che hanno elaborato l’idea di an intelligent design29, tanto da intendere anche un cosmo intelligente. Allora, quanto possono essere connessi caos e intelligenza? Oppure che debba trattarsi di un caos intelligente? Il paradigma di un corso evolutivo unico è quindi irrilevante, poiché sarebbe come se tali sistemi possedessero una «volontà propria»; forse, proprio per effetto di questa «volontà propria» c’è il continuo rischio di una caduta, di uno scivolamento verso un eccesso di vitalismo, e proprio quando ci riconosciamo in Gaia: la dea greca che è la Terra.

E quindi, come un sistema autoregolatore e condiviso che ha permesso alla vita di nascere e svilupparsi nelle mutevoli condizioni dei millenni. “Esso - dice Davies - possiede anche una piacevole qualità teleologica: è come se la vita prevedesse la minaccia e agisse in maniera da eliminarla.”

Probabilmente, ad una scarsa luminosità iniziale del sole, corrispondeva sulla terra un’abbondanza di anidride carbonica capace di generare quello che oggi chiamiamo con timore effetto serra. “Ma, mentre il sole diveniva sempre più caldo, la coperta di biossido di carbonio veniva gradualmente rosicchiata dalla vita. Inoltre, l’ossigeno produsse uno strato di ozono nell’atmosfera superiore in grado di bloccare i pericolosi raggi ultravioletti.

L’obiettivo principale di Davies non consiste nel dare un’anima all’universo, o anche solo alla Terra, o, infine, anche solo all’essere umano, ma, probabilmente negare ogni parentela con il vitalismo; il suo obiettivo è spezzare un poderoso sostegno in favore dell’olismo, e allora contro il riduzionismo. La scienza, infatti, tende sempre più a schierarsi intorno a questi due poli interpretativi della natura: la «Theory Of Everything» - Toe - e la «Theory Of Organization» - Too .

La prima è la posizione sulla quale è schierata la stragrande maggioranza dei fisici particellari, dei fisici teorici, dei cosmologi e degli astrofisici, che ormai fanno parte di un unico circuito scientifico battezzato «astroparticelphysics»: astrofisica e fisica delle particelle, fuse in un tutt’uno, come infinitamente grande e infinitamente piccolo, secondo un’immagine fatta propria da Davies.

Questi sono i riduzionisti, i tifosi della Toe, che cercano appunto la «teoria del tutto», l’unificazione di forze, campi e particelle elementari all’interno di un unico modello teorico capace di spiegare tutti i fenomeni a livello microscopico.

Ma la grande teoria unificatrice, dal punto di vista riduzionista, non dovrebbe servire solo a questo. Secondo questo fronte di dissidenti sulla lettura della Natura, essa dovrebbe essere sufficiente a spiegare anche tutti i fenomeni a livello macroscopico, essendo tutta la Natura nient’altro che il frutto delle interazioni esistenti a livello microscopico.

Per Davies risulta un problema quasi ossessivo, ossia, dimostrare dunque che quei due numeri di Feigenbaum non sono lì per caso, ma che sono almeno il sintomo che ciò che procede verso il caos lo fa secondo qualche regola e che il caos deve avere una sua definizione matematica: ossia, che il cosmo è intelligente.

Si deve però ammettere che l’eventuale intelligenza del cosmo, non può essere paragonata all’intelligenza umana; sarebbe come paragonare l’intelligenza artificiale all’intelligenza umana.

Egli talvolta si lascia tentare da riflessioni azzardate: “Abbiamo visto come il determinismo non implichi necessariamente la predicibilità: alcuni sistemi molto semplici sono infinitamente sensibili alle condizioni iniziali. La loro evoluzione temporale è così complessa e irregolare da essere essenzialmente inconoscibile.”

La spiegazione delle parti elementari di ogni sistema permetterà allora di capire anche il funzionamento dei sistemi più complessi, dal pendolo impazzito al battito d’ali di una farfalla in Amazzonia. Anche i numeri magici di Feigenbaum troverebbero allora una propria sistemazione soddisfacente, per loro come per la scienza, perdendo perciò il loro alone di magia. Paul Davies ovviamente tifa per gli olisti e per la Toe.

Secondo questi, i sistemi complessi, in primo luogo quelli che stanno alla base della vita, potranno essere compresi solo sulla base di principi fondamentali completamente nuovi.

Secondo lui la scienza dei sistemi complessi, quella che studia il caos deterministico, sarà capace di dare un senso alle capacità creative proprie del mondo in cui viviamo.

Come dice Karl Popper: “La storia dell’evoluzione suggerisce che l’universo non abbia mai smesso di essere creativo o «inventivo». E se l’universo inventa davvero cose nuove non si può pensare che la sua descrizione fondata sulle proprietà della fisica delle particelle sia sufficiente. Ma nessuno, nel mondo scientifico, è ormai totalmente determinista. Quando Davies accusa i fisici di voler ridurre l’universo ad un’unica, onnicomprensiva equazione lagrangiana, sembra voglia attribuire loro l’idea che tutto era già scritto nell’istante del big bang. La realtà è che bisogna scegliere fra un modello che veda l’evoluzione, sia pure creativa, come il frutto di fluttuazioni causali, e un altro che va alla ricerca di una mente insita nelle cose, di un finalismo dei sistemi complessi. Davies, su questo, ha le idee chiare: l’ impressione dell’esistenza di un disegno globale è schiacciante.

Anche Lucanus diceva : “È nel tutto e cioè nell’Universo, che la generazione esiste e che si trova pura la causa della generazione”.30

Ciononostante, Il cosmo intelligente di Paul Davies a giudicare da questo approccio, non parrebbe molto intelligente. Dove starebbe l’intelligenza, se egli ci guida a scoprire che le previsioni del tempo sono assolutamente inattendibili, proprio per quello strano «effetto farfalla»?

Ma, quella farfalla sta lì a mostrare che, come negli altri casi presi in esame, sia sufficiente una piccola variazione delle condizioni iniziali per determinare, dopo un pò di tempo, la scelta di una evoluzione anziché di un’altra, fra un numero di possibili evoluzioni sempre più alto man mano che si va avanti. L’epistemologia di Popper si basa anche su una affermazione, assai discutibile, poiché sostiene che la teoria emerge da una dinamica di falsificazione.

Una teoria non può essere dimostrata valida, ma può solo, eventualmente, essere dimostrata non valida; risulta un’elaborazione di un certo tipo, che viene affidata ad una selezione, ad una lotta per la vita culturale, in uno schema sostanzialmente darwiniano.

Qualunque teoria inizialmente va bene; quindi per un determinato fatto potrebbero essere elaborate in via puramente combinatoria n ipotesi, selezionate «a posteriori» a confronto con i fatti, ossia, tutte falsificate tranne eventualmente una: la prima. Ma qual è la prima? Ciò è del tutto contrario alla meccanica della conoscenza e del linguaggio.

Un’ipotesi - e una teoria, successivamente - vengono elaborate in modo mirato, ossia, in base a considerazioni preesistenti, di tipo sostanzialmente inferenziale e spesso analogico.

Quindi, se l’indagine sul metodo scientifico diventasse subito una rivolta contro la scienza ufficiale essa non potrebbe essere un canale definito, piuttosto una collezione di procedure estemporanee, provenienti dai punti più diversi del suo orizzonte.

Occorre anzitutto abolire il metodo, per allentare i vincoli, lasciare lavorare la fantasia, e riflettere talvolta ad absurdum. Rousseau sosteneva che più dell’ignoranza facesse paura una scienza appresa con un metodo sbagliato.

L’accusa anche oggi è, forse, di aver una fiducia smisurata nel «metodo» anziché sostenere altre procedure, come intuizione e fantasia, servendosi inoltre delle componenti metafisiche di Popper.

Non si considera che questi fatti sono naturalmente incorporati - per quanto i termini siano ambigui e da usarsi con grande cautela - nella costruzione logica e razionale delle ipotesi.

Sembra che la ragione risulti assai più complessa della logica di un calcolatore elettronico, ed è quanto speriamo di aver ben messo in evidenza quando si è parlato del modo di costruire le ipotesi, che non è solo per tentativi ed errori, ma per coerenza interna confrontabile con una realtà.

Occorre credere, invece, che tutto quanto sia valido nella scienza sia interno alla conoscenza, e di questa l’intuizione o l’immaginazione sono state elemento centrale sia per Bruno sia per Kant.

Ciò generalmente da noi è chiamata razionalità, sicché può significare una corrispondenza della conoscenza ai suoi meccanicismi. La razionalità è caratterizzata anche dai meccanismi dell’intuizione kantiana, e non solo di un nostro particolare concetto di razionalità, deformato talvolta da coloro che vogliono parlare di crisi della ragione. Così, la ragione, in senso kantiano, è un meccanismo in crisi progressiva, e funziona perché è sempre in crisi?

Ma è una crisi interna, costitutiva. L’immaginazione bruniana, invece, per se medesima non riesce più a spiegarci nulla; infatti, vista nel quadro delle ipotesi, essa appare un momento fondamentale della razionalità. Quindi non risulta un procedimento corretto, né tantomeno produttivo, quello di sostenere che la scienza sia razionale sia illuministica vada ridimensionata di conseguenza, anche se attribuita per convenienza all’illuminismo, al positivismo, al neopositivismo logico, o altro.

La scienza «reale» è dunque quella che opera, che mette assieme i dati, che costruisce le teorie, che influenza la realtà, perché ne fa parte. È, quindi, su questa scienza che dovrebbe operare il nuovo epistemologo, e non sulle costruzioni artificiali di altri epistemologi. Allora, ciò che egli deve spiegare è il cammino della scienza nel suo complesso, fermo restando che questa variazione di prospettive è costante, perché è specifica del metodo scientifico, ma sempre nello studio della Natura. Ciononostante, un movimento in progress si effettua non quando il quadro teorico appare per sé nuovo e appagante, ma quando mette in luce una semplice realtà - come del resto sosteneva Poincarè - e questa si dimostra tale, perché si riverbera anche su realtà diverse e spesso molto lontane da quella prima realtà, poiché avrebbe effetto sulla rete complessiva del dominio scientifico.

Il nuovo quadro teorico non deve essere valutato per quelle improbabili ragioni che sostengono i patetici esteti di una scienza appresa con un metodo sbagliato, sebbene solo apparentemente più bello, più comodo, più semplice, ma perché spiega meglio anche fenomeni diversi da quelli per cui fu costruito, e può intessere in modo più conveniente il discorso scientifico moderno.

Nel medesimo tempo dimostra l’intreccio della realtà, permette altre ipotesi di lavoro, l’esecuzione di altre esperienze, la modifica di altre teorie, e il suo medesimo intreccio di una ipotesi di evoluzionismo e di involuzionismo in quadri teorici più plausibili.

Questo dovrebbe essere il modo di operare di tutta la nuova scienza cosiddetta rivoluzionaria, paradossalmente anche conservatrice come quella di Lucanus, in un’ipotesi che era costituita con dati già presenti e attraverso una mente, la più comune che ci fosse in Natura, e che comunque per lui c’era già, e, quindi, non «nuova».

Del resto, la novità è legata sempre a un procedimento ipotetico in quanto tale, che si riscontra proprio sia nel discorso ordinario sia nel discorso scientifico. Il procedimento ipotetico, e addirittura il modulo che ha caratterizzato un’intuizione in passato, sembra diventato inesorabilmente vecchio, dunque. Il margine di irrazionalità che lasciano queste nuove prospettive inizialmente «razionaliste» è divenuto abbastanza preoccupante, e perciò occorre indagare, perché esse hanno posto sotto accusa la scienza che definiscono «ufficiale», contrapponendola ad una scienza «fantasma», in una visione di tipo sociologico, probabilmente per ignoranza od opportunismo.

Una delle conseguenze reali di Lucanus apparentemente poste in modo oppositivo e dialettico, si è tradotta oggi nel pensare che, date le due tesi opposte o contrarie come evoluzionismo e involuzionismo, una sia buona e l’altra sia cattiva. È, invece, assai probabile che siano valide entrambe: In secondo luogo occorre che vi siano delle facoltà contrarie e antipatiche affinché alterazioni e i cambiamenti siano compiuti”.31

Ciò che anche G. Bruno riprenderà dopo millecinquecento anni: “Sì che non sono due essenze contrarie, ma una suggetta a doi termini di contrariedade[…]Come quando il senso monta all’imaginazione, l’imaginazione alla raggione, la raggione a l’intelletto, l’inteletto a la mente, allora l’anima tutta si converte in Dio ed abita il mondo itellegibile”.32

Ossia, una contrarietà tra la spinta dell’anima verso l’intellegibile e quella verso la corporea bellezza non è indizio di due sostanze nell’essere umano, ma di un’unica sostanza capace di due opposte propensioni. Come abbiamo visto anche Aristotele prima smentisce l’idea dei doi termini di contrariedade, ma successivamente deve ammetterne la valenza.

Per Lucanus la materia è ciò che di comune condividono gli elementi dei corpi: il caldo, il freddo, il secco, l’umido, che divengono poi anche circostanze contrarie tra loro; anche se i corpi si possano trasformare gli uni negli altri, i contrari non cambiano mai: “È per questo che avviene che le sostanze e gli elementi di differenti potenze del caldo, dell’umido, etc., restano in ciò ch’esse hanno in comune e cambiano in ciò ch’esse hanno in proprio, quando un contrario sormonta l’altro contrario, come quando l’umido che è nell’aria sormonta il secco che è nel fuoco o quando il freddo che è nell’acqua si trasporta sul caldo che è nell’aria”.33

Non era altro che il germe dell’idea di entropia in un senso di reversibilità - ma anche di co-evoluzione e co-involuzione - che la scienza penserà in futuro di avere scoperto, poiché gli strumenti tecnici a sua disposizione la collocheranno in una sorta d’idea evoluzionistica, che si è ulteriormente consolidata fino ad oggi.

Per questo Lucanus denominava mondo ciò che si chiamava il tutto, ossia l’Universo, ma che rientra inevitabilmente nell’idea della Natura di tutte le sostanze, sia come esseri differenti, sia come produzioni accidentali.

Perciò tutte le sostanze contenute nel mondo posseggono un’affinità sia elettiva sia materiale con esso, mentre esso possiede affinità e accordanze solo con se stesso: “Le generazioni fatte contro natura o fatte con ingiuria alla natura devono essere soppresse[…]Colloro che vogliono procreare dei fanciulli, devono avere della preveggenza nell’interesse dei fanciulli stessi”.34

Un’indagine di André Pichot considera gli elementi essenziali necessari a un pensiero di tipo scientifico che erano anch’essi apparsi intorno al V secolo a.C cominciando la loro avventura in Egitto. L’indagine inizia in Mesopotamia e si conclude nella Grecia prima di Socrate, passando attraverso le piramidi e il mondo lambito dal Nilo. Quello che Pichot propone è una sorta di indagine nella geometria e matematica dell’Egitto. Nel mondo mesopotamico, ad esempio, prende in considerazione il rapporto esistente tra la manipolazione dei metalli e alcune concezioni che si possono ritenere alchemiche, quindi, soffermandosi a lungo sull’alfabeto cuneiforme, sui differenti valori dei segni, sulla numerazione sumerica. È interessante oggi notare, e Pichot lo evidenzia con chiarezza, che nella civiltà mesopotamica il problema della divisione del grano portò a una conoscenza sorprendente della matematica. Ad esempio, essi sapevano dividere una certa quantità secondo i termini di una progressione aritmetica, sapevano calcolare gli interessi, e così via.

Ma quel che ci interessa ancor più è che alcune tavolette contengono quesiti risolti con il sistema delle equazioni di primo grado a due incognite. Comunque, tale civiltà conosceva anche l’equazione di secondo grado e sapeva calcolare il volume del tronco di piramide quadrata. I problemi del mondo egizio sembrano addirittura simili ai nostri.

Il papiro Rhind, databile 1650 a.C., tratta della moltiplicazione di somme di frazioni e addizione di frazioni a differente denominatore.

Nel succitato papiro, molto importante per conoscere la matematica tradizionale, troviamo la progressione geometrica, equazioni di primo grado - il problema è riconducibile ad esse -, etc.

Interessante è osservare come in questo testo venga calcolata la superficie del triangolo, del trapezio - considerato un «triangolo tagliato» -, la superficie del cerchio, nonché la comparazione tra la superficie del cerchio e quella del quadrato, il volume del cilindro, e così di seguito.

Nel papiro di Mosca - 1800 a.C. - si calcola il volume del tronco di piramide e in un papiro conservato al Cairo in scrittura demotica si trova la soluzione egiziana di quello che noi conosciamo come il teorema di Pitagora.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che sia l’aritmetica che la geometria di queste due regioni sono nate e si sono sviluppate grazie a problemi pratici. Nella Grecia del IV secolo a.C. possiamo trovare un «dio» geometra che inglobi in sé la mistica dei numeri. Con l’ingresso perentorio nella storia della Grecia, la matematica assumeva un altro valore. Non a caso quello che viene considerato il primo filosofo dell’Occidente - secondo uno schema caro ad Aristotele -, ovvero, Talete, era al tempo medesimo matematico e filosofo; la medesima scuola pitagorica prova che tra la scienza e la filosofia non c’è e non c’era alcuna differenza e la mistica del numero finiva con il coincidere con quella con cui si regge il mistero del cosmo.

L’indagine di Pichot si spinge anche tra le concezioni degli atomisti - Democrito e la sua scuola - si sofferma sul singolare modo che ebbe Empedocle di intendere la Natura, si chiude con la scuola ippocratica di medicina. Come lui gli egizi avevano un medico per l’occhio destro e uno per quello sinistro, i greci resero moderno e operativo il metodo di cura basato sulla ragione.

Ciononostante, l’umanità oggi si avvicina sempre più rapidamente a una catastrofe naturale. Gli eccessivi consumi, soprattutto di energia, non consentiranno il nostro sostentamento, causa l’esaurimento delle risorse rinnovabili e l’inquinamento. La tecnologia non ci aiuterà, anzi aggraverà il problema, perché guidata dalla domanda crescente di consumi.

Il guru ambientale J. Rifkin35 ritiene che l’unica, e probabilmente, l’ultima via di salvezza per l’umanità dovrebbe essere l’amore di noi stessi che ci convinca finalmente ad abbracciare stili di vita compatibili con una società a bassi consumi.

Egli si richiama agli strumenti per la gestione di una società esemplare: «linee-guida» - fissate dallo Stato pubblico - per garantire che una produzione industriale sia ridotta coerentemente al paradigma di una crescita lenta; eliminazione della proprietà privata sulle risorse naturali, sostituita dalla «custodia di pubblico interesse»; produzione nell’ambito di piccole imprese con partecipazione democratica dei lavoratori; fine delle megalopoli, infatti, dovrebbero ridursi alla soglia di 100mila abitanti.

Rifkin già nel 1980 nella prima edizione del suo lavoro anticipava in un’affermazione: “È inevitabile il deteriorarsi della posizione di punta dell’America nella tecnologia.

L’argomento centrale dell’opera era ancora l’entropia, la misura dell’aumento del disordine di un sistema chiuso, ossia, della degradazione del suo contenuto di energia - per il II principio della termodinamica -.

Si evince che la Terra non essendo un sistema chiuso, riceve costantemente un’abbondante energia solare, il cui costo per la produzione di energia elettrica sta riducendosi.

In merito alle risorse naturali, già nel 1908 i Governatori Usa avevano affermato che il carbone si sarebbe esaurito in 50 anni e il legno in 30; nel 1972 i limiti dello sviluppo prevedevano una catastrofe naturale planetaria entro un secolo. Purtroppo la previsione si è ridotta della metà, ossia, entro mezzo secolo da allora, vale a dire cinquanta anni.

Paradossalmente negli anni ‘90 gli Usa hanno avuto un boom socio-economico straordinario, anche se ora si è ridimensionato, forse per merito della loro eccellenza tecnologica; basti pensare a Sylicon Valley. Le scienze economiche sembra siano state così ridimensionate, sebbene se si consulti un qualsiasi testo scolastico di economia esso ci dirà che l’economia non è altro che un gioco di dare e prendere lungo le curve statistiche di domanda-offerta. Ovviamente in questa simpatica barzelletta si è ignorato l’importanza degli strumenti di un’economia ambientale, per ridurre il «fallimento del mercato globale» a favore dell’ambiente.

Perché il cosiddetto catastrofismo continua ad avere successo? Ce lo spiega il grande antropologo Francesco De Martino: “L’apocalittica formicola di contraddizioni. La fine viene prospettata in un quando più o meno prossimo e determinato: ma ogni volta che le scadenze restano senza esito l’apocalittica... ricorre a spostamenti... e riplasma se stessa ritessendo la stessa nuova crisi. Quanto ai credenti, essi fanno come quegli indiani che nella loro escatologia avevano posto in primavera la data della fine: il termine fu semplicemente rinnovato sempre di nuovo.”

Sembra che mescolare quantità enormi di catastrofismo ambientale, riscuota comunque un’equivalente scetticismo e indifferenza da parte dell’opinione pubblica, rassegnata e indispettita al grido del: al lupo al lupo, e quando arriverà veramente nessuno sarà pronto a difendersi da esso.

Risuona l’eco di Lucanus rivolto comunque ad una società lungimirante e sapiente che guardi sempre all’interesse dei suoi fanciulli: “Ma ciò che occorre soprattutto osservare e starne in guardia è che nel momento della generazione - involuzione - si abbia lo spirito tranquillo, poiché semenze sono rese cattive dalle affezioni folli, incostanri e larvali”.36[…]“Non è vergognoso che gli uomoni tengano alcun conto dei loro propri figli, ch’essi li generino per caso e ch’essi curino poco il loro nutrimento e la loro educazione?37

Se Aristotele intendesse il realizzarsi di una «forma» esperienziale come un movimento astratto, ossia, come passaggio dalla potenza ad un atto motorio in un luogo naturale che non era possibile classificare come l’esistenza del movimento proveniente dalla semplice esistenza di un corpo e un luogo, Lucanus tendeva a ridurre il movimento cosiddetto a un mutamento naturale del singolo corpo, purché si rispettassero le leggi naturali che lo legavano al tutto.

Mentre anche Kant successivamente avrebbe distinto il carattere esperienziale in due forme: una naturale e una astratta. Tali leggi naturali non essendo state scritte ma trascritte all’interno della nostra genesi cosmica, sarebbero poi state riportate e riferite in forma numerica e letterale, in un dizionario numerico generale che è divenuto il magazzino della nostra interiorità, che qualcuno spesso ha voluto definire anima.

Come detto in precedenza: i fenomeni della cosiddetta antiperistasi si spiegavano in passato come un effetto della concentrazione dell’energia di un elemento qualora si trovasse sottoposto all’azione dissolvente di un elemento contrario: l’elemento attaccato raccoglie e puntualizza la sua virtù in uno spazio minimo, il quale potrebbe essere rappresentato dalla nostra anima, la quale raccolta in uno spazio minimo in senso bruniano, deve raccogliere anche un massimo contrario.

Allora inizia l’opera dissolvente, affinché questo contrario venga dissolto all’interno di uno spazio altresì minimo, ma ad una velocità operativa così enorme, da far risultare la velocità della luce una comparsa e un’ombra di se medesima.

Il dilemma che si è trascinato nei secoli fino a noi è stato cosa includere nel naturale e cosa nell’astratto, ma forse che cosa rappresentasse l’essere umano come naturale e astratto.

L’idea di magia Bruniana è ciò che si è avvicinato maggiormente al concetto di astratto; purtroppo il periodo della caccia alle streghe e l’inquisizione hanno minato profondamente una renovatio bruniana in senso classico, vista come un esempio riferito all’ambito delle grandi religioni civili pagane dell’antichità romana.

Così riferendosi alla scuola dei Romani, che proprio sull’idea di religio, nel senso latino di congiungere, rafforzarono anche la loro grandezza, e persino agli antichissimi egizi e alla loro religio naturale che, anche secondo il cosiddetto ermetismo rinascimentale, si serviva della magia come strumento teurgico e come via per penetrare il mistero della Natura, dunque come tecnica in senso specifico e astratto. In tale metamorfosi, il sapere teoretico oggi co-evolve con la lingua emergente, e attraverso l’osservazione e in particolare con la manualità intesa come strumento di trasformazione oltre che metamorfosi della specie. Si evince che dal confronto tra logica e metafisica non sia il pensiero, ma l’esercizio dell’organo della mano ciò che distingue gli esseri umani dagli animali.

Qualche decennio dopo Bruno, Descartes tesseva un encomio della mano ravvisandovi un analogia nell’essere umano, la mano non come un organo, ma quasi un individuo.

Nel secolo XX Heidegger non ha esitato, in una delle sue frequenti riflessioni umanistiche, a sostenere che solo l’essere umano possiede una mano, mentre la scimmia non possedeva che arti.

La vita terrena non è il dato individuato degli esseri umani, i quali conversano nelle città dell’utòpia, bensì un flusso cosmico che attraversa ogni cosa, il tutto, e lo spirito è uno spirito astratto vivente, così come la materia è divenuta comunque animata.

Per Bruno le cose quali noi le vediamo non sono la totalità dell’ente, ma solo ombre di esse, destinate a svanire, e ogni essere vivente, nel suo mutamento e finire, è già avviato verso la rinascita o meglio diremmo oggi verso la redenzione, perché la vita, e non l’ente determinato, è ciò che importa e costituiva anche l’Universo di Occellus Lucaus.

Così per il microcosmo come per il macrocosmo, seguendo la metafora platonica del cosmo come «animale vivente», Bruno immagina infiniti universi che diventano un phantasticum chaos, in modo analogo i piccoli animali, come siamo anche noi esseri umani, sono destinati alla morte, ma anche alla resurrezione o alla metamorfosi: “Primum autem subiectum[…]est phantasticum chaos ita tractabile, ut cogitativa potentia ad trutinam redigente visa, atque audita in talem prodire possit ordinem, et effigiem”.38

Così, come sosteneva Paul Davies a proposito di un cosmo intelligente, che cosa si dovrebbe dire a proposito delle teorie recenti sugli epifenomeni caotici terrestri?

Negli Stati Uniti i fisici che indagano da tempo sui metodi più efficaci per comprendere il caos sembrano avviati verso una strada promettente per trovare una risposta a domande tradizionalmente trascurate per il risvolto inusuale o non logiche che hanno epifenomeni naturali dal comportamento cosiddetto complesso, imprevedibile e casuale. Questi epifenomeni sono numerosi, vanno dal flusso turbolento dei torrenti di montagna, ai cambiamenti atmosferici, dai vortici delle onde nel mare in tempesta ai movimenti turbinosi della crema, girata lentamente, nel cappuccino.

Oltre che nelle manifestazioni macroscopiche della Natura, si ritrovano anche in quelle infinitesimali, come il comportamento irregolare e complesso delle particelle di materia accelerate all’interno di un plasma, il gas ionizzato che in Natura si trova nelle stelle e nei gas interstellari, e, in laboratorio, viene studiato per produrre energia termonucleare controllata.

Quest’ultimo esempio di fenomeno singolo complesso solleva una domanda inquietante per la fisica, ossia, su come faccia cioè il moto deterministico e reversibile di particelle individuali a generare un comportamento irreversibile del sistema così come lo descrive la meccanica statistica e la termodinamica. I progressi compiuti negli ultimi cento anni per rispondere a questa domanda sono stati molti, ma rispondere rimane difficile a causa del carattere non lineare delle equazioni matematiche che modellano i sistemi fisici.

Negli ultimi dieci anni però, attraverso una sintesi di simulazioni numeriche e di approssimazioni analitiche, resa possibile dall’uso dei supercomputers, e in particolare di grafici computerizzati, i matematici «sperimentali» sono riusciti a fare grossi passi in avanti in questo senso e una scoperta sorprendente è stata la constatazione di un ordine nei comportamenti irregolari, una scoperta che ha condotto allo sviluppo della dinamica non lineare, un approccio nuovo che unisce gli «esperimenti» numerici all’analisi matematica. La vera sorpresa per i ricercatori non lineari è stato osservare che, contrariamente a quel che può aver creduto Newton, le equazioni deterministiche della meccanica classica non implicano necessariamente un universo ordinato e regolare.

Sistemi deterministici con solo uno o due gradi di libertà come la mappa logistica, una equazione usata per predire le dimensioni di una popolazione biologica che cambia o la fluttuazione dei prezzi economici, possono risultare altrettanto imprevedibili e caotici come la roulette o l’atmosfera, per tradizione considerati sistemi dinamici con alti numeri di gradi di libertà.

Questo, secondo i fisici, ha a che fare con la casualità dei numeri reali, di tutti quei numeri che si possono rappresentare attraverso una espansione decimale. Ogni sistema caotico non lineare è un modello che «legge» le condizioni iniziali.

Questo però vuol dire che, lievi errori o cambiamenti nelle condizioni iniziali, corrisponderanno a letture o interpretazioni diversi che raccontano storie differenti. I sistemi caotici dinamici, diversamente dai sistemi regolari, sono molto sensibili alle anomalie matematiche di sequenze digitali infinitamente lunghe come i numeri reali, che si sottomettono a quasi tutte le descrizioni matematiche degli epifenomeni naturali, anche se questi numeri reali non siano computabili.

Qualcuno allora ha proposto di tralasciarli nella formulazione di teorie importanti della fisica.

Una soluzione del genere, secondo quanto ha dichiarato Roderick V. Jensen, un professore di fisica applicata all’università di Yale, che ha condotto uno studio sul ruolo del caos nei fondamenti della meccanica statistica, potrebbe condurre ad una rivoluzione nelle scienze naturali.

Tuttavia è possibile che la scala alla quale avviene l’abbandono dei numeri reali sia così ridotta da rendere impossibile un utilizzo delle conseguenze pratiche di questa scelta. In quel caso, osserva Jensen, l’avanguardia nella comprensione del mondo reale attraverso i numeri naturali dovrà probabilmente passare dal dominio della fisica a quello della φιλοσοφία. Ma non sarà una metamorfosi pacifica, poiché siamo ormai dominati dalla logica aristotelica, o così vuol sembrare, ma la critica non è rivolta allo Stagirita, bensì all’abuso che ne stanno facendo i cosiddetti eruditi contemporanei.


1 Leopardi Giacomo, Zibaldone dei pensieri, (1991), Garzanti Editore, Milano, 8 Ott.1821, p.1070.

2 Ibi, 4 Ott. 821, p. 1056.

3 Lucrezio Tito Caro, De Rerum Natura, (1976),tr. Balilla Pinchetti BUR, Milano, 1986, libro II 595-600 pp.146-147.

4 Jonas Hans, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, (1990), Tr. Paola Rinaudo, Giulio Einaudi editore, Torino, p.16.

5 Fichte Johann Gottlieb, La missione del dotto, (1982), Fabbri editore, Milano, 2001, p.13. Un’altra tr. riferisce: “agisci sempre secondo la migliore convinzione del tuo dovere; ovvero, agisci secondo la tua coscienza”.

6 Il termine ecologia (dal greco «oikos» abitazione casa e «logos» scienza e discorso) fu usato per la prima volta nel 1866 dal naturalista e biologo tedesco Ernst Haeckel nel Generelle Morphologie der Organisme. In sostanza per Haeckel la parola ecologia voleva significare «la scienza che studia i rapporti tra l' essere vivente e l' ambiente naturale in cui si trova».

7 Myers Norman, Ultimate Security, Norton & Company, New York 1994.

8 Mason Richard, Anime alla deriva, Einaudi, Torino, 2000.

9 Basevi Magi Argeo, Involuzionismo cosmico, (2007), CESLB Editoriale, Bergamo, 2007,cap.V-pagg.216-224.

10 Popper R. Karl, La luna può rischiare le vie di Parmenide?, (1998), tratto dal volume Il mondo di Parmenide, a cura di Fabio Minazzi, ed. Piemme, Casale Monferrato.

11 Democrito, Raccolta frammenti, (1970), Edizioni Bompiani, interpr. e commentario di Salomon Luria, 2007, Meccanica e Cosmogonia, frammenti 285, p.369.

12 Aristotele, Fisica, (2007, tr. Luigi Ruggiu, Mimesis Edizioni, Milano, libro IV, Δ, 25, 218-a-b.

13 Democrito, Raccolta frammenti, (1970), Edizioni Bompiani, interpr. e commentario di Salomon Luria, 2007, D-Meccanica e cosmogonia, 382, p.361.

14 Ibid, 282, pp.361-363.

15 Goenner Hubert, Renn Juergen, Ritter Jim, Sauer Tilman, The Expanding Worlds of General Relativity, edited by Birkhauser, Boston and Basel, 1999.

16 Democrito, Raccolta frammenti, (1970), Edizioni Bompiani, interpr. e commentario di Salomon Luria, 2007, Meccanica e cosmogonia, 291, p.379.

17 Ibid, Frammenti 296, p.383.

18 Goenner Hubert, Renn Juergen, Ritter Jim, Sauer Tilman, The Expanding Worlds of General Relativity, edited by Birkhauser, Boston and Basel, 1999.

19 Ibid.

20 Democrito, Raccolta frammenti, (1970), Edizioni Bompiani, interpr. e commentario di Salomon Luria, 2007, D-Meccanica e cosmogonia, 287a, p.373.

21 Diels H.-Kranz W., Atomisti Antichi, Testimonianze e frammenti, Intr.e tr., note, parole-chiave e appendice bibliografica a cura di M. Andolfo, testo greco a fronte, Rusconi Libri, Milano, 1999.

22 Democrito, Raccolta frammenti, (1970), Edizioni Bompiani, interpr. e commentario di Salomon Luria, 2007, Meccanica e Cosmogonia, frammenti 301, p.387.

23 Lucanus Occellus, Considerazioni intorno all’Universo, Sagwan Press, Titolo I, 10.

24 Ivi, Titolo I, 4.

25 Morini Roberto: inserto domenicale del Sole24ore del 12/03/1989.

26 Lucanus Occellus, Considerazioni intorno all’Universo, Sagwan Press, Titolo I, 15.

27 Ivi, Titolo I, 14.

28Ivi, Titolo I, 13.

29 Davies Paul, Il Cosmo Intelligente, Mondadori, Milano 1989.

30 Lucanus Occellus, Considerazioni intorno all’Universo, Sagwan Press, Titolo II, 1.

31 Ivi, Titolo II, 4.

32 Bruno Giordano, Degli eroici furori, p.618.

33 Lucanus Occellus, Considerazioni intorno all’Universo, Sagwan Press Titolo II, 11.

34 Ivi, Titolo IV, 13.

35 Rifkin Jeremy, La fine del lavoro, Baldini&Castoldi, Milano.

36 Lucanus Occellus, Considerazioni intorno all’Universo, Titolo IV, 13.

37 Ivi, Titolo IV,14.

38 Bruno Giordano, De Umbris, pp.77-78.


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