martedì 31 ottobre 2023

PENTHOUSE: INTERVISTA FRANCIS BACON, IL PIÙ GRANDE, DOLCE, MALEDETTO

FRANCIS BACON IL PIÙ GRANDE, DOLCE, MALEDETTO

Conversazione con Francis Bacon

di Cristiano Lovatelli Ravarino

(il testo di questa intervista è stato pubblicato su "Penthouse" nell'aprile 1981: "Parla il più grande pittore del mondo").

Davanti a lui e ai suoi quadri Picasso si sentiva umile come un allievo. La sua pittura ritrae l'orrore di tutto il nostro secolo, "ma esprimere l'orrore", dice Bacon, "non vuol dire avvilirsi nella tristezza, se mai significa prepararsi alla difesa". 

Picasso lo definì "L'unico pittore vivente di fronte ai cui quadri mi sento ancora uno scolaro". I critici tendono oggi a considerarlo unanimemente, per lo meno come pittore puro, il più grande del secolo (e i mercanti pure: la quotazione media di un quadro di Bacon oggi si aggira sui duecento milioni). 

Quando alcuni anni fa il Vaticano volle sottolineare la continuità della sua presenza anche nell'arte dei nostri giorni, inaugurando a San Pietro le nuove sale d'arte moderna, Gianni Agnelli regalò a Paolo VI uno dei suoi tre Bacon. Faceva parte di una delle serie famose del pittore: il rifacimento in chiave personale dell'lnnocenzo X di Velasquez. 

Il Pontefice vi appare ingabbiato su una panca che sembra più una sedia elettrica che un trono. Il viso è sfigurato da un urlo feroce e impaurito. La faccia è una colata di carne flaccida, sul punto di esplodere. Il tutto sarebbe apparso anche agli occhi di un bambino come il simbolo di un potere sanguinario e impotente. Nonostante ciò il Papa fu ben lieto di accettare il dono.

Nato a Dublino nel 1909 e discendente in linea diretta da Francis Bacon, il filosofo che alcuni secoli fa mise le basi della moderna filosofia della scienza, il pittore crebbe lasciato a se stesso in un ambiente che sapeva essere selvaggio e raffinatissimo assieme. 

Il padre, sir Edward Anthony Mortimer Bacon, era un tipo troppo aristocratico per occuparsi della crescita dei figli e la madre, donna di straordinaria bellezza, trascorreva, forse per reazione, le giornate alla caccia alla volpe. L'unica vera compagna del pittore era la sua asma che fin da bambino lo tormentò dandogli forse da sempre la sensazione profonda dell'organismo umano come qualcosa di oscuramente estraneo e minaccioso. 

A diciassette anni venne cacciato di casa dal padre che lo aveva colto a provarsi abiti non del suo sesso, di fronte allo specchio. Da quella specie di fiaba noiosa che era stata per lui la vita nel castello familiare di Cheltenham la realtà lo tolse all'improvviso; una realtà che si presentava sotto le vesti traumatiche della Berlino del dopoguerra. 

Una città allo sfascio il cui grado di disintegrazione avanzato ci viene ricordato da tutta una letteratura. "Ero ancora quasi un bambino", ricorda il pittore, "e mi ritrovai in una città dove non c'è abitante che non ti sembrasse capace di accoltellarti per pochi spiccioli alla prima occasione. Ma", aggiunge, "era anche divertente. Era come se una intera popolazione si fosse denudata e nessuno usasse più alcuna perifrasi per nascondere la propria rapacità o le proprie sfrenate passioni". 

Per sopravvivere il futuro pittore si barcamena come designer di mobili e arredatore di appartamenti. Poi verso gli Anni Trenta l'incontro con la pittura: sarà una folgorazione definitiva. 

Ciò nonostante le mostre che si susseguiranno sempre più prestigiose (al Museum of Modern Art di New York, alla Biennale di Venezia, alla Tate Gallery di Londra, al Grand Palais di Parigi) non riusciranno a catturarlo, a farne un personaggio ufficiale. A differenza di un altro grande della pittura inglese, Graham Sutherland, che amava circondarsi di nomi famosi e gente titolata Bacon è sempre rimasto fedele ai suoi amici d'infanzia o a sconosciuti sparsi per il mondo ma che, dopo incontri casuali, per lui contavano qualcosa. 

A una televisione americana che anni fa riuscì a fare un programma su di lui impose che l'intervista avvenisse in una osteriaccia di un sobborgo londinese e che coinvolgesse degli anziani pensionati che durante l'intervista bevevano o discutevano insieme a lui. "Non vedo perché non avrebbero dovuto avere il diritto di parlare anche loro", osservò il maestro inglese. 

Pittore dell'atrocità, dell'incubo del quotidiano, del filo sanguinario che ormai sempre più lega molti degli avvenimenti di questi giorni (e in questo senso molte delle sue pitture di vent'anni fa si sono dimostrate profetiche) a un contatto diretto Bacon si rivela una persona dalla straordinaria delicatezza e profondità psicologica.


Inavvicinabile e ironico verso il potere (non si presentò né al ricevimento che Pompidou aveva organizzato in suo onore per la sua grande mostra parigina, né al ricevimento che aveva fatto la Casa Bianca dopo l'acquisto di due suoi quadri) si dimostra invece disponibile in maniera commovente verso chiunque lo accosti in maniera non istituzionale o arrogante. Possiede persino un archivio personale dove conserva tutta la corrispondenza che riceve, anche se il mittente è uno sconosciuto; e non trascura mai di rispondere di proprio pugno a tutti gli sconosciuti che gli scrivono da ogni parte del mondo. 

Infatti, a differenza di non pochi artisti, sa essere grande non solo nei suoi quadri. L'intervista che segue è la traduzione di un colloquio informale durato molte ore avvenuto a Calderino (Bologna).

Penthouse: Lei oggi è considerato da molti il più grande pittore del secolo. Fra tante definizioni ne ha una da dare a se stesso?

Bacon: Ho l'alito pesante e temo che dovrò farmi operare di gastrite.

Penthouse: Un momento... sto parlando di autodefinizioni.

Bacon: Sto parlando di me stesso. È questa la mia autodefinizione, oggi. Un corpo come tanti altri in via di decomposizione. Nonostante le definizioni. Nonostante la gloria. Nonostante i miliardi. Tutte cose che riempiono i libri e tutt'al più un assegno. Le cedo in blocco a chi mi restituisce un grammo di salute.

Penthouse: Lei è sempre stato ossessionato dal corpo.

Bacon: Bene, la sua è un'altra definizione. Ricorda quelle che danno di me i critici. Tipo surrealismo tragico. Oppure: dipinge il dramma della vita. È come dire che respiro o che per dipingere uso pennelli. Lei mi dice che sono ossessionato dal corpo. Conosce qualcuno per caso che ne prescinda? Sono ossessionato dal corpo come è tenuto a esserlo chiunque sia sano di mente. Ci pensi, quando raggiungerà un'altra galassia l'uomo avrà lo stesso corpo di Adamo. Un corpo uguale per tutti, gli stessi occhi, la stessa bocca. Ogni tanto leggo libri di fantascienza. Mutanti, corpi multipli, ellittici. Quelle sono popolazioni. Quella è la normalità. Non l'incubo di una umanità sempre uguale.

Penthouse: Anche gli alberi sono tutti uguali... le sembra forse sbagliato?

Bacon: Non sono d'accordo. Tra un platano e una mimosa c'è una differenza creativa. Per altro la biocibernetica ci ha dimostrato che quest'ultima è fornita di un sistema nervoso differenziato che la equipara perfettamente a un essere vivente. E non mi risulta che le piante, come creature pensanti, ci abbiano mai dato fastidio.

Penthouse: Secondo lei perché in genere i poeti sono poveri e i pittori ricchi?

Bacon: Perché la pittura può arredare le case dei ricchi anche se non la capiscono, mentre la poesia può essere letta da chiunque. Chiunque può acquistare un libro di poesie e impararle a memoria ma non può fare la stessa cosa con un quadro. Quindi, anche se una poesia è sublime, essendo di tutti non vale nulla. Un quadro, anche se mediocre, rispettando il possesso può valere milioni. È assurdo ma è così.

Penthouse: Lei passa dei lunghi periodi da solo. Va per esempio al cinema? 

Bacon: In realtà quasi mai. Mi fa paura.

Penthouse: il cinema dell'orrore?

Bacon: No, il cinema. Siamo talmente dominati da una cultura delle immagini che oggi solo se una cosa è simulata ci sembra vera. A Tangeri una volta vidi per strada tre corpi schiacciati da un camion. Sembravano finti. La stessa scena vista al cinema sono sicuro che mi avrebbe terrorizzato. Come quando uno muore. Nella realtà è quasi impossibile vedere uno morire. Si va al funerale. Al cinema invece ti mostrano tutto: antecedenti, penosità del trapasso, lunghezza dell'agonia, magari con il viso in primo piano. È troppo.

Penthouse: È per questo che nei suoi quadri...

Bacon: Ho già capito. E la mia risposta è no. I miei quadri non hanno alcuna simbologia e tantomeno sono una perifrasi della crudeltà della condizione umana. Se questa sia crudele o meno, non penso dopo duemila anni ci sia bisogno dei miei quadri per scoprirlo. Semplicemente un volto frantumato è più bello di un volto disteso perché mostra anche i suoi organi interni, il sangue, i tendini. Ho sempre sostenuto che i pittori realisti non lo sono nei confronti del corpo ma solo della sua pelle.

Penthouse: Cosa fa quando non lavora?

Bacon: In genere si ha bisogno di credere che un artista che ha una produzione diciamo traumatica conduca una vita traumatica. Infatti mi hanno sempre descritto come uno che deposto il pennello si scatenava in furori demoniaci, una specie di sagoma fumante imbottita di droga che si giocava i miliardi al casinò magari con occhi stravolti, iniettati di sangue.

Penthouse: In realtà?

Bacon: In realtà cose come il gioco o la droga sono attività anzitutto faticose. E io sono pigro. Anche se può deluderla uno dei miei maggiori divertimenti è andare in un caffè possibilmente anonimo a bere qualcosa osservando la gente. Discutono, gesticolano, si appassionano senza alcuna maschera per un punto al gioco. Sono capace di stare a guardarli anche per ore. Mi sembrano straordinari.


Penthouse: Sono loro i soggetti deformi che popolano i suoi quadri?

Bacon: Anzitutto non li chiamerei deformi e poi l'arte ha sempre deformato. Un pittore apparentemente classico come Ingres ritraeva dei corpi che a osservarli attentamente sono dei controsensi anatomici. Le teste in Michelangelo sono spesso un tredicesimo rispetto al corpo: un rimpicciolimento di livello picassiano.

Penthouse: La sua è un'arte, come è stato detto, di "realismo funebre"?

Bacon: No, la mia è un'arte antiellenistica con influenze solforose. A parte gli scherzi non saprei cosa dire su questi argomenti... magari mi piacerebbe che la smettessero di considerarmi eminentemente tragico. lo non sono tragico. Mi limito semmai a fare qualche piccolo cenno sull'orrore che viviamo giorno per giorno. Ma ottengo effetti contrari.

Penthouse: In che senso?

Bacon: Nel senso che la gente guarda le mie pitture e reagisce solo con reazioni estetiche. Pregevole quell'occhio sbilenco. Raffinato quel groviglio di corpi. È incredibile... forse se avessi dipinto garofani sarebbero rimasti più scossi. Come Swift, né più né meno.

Penthouse: Può spiegarmi meglio il paragone con Swift?

Bacon: È semplice, chi ha letto i viaggi di Gulliver nell'originale sa che cosa è veramente. Uno dei libri più atroci e crudeli che siano mai stati scritti. Ne hanno fatto un libro di favole. Lo hanno rimosso, un po' come sta accadendo alle mie pitture.

Penthouse: Che peso ha avuto la sua educazione nei temi delle sue pitture?

Bacon: Ecco un'altra definizione in arrivo. Una specie di laser. Mio padre come oscura sorgente degli uomini urlanti del primo periodo... la crocifissione come patricidio... o forse matricidio, chissà. La psicanalisi in arte, lo sappiamo, ha strumenti molto duttili al punto di fare della tolleranza di due tesi opposte una prova della sua, diciamo, complessità. Un po' come la Chiesa cattolica.

Penthouse: È tutto sbagliato?

Bacon: Be', naturalmente non è che si possa prescindere da chi ci ha messo al mondo. Mi citi un artista che da qualche parte della sua opera non faccia affiorare la famiglia. Comunque è una cosa più da scrittori che da pittori. lo quando facevo gli uomini stravolti in doppiopetto del primo periodo, non pensavo certo a mio padre. Pensavo... chissà a cosa pensavo. Non me lo ricordo. Solo che mi assale una specie di... come dire?, di prurito quando incontro un critico, magari mio amico, che mi fa: "Sai, ho compilato la scheda di quel tuo quadro del '62", risolino e scompare. Mi capita la scheda fra le mani e leggo: "il colore dominante (il blu) lo è per questo motivo, il formato del quadro per quest'altro, la posizione dei personaggi è dovuta a questa e quest' altra e quest'altra causa ancora, e infine è molto chiaro perché nel personaggio di sinistra il naso è deformato e in quello di centro il piede". Questi critici. Su di me sanno tutto. Anche quello che io ho sempre ignorato.

Penthouse: Lei va spesso in Africa o in posti come Tangeri. Cosa la attrae lì?

Bacon: La mancanza di avarizia nella bellezza.

Penthouse: Avarizia?

Bacon: Sì, la maggioranza delle popolazioni sono di una bellezza straordinaria. Da quelle parti i brutti sono una eccezione, non come da noi la norma. Ma non si sentono dei padreterni per questo. Non ci fanno sopra una carriera. Ricordo che una volta in Sud Africa io e un mio amico incontrammo una negra. Il mio amico, un medico inglese, era iI tipo europeo brutto, piccolo, flaccidino, stempiato, con i ponti ai denti. Cose che non contano quando sei come lui su una cattedra universitaria ma che umiliano quando sei in posti ben più seri, come per esempio un letto. Quella negra aveva qualcosa dell'apparizione. Era come se la natura avesse voluto sforzarsi di estrarre da tutti i suoi particolari anatomici, dalle unghie dei piedi alla radice dei capelli, il massimo dello splendore. Lavava dei panni e non sembrava per nulla inacidita dal fatto che tanto fulgore non venisse raccolto da un produttore cinematografico.

Penthouse: E cosa accadde?

Bacon: Accadde una cosa che in Europa sarebbe stata semplicemente impossibile. Il mio amico si mise a piangere, non esagero, a piangere calde lacrime. Per lui tanta incredibile bellezza era il simbolo di quello che non avrebbe mai avuto, di quello che non sarebbe mai stato. Le andò vicino e cadendo carponi le disse abbracciandole le ginocchia: "La prego, non mi respinga. Sono quasi vecchio, non tornerò più da queste parti, in Inghilterra le donne mi hanno sempre trattato come un verme schifoso. Non ho mai potuto neanche toccare una persona bella. La prego...". Lei non capiva certo il suo inglese ma avvertì, istintivamente, organicamente, che l'altro era in quel momento un povero omettino sull'orlo della pazzia. Un assetato, un moribondo che chiedeva, almeno una volta, l'assoluzione. Non potrò mai scordare il sorriso di infinita comprensione e di infinita bontà con cui ricambiò il suo abbraccio. Ora immagini la stessa scena in Europa. Lei gli avrebbe mollato uno schiaffo. Avrebbe urlato istericamente che era un porco. Oppure gli avrebbe chiesto dei soldi. Oppure con lo sguardo penetrante della corruzione avrebbe scrutato in lui l'industriale potenziale. Eh sì, abbiamo perso l'arte del dare.


Penthouse: Sembra quasi la favola del Buon Samaritano in chiave erotica.

Bacon: Mi aspettavo addirittura parlasse di colonialismo in ritardo. Lei è giovane e può permettersi di fare dell'ironia ma forse quando avrà sessant'anni capirà quello che voglio dire.

Penthouse: C'è mai stata nessuna figura che l'abbia influenzata profondamente?

Bacon: Culturalmente?

Penthouse: No, nel contatto diretto.

Bacon: Non saprei, forse il filosofo Bertrand Russell, non solo per i suoi libri quanto per quel che era lui come persona.

Penthouse: Lo conobbe bene?

Bacon: Quando frequentai per alcuni mesi casa sua ero ancora un ragazzo. Ma sapevo già osservare. Forse è l'unico uomo che abbia realmente visto infrangere la legge dei vent'anni.

Penthouse: La legge dei vent'anni?

Bacon: Si, quella legge per cui è pressoché impossibile che un uomo e una donna amino realmente se hanno più di dieci anni di differenza. Ho visto ventenni amare trentenni. Non ho mai visto ventenni amare quarantenni. Non ho mai visto trentenni amare cinquantenni. Al di là del fatto che ci siano milioni di coppie che per altri motivi, magari altrettanto seri che l'amore (l'interesse, la paura di rimanere soli), rimangono assieme con una differenza di età ancora maggiore.

Penthouse: E Russell?

Bacon: Bene, posso testimoniare di aver visto alcune stupende ragazze innamorarsi follemente di lui che allora era già una persona anziana. Era piccolo, gracile. Ma aveva due occhi stupendi e un che di pulito. E soprattutto ti dava la sensazione che qualunque cosa tu gli chiedessi, da un mistero interpretativo in Hegel a come si coltiva una rapa, avesse pronta una risposta straordinaria, definitiva e semplice. In fondo era come parlare con Dio. Come uno che abbia in mano le chiavi del creato.

Penthouse: Non è un privilegio della gloria?

Bacon: Assolutamente. lo per esempio non penso di essere uno sconosciuto, né mi manca la battuta. Ma su milioni di cose non so nulla, oppure ho una opinione frettolosa e di parte. Mentre Russell dava come la sensazione di parlare da un altro mondo. Forse potrei paragonarlo ai santi. Ma dei santi non aveva né l'arroganza né l'ignoranza.

Penthouse: I santi erano arroganti e ignoranti?

Bacon: Certo, quella storia per cui uno stabilisce il filo diretto con Dio e poi tutto quello che sa fare è alzare gli occhi al cielo e tirare le orecchie al mondo. Troppo facile. Ci riuscirebbe di certo chiunque.

Penthouse: Cambiamo argomento. Pensa che tra persone deIIo stesso sesso ci possa essere la stessa passione che in un rapporto eterosessuale?

Bacon: Moralmente sarebbe doveroso, tecnicamente è più difficile.

Penthouse: In che senso tecnicamente?

Bacon: Tecniche sociali. Un rapporto non è mai a due. Vive anche della simpatia e dell'armonia che sa crearsi attorno. E siccome i pregiudizi e le ostilità verso una coppia dello stesso sesso sono ancora molto forti è più difficile, per una coppia di questo tipo, passare illesa attraverso queste tensioni.

Penthouse: Lei pensa che possano innamorarsi felicemente solo le persone giovani e belle?

Bacon: Giovani e belle e dentro pulite.

Penthouse: Eppure dicono che Picasso, fino a tarda età...

Bacon: Ma certo. Una cosa è l'amore, un'altra è avere il potere di esplicare una lunga attività sessuale, così come non essere un grande scrittore non impedisce di stilare delle ottime lettere. E nonostante le sue cento amanti, potrei raccontarle mille episodi sul come si sentisse molto solo. Sapeva che l'amore è un fiore crudele che dura pochissimo, per pochissime persone. Il che non impedisce che curare la propria solitudine con cento amanti sia piacevole.

Penthouse: Che cosa è per lei l'orrore?

Bacon: Lei apparentemente è un ragazzo in forze e felice. Però osservandola meglio ecco un inizio di borse sotto gli occhi che rivelano i primi disturbi di fegato. Cinque minuti fa ha tossito e potrebbe arrivarle una bronchite. Forse un'ora dopo l'intervista la sua macchina uscirà di strada. Oppure tornando a casa le diranno che una persona a lei cara è scomparsa. Così senza muoversi senza aver fatto nulla. È l'orrore che si muove per noi.

Penthouse: Ma lei è sempre disperato?

Bacon: Temo sia in arrivo un'altra definizione... non si tratta di disperazione. Camus ha scritto che una cosa è non avere speranze, un'altra è essere disperati. Soppesare l'orrore non significa trasudare tristezza. Semmai aumentare le difese.

Penthouse: So che conobbe Pasolini.

Bacon: Venne a trovarmi una volta.

Penthouse: Cosa pensa della sua opera?

Bacon: Conosco abbastanza il greco antico da poter giudicare Sofocle ma non abbastanza l'italiano da poter chiedere dove si trova un buon ristorante. È un problema di traduzioni. Dostoevskij diceva che il russo è una lingua talmente brutta che qualunque traduzione migliorava la sua opera. In genere però non è così. Potrei dirle qualcosa di Verga perché ho letto la straordinaria traduzione che Lawrence fece del Mastro Don Gesualdo che già pare sia un capolavoro nell'originale. Comunque non sono in grado di appurarlo. Lawrence potrebbe averlo sublimato come appesantito, chissà. Come vede siamo circondati dall'ignoto.

Penthouse: Cosa avrebbe voluto fare se non avesse fatto il pittore?

Bacon: Il tennista.

Penthouse: Il tennista?

Bacon: Sì, oggi penso sia l'attività individuale più gratificante che ci sia al mondo. Di straordinario ha questo punteggio che cambia continuamente accendendo in ognuno dei giocatori il senso del trionfo o della sconfitta. Poi il fatto, ma anche qui mi devo fidare di chi me lo ha spiegato, che i colpi nascono non dal braccio ma dall'equilibrio di tutto il corpo, quindi è come se fosse un linguaggio in cui trova voce l'intero organismo. Da qualche parte ho letto che se il primo uomo sulla Luna fosse sbarcato in contemporanea alla finale di Wimbledon non avrebbe avuto molti telespettatori. Non stenterei a crederci.

Penthouse: Lei si sente inglese o cittadino del mondo?

Bacon: Dirmi orgogliosamente inglese ha un che di militare, proclamarmi cittadino del mondo avrebbe un che di enfatico. Queste sono le domande che mandavano in delirio soprattutto i nostri nonni.

Penthouse: Delle trasformazioni dell'Inghilterra e dell'Europa in genere pensa qualcosa?

Bacon: Penso non sia cambiato molto.

Penthouse: Eppure l'Inghilterra è stata un simbolo di cambiamento.

Bacon: Come giudizio mi sembra eccessivo. Ultimamente ha avuto successo in alcune cose come la musica o certi capi di abbigliamento, tutto qua. Questo non cambia i gusti o lo stile di una nazione.

Penthouse: Ma le nuove leve giovanili...

Bacon: Anche secoli fa gli studenti delle università si ribellavano e si facevano crescere i capelli.

Penthouse: Non penserà che Inghilterra sia ancora retta da duchi e da potentati?

Bacon: Cambiano i blasoni e le formule ma non la sostanza. Le teorie sociali si illudono di poter plasmare gli uomini a un ideale di giustizia che però non risiede nel posto di lavoro o nell'estendersi dei diritti civili, che pure sono sacrosanti.

Penthouse: Si può spiegare meglio?

Bacon: Cose come il razzismo o la ferocia sociale non sono cambiate.

Penthouse: Quale razzismo?

Bacon: Il razzismo per cui lei intervista me e non un pittore sconosciuto e più bravo di me. Il razzismo per cui una donna alta non amerà mai un uomo basso, anche nella più giusta delle società. Nell' ultima lettera di Lenin...

Penthouse: Lei ha letto Lenin?

Bacon: Accuratamente. Non gli scritti che mi paiono noiosi ma le lettere, che sono formidabili. Bene, quello di cui stiamo parlando può forse essere meglio esemplificato proprio dalla sua ultima lettera, sempre che sia vera, perché a me pare quasi troppo divertente per essere vera.

Penthouse: Di che si tratta?

Bacon: Gli storici ricordano questa lettera perché Lenin vi scrisse una violentissima reprimenda contro Stalin. Uno può supporre che la scrivesse perché aveva avvertito puzza di congiura o di tradimento ideologico. Sa invece perché si arrabbiò? Perché Stalin si era comportato in "modo sgraziato". Proprio così scrisse, con "modi poco educati" durante il tè della moglie di Lenin. Ora io non voglio ridurre una rivoluzione a un aneddoto (comunque stiamo parlando dell'ultima lettera di Lenin, non di un aneddoto) ma mi sembra straordinario che l'ultima lettera che si scrissero due grandi rivoluzionari si imperniasse su un dettaglio da salotto. Come due lord inglesi.

Penthouse: Lei crede in Dio?

Bacon: Sa, chiunque abbia un minimo di buon senso e un minimo di studi... nello stesso tempo mi colpisce quello che chiamerei l'arrogante eroismo degli atei. Questo qua non esiste! Quello là è falso! Avranno anche ragione ma il nulla è una entità talmente terribile che anche gli assurdi angeli della religione cattolica sarebbero divertenti, rispetto al nulla.

Penthouse: Lei dove pensa di andare a finire dopo morto?

Bacon: Diciamo che rispetto alla polvere neanche !'inferno mi sembrerebbe poi così terribile. Se ci vado io ci andranno anche molti miei amici e suppongo che sapremmo organizzarci e in quanto alla famosa "nostalgia di Dio", be' non l'abbiamo mai conosciuto, io non ho nostalgia di chi fa il prezioso.

Penthouse: È più importante essere giusti o felici?

Bacon: Molti che si proclamano giusti hanno finito per sapere fare solo i massacratori di popoli. Una specialità dei cosiddetti grandi della storia. Direi che la felicità è un obiettivo assai meno pericoloso.

Penthouse: Ha qualche rimpianto?

Bacon: Tutti.

Penthouse: Come, tutti?

Bacon: Tutti nel senso di tutti. Avrei voluto essere una persona in grado di amare passionalmente tutti gli esseri umani, e che tutti mi attraessero. Avrei voluto capire il linguaggio degli animali e che con ognuno di loro fosse stato possibile avere un rapporto paragonabile a quello con un essere umano. Avrei voluto che gli alberi non avessero un carattere così chiuso e fossero in grado di giocare con me, magari a tennis. Avrei voluto essere un animale meno goffo e sapere per lo meno volare e fare deiù viaggetti, quando mi andava, almeno in altri cinque universi. Avrei voluto conoscere Michelangelo mentre dipingeva la Sistina e Mozart mentre componeva il Don Giovanni. Non solo, ma di tutti e due avrei voluto essere il miglior amico e che loro proclamassero di aver compiuto insieme a me la loro opera migliore. E questo è solo l'inizio dei miei infiniti rimpianti. Quelli, in fondo, di un uomo qualunque. Ogni tanto qualcuno mi viene a dire che sono il più grande pittore del secolo. Se sia vero non so. In ogni caso per me non è una consolazione.

(Vedi anche: Personaggi scomparsi nelle biografie di Francis Bacon: Jacob Rothschild e Cristiano Lovatelli)




sabato 28 ottobre 2023

CGIL, il dramma della magistratura: gli spunta un "Fiore" in bocca!

CGIL, il dramma della magistratura: gli spunta un "Fiore" in bocca!

di Marco Saba, 28 ottobre 2023, in ottemperanza all'art. 21 della Costituzione


Firmo volentieri l'appello di Fahrenheit2022:

Contro la persecuzione di regime, a difesa delle libertà di tutti

Fahrenheit2022, in virtù del suo costante impegno in difesa delle libertà sociali, concrete e in questo caso giudiziarie, che appaiono sempre più ristrette a causa dell'opera di settori di "regime", ha deciso di promuovere una petizione affinché sia fatta giustizia nei confronti dei dirigenti del movimento politico Forza Nuova, rinviati a giudizio per il reato di istigazione a delinquere a seguito di un comunicato stampa emesso il 10 ottobre 2021, a ridosso della grande manifestazione popolare del 9 ottobre, in un contesto di giusta polemica politica che criticava fortemente il sistema per le drastiche imposizioni prese a favore della obbligatorietà del green pass.

Va notato che in questo contesto viene rinviato a giudizio anche Roberto Fiore, segreterio del movimento, nonostante egli, nel momento della redazione e diffusione del comunicato, fosse detenuto in carcere a seguito della manifestazione di Roma e dunque impossibilitato a partecipare ad un'eventuale "azione delittuosa"

Vi chiediamo di firmare e appoggiare questa battaglia importante CHE NON HA COLORE POLITICO ma il solo intento di denunciare un sistema repressivo. Un gesto che servirà a impedire che, dopo il capro espiatorio, si arrivi ad aggredire con il crescente controllo sociale e mediatico, le libertà di tutto il popolo in modo brutale e definitivo. Pertanto ti chiediamo di sostenere questa battaglia e di lottare affinché non siano questi gli ultimi mesi di vita per le nostre libertà.

La questione riguarda il famoso assedio/assalto della CGIL di Roma che era stata già devastata, negli anni, dall'azione di sindacalisti senza scrupoli che se da una parte hanno minato completamente la fiducia dei lavoratori nel sindacato, dall'altra hano partecipato ignominosamente alla propaganda stragista ricollegabile alla sperimentazione di massa di farmaci sperimentali ritenuti inadatti all'uso umano dallo stesso inventore della tecnologia mRNA, Robert Malone -- oggi grande attivista per far cessare la "strage degli ubbidienti" che conta ormai 25 milioni di vittime.

Per quanto ho potuto capire, anche dalle udienze al Tribunale di Roma, durante una imponente manifestazione popolare a Roma il 9 ottobre 2021, gli organizzatori della stessa furono autorizzati dalla Digos a convergere verso la sede della CGIL dove trovarono un carabiniere (o un funzionario dei servizi? I due ruoli sono spesso interscambiati) che aprì loro la porta dopo aver forzato una finestra dall'esterno. Aperta la porta, parte dei dimostranti guidati da un funzionario della Digos, entrarono nella sede CGIL dove rovesciarono/danneggiarono suppellettili per un importo inizialmente stimato in 21mila euro.
La dinamica dell'episodio appare una brutta copia dei fatti accaduti pochi mesi prima negli Stati Uniti e chiamati "Capitol Hill 6 gennaio 2021", dove grazie alle telecamere di sorveglianza si scoprì che fu la Polizia ad aprire le porte ai manifestanti



Si capisce l'imbarazzo della magistratura ad ammettere che la manifestazione sostanzialmente trovava l'appoggio/direzione da parte delle forze dell'ordine, evidentemente anch'esse esasperate dalle misure liberticide, e col senno di poi assassine, attuate con il Green Pass, novello "passaporto razziale", dai regimi corrotti dalle multinazionali del farmaco. E quindi come al solito si trasforma quella che era una dimostrazione contro la dittatura acefala del capitale in una manifestazione "di destra" (in America: "Repubblicana") per cercare impietosamente di trasformare la legittima indignazione ed esasperazione del popolo in un fatto politico utile a perseguitare i leader della destra che non hanno fatto a tempo a mettersi la kippà. L'unica cosa sicuramente fascista del processo è il codice penale che è stato utilizzato.

I leader che hanno fatto in tempo: Fini e Alemanno

Ovviamente questo gioca a favore del regime della Meloni che così non rischia di veder sorpassate le sue posizioni filo-atlantiste e. sostanzialmente, il tradimento di tutte le promesse pre-elettorali, da un pubblico di destra che non le crede più.

Così ecco che appunto la magistratura "democratica" si accanisce coi leader dissenzienti, arrivando a processare, dopo sei mesi, uno che era passato dalla CGIL mezz'ora dopo i fatti. L'importante è che siano tutti rigorosamente identificabili con l'area della Destra. Nel caso di Fiore la faccenda appare anche più grottesca grazie al fatto che da quarant'anni viene ripescato ritualmente come uomo nero da mettere sul banco degli imputati (credo abbia 13 figli e questo è comunque inescusabile in un periodo in cui tutti i miliardari pacifinti si ostinano a proclamare che NOI siamo troppi su questo pianeta...).

Roberto Fiore, presidente del gruppo europeo Alleanza per la Pace e la Libertà


Ma la notizia buona è che la misura liberticida del "Green Pass" oggi ci torna utile - ex post - per identificare i potenziali soggetti a malori imrovvisi a cui dovrebbe essere cautelativamente sospesa la patente di guida o il brevetto di pilota di aerei ed elicotteri.

Più importante ancora: il Green Pass ci permette di identificare il gruppo di controllo di questa sperimentazione eugenetica, ovvero quelli che - non essendo stati vaccinati - possono servire da confronto con la popolazione vaccinata e stabilire così con certezza quante vite si sarebbero potute risparmiare bloccando a tempo la campagna vaccinale.

Che i vaccini a mRNA siano intollerabili anche secondo il diritto internazionale di guerra l'ho già dimostrato nel secondo numero della rivista di giurisprudenza "Libertà nel Diritto".

Ora non resta che contare sul risveglio dei magistrati alla realtà dei fatti che, come suggerisce il generale Vannacci, potrebbero essere all'incontrario. Chi vivrà vedrà.


giovedì 26 ottobre 2023

Francis Bacon: opere dubbie nel catalogo "ragionato" dell'ESTATE di Londra

 SONO APPARSE OPERE DUBBIE

Francis Bacon: Il folle affare da un milione di dollari con il suo patrimonio


di Silke Müller

STERN, 6 novembre 2016, 16:01


Il 2016 è l'anno di Francis Bacon: cinque grandi mostre in tutto il mondo celebrano l'artista, e un catalogo ragionato vanta circa 100 dipinti precedentemente sconosciuti. Il mercato dell’arte sta diventando un business da milioni di dollari. A tirare le fila sono gli esecutori testamentari dell'artista.

"E ora arriviamo al lotto 8A, visibile a sinistra, a voi a destra, signore e signori, il magnifico trittico 'Lucien Freud' di Francis Bacon del 1969. Che meraviglia, eccolo qui."



New York , 12 novembre 2013. Nella sala d'asta della casa d'aste Christie's al Rockefeller Center, l'asta serale di arte contemporanea e del dopoguerra si avvicina al suo culmine. La guerra delle offerte è aperta. Il denaro è nell'aria. E silenzio. Il banditore Jussi Pilkkanen scoppia in una risata e incoraggia la prima offerta: "Silenzio, cominciamo adesso!" Quindi un "80 milioni di dollari!" riscattati, seguito da un "85 milioni di dollari!" che spinge in avanti. Poi "90, ne ho 90".

Il prezzo sale in incrementi di cinque milioni fino a 120. Poi 121, 122, due offerenti al telefono ora si contendono la foto, nella stanza c'è un silenzio teso. Con 126 milioni di dollari, Pylkkanen si sporge sulla scrivania come se volesse raccogliere lui stesso i milioni e afferma: "Un momento storico".

Alla fine, con il consueto ricarico per la casa d'aste, il dipinto in tre parti è andato a Elaine Wynn, l'ex moglie del magnate dei casinò di Las Vegas Stephen Wynn, per $ 142.405.000. Colpo di martello, “Venduto!”, record mondiale.


L'artista più costoso del mondo

Il pittore Francis Bacon, nato a Dublino nel 1909, figlio di un domatore di cavalli inglese, autodidatta senza alcuna formazione scolastica significativa, era già considerato in vita l'artista contemporaneo più costoso. Le sue immagini di persone che sembrano dissolversi in masse di carne, di papi urlanti e corpi che si contorcono sembrano ancora oggi enigmatiche e inquietanti.

Dalla sua morte, avvenuta nel 1992, è scoppiata una battaglia incessante per l'eredità del pittore, stimata in circa 100 milioni di sterline inglesi, e per l'autorità di interpretare la sua opera. E le poche opere importanti che riescono ad arrivare sul mercato sono diventate trofei di miliardari di hedge fund come J. Tomilson Hill di Blackstone e oligarchi russi come Roman Abramovic. Chi non riesce a procurarsi un originale di Bacon con i mezzi convenzionali ricorre a metodi più brutali: a marzo si è saputo che cinque quadri del valore di oltre 30 milioni di euro erano stati rubati dall'appartamento dell'ultimo amante di Bacon a Madrid.

 
All'improvviso il nuovo Bacon funziona ovunque

Quest'anno la Bacon mania ha raggiunto un nuovo culmine con mostre a Liverpool, Monaco

Nel giugno di quest'anno, l' ESTATE ha pubblicato tutte le opere classificate come autentiche in un'opera magnum di cinque volumi in un cofanetto nero, del peso di 15 chili e del costo di 1.000 sterline inglesi . E secondo la pratica comune del commercio d'arte da ora in poi vale quanto segue: quello che c'è dentro è reale.

Molti proprietari di un dipinto che prima era appeso al muro senza documenti e che poteva essere descritto solo come "attribuito a Bacon" possono ora aspettarsi un aumento di valore difficile da quantificare. E le case d'asta, avide di grandi nomi e di opere mai battute prima, cioè di opere fresche sul mercato, sono da tempo ai blocchi di partenza.

£ 400.000 per un prodotto di scarto

Quasi tutto ciò che può essere associato a Bacon attualmente può essere venduto: uno studio di Bacon goffo e probabilmente giustamente rifiutato, che un artista inglese ha tagliato in due, rivoltato e dipinto con paesaggi, è stato venduto a marzo a 434.500 sterline, 15 volte la cifra prevista casa d'aste. E un acquirente si è assicurato due guanti per la mano sinistra che Bacon avrebbe indossato mentre dipingeva, per quasi £ 7.000.

All'asta le opere di Bacon vengono spesso vendute tra i 10 ei 30 milioni di euro. I prezzi variano notevolmente, a seconda delle dimensioni, dell'importanza e dell'apprezzamento del pubblico dell'opera. E secondo la sua impressione: le opere oscure di solito quotano meno. Con circa 100 immagini appena pubblicate, il mercato dell'arte ha un potenziale di centinaia di milioni di euro.

Ne trarranno vantaggio numerosi consulenti d'arte, galleristi, case d'asta e, non ultimo, coloro che stabiliscono contatti tra potenziali acquirenti e proprietari disposti a vendere, elencati nel catalogo ragionato come collezionisti privati ​​anonimi: solo l'Estate Francis Bacon [NdT: una società dormiente iscritta alla camera di commercio di Londra, con partecipazione offshore...] può farlo.


È in gioco la reputazione del pittore

Il rovescio della medaglia del grande attrito: è in gioco la reputazione del pittore. Gli autori, Martin Harrison e la sua assistente Rebecca Daniels, affermano di includere nell'elenco tutto ciò che, secondo le loro scoperte, può essere attribuito alla mano di Francis Bacon: comprese quelle opere che il pittore strappò, tagliò e dipinse con ben noto furore, per poi gettarle nella spazzatura. E che miracolosamente sono sopravvissute.

Con le riscoperte, i tentativi falliti e tutto ciò che Bacon riconosceva ancora durante la sua vita, l'opera del pittore è passata dalle 221 opere documentate nel primo catalogo ragionato del 1964 alle 584 di oggi.

Qualcuno che conosceva molto bene Bacon ed è considerato il principale biografo dell'artista, ha messo all'asta a febbraio un'opera di Bacon di lunga data. Perché sapeva che sul mercato sarebbe entrata un'ondata di opere nuove, a volte scadenti? Michael Peppiatt scuote la testa. "Il dipinto era la mia cassa pensione. A causa del grande aumento di valore negli ultimi anni, non potevo nemmeno permettermi un'assicurazione, quindi l'ho sempre prestato a musei e mostre. Almeno così era al sicuro ."

Il regalo dell'amico ha fruttato quasi cinque milioni di sterline. Quest'anno Peppiatt compie 75 anni e continua a liberarsi dall'incantesimo del suo mentore con ogni libro, ogni mostra e proprio con questa vendita. Ora sta scambiando il ricordo con una casa sulla Costa Azzurra.

Incontro con il biografo

Peppiatt si trova al primo piano del Café de Flore in Boulevard Saint-Germain, Parigi. Ha scelto questo luogo perché rappresenta i bei vecchi tempi, quando Parigi era il luogo dei desideri di artisti e intellettuali provenienti da tutto il mondo. Quando ancora i dipinti provocavano dibattiti esistenziali. E quando il giovane storico dell’arte londinese Peppiatt cercò e trovò qui la sua fortuna nel 1966.

Il celebre autore ha recentemente raccontato quanto la sua storia sia strettamente legata alla vita e all'opera di Bacon, e quanto debba al pittore, nella doppia biografia "Francis Bacon in your blood", pubblicata a Londra nel 2015: "Un conoscente pazzo, malvagio e pericoloso, e lo era, Francis Bacon è diventato per me una figura paterna e l'influenza più importante sulla mia vita."

Peppiatt aveva 21 anni ed era studente a Cambridge quando fondò la sua prima rivista nel 1963 e voleva fare un'intervista con l'allora 53enne Francis Bacon. Incontrò il famigerato bevitore, giocatore d'azzardo e amante di giovani piccoli gangster in un bar di Londra e iniziò una relazione che si sarebbe conclusa solo con la morte di Bacon.

Fama incredibile e dramma personale

Bacon era all'inizio del suo decennio migliore e di maggior successo: nel 1958 firmò con la principale galleria londinese Marlborough, nel 1962 la Tate Gallery lo consacrò nella storia dell'arte con una retrospettiva, nel 1963 seguì il Guggenheim Museum di New York, e nel 1964 fu pubblicato il suo attuale catalogo ragionato. Il trionfo andò di pari passo con il dramma personale di Bacon: poco prima dell'apertura dello spettacolo alla Tate nel 1962, l'amante di Bacon, Peter Lacy, si ubriacò fino alla morte. E nel 1971, alla vigilia della celebre mostra al Grand Palais di Parigi, l'amante di Bacon, George Dyer, si uccise.

Se la sua carriera crebbe così rapidamente e con costanza, Bacon lo deve al brillante mercante d'arte Frank Lloyd, un ebreo viennese emigrato a Londra che fondò la Marlborough, probabilmente la galleria più influente del dopoguerra. Lloyd operava con la stessa efficienza di una banca d'investimento. Gli artisti ricevevano anticipi, pagamenti mensili fissi e tutte le loro questioni finanziarie venivano gestite dalla galleria. E producevano valori di scambio che Lloyd seppe moltiplicare.

A Bacon piaceva il denaro, ma non lo contava. Un pomeriggio è partito, seguendo una scia di amici che ha invitato alla buona tavola, allo champagne e al Bordeaux, per poi proseguire nei bar di Soho, "The French House", la mitica "Colony Room", il Coronation Club . E Peppiatt, affascinato da questo mondo che gli era estraneo, lo seguì.

"Quando viaggi con Bacon, devi essere in grado di tenere il passo", afferma Peppiatt. "Non importa quanto hai bevuto con lui la sera prima, non c'è questione di bere di meno il giorno dopo. Francis sembrava pensare che l'unica soluzione fosse l'eccesso costante e implacabile."

Bevi la sera, dipingi la mattina

Ma con la stessa costanza con cui Bacon si dedicava alla sua baldoria notturna, la mattina dopo si trovava nel suo studio e lavorava sulle sue tele. Ha scoperto la pittura in età avanzata e ha iniziato a dedicarsi seriamente alla sua carriera solo all'età di 35 anni. Il suo approccio non era accademico sotto ogni aspetto: senza una formazione classica, si abbandonava alla creatività eruttiva e produceva a un livello incoerente. Principio di prova ed errore. "La sottile differenza che fa tra fallimento e successo nasce da una profonda convinzione e viene attuata senza pietà", scriveva John Rothenstein nel 1962, che, come direttore della Tate Gallery di Londra, organizzò la prima grande retrospettiva del pittore e co-editò il catalogo ragionato del 1964.

La pittura rimase l'unica cosa costante nella sua vita. Da quando il padre lo sorprese vestito nei panni di sua madre e lo mandò a Berlino presso uno zio per disciplinarlo, Bacon viaggiò attraverso l'Europa e il Nord Africa, cercò sostegno nei compagni, perse due amanti e riversò il suo dolore nell'arte. Era immerso nella rivelazione del nulla, dice Peppiatt. Questo gli ha dato la libertà. Ma lo ha anche privato di ogni speranza.

I dipinti di Bacon documentano questa battaglia epica tra la ricerca della verità e la distruzione: "Devi deformare l'apparenza in un'immagine", così descrive il suo metodo di lavoro. "Sto solo cercando di piegare qualcosa alla verità."

Nella sua ricerca dell'assoluto, Bacon non era schizzinoso, né nella vita né nell'arte. Ha cancellato quasi completamente i suoi primi lavori degli anni '20 e '30. Si dice che solo nel 1949 abbia distrutto più di 700 opere. Ma non tutte le tele sono cadute vittime del disprezzo e dei dubbi di Bacon. "C'era una pila di opere scartate nel suo studio", riferisce Peppiatt. E dice che i lavori scartati continuavano a spuntare da qualche parte, in studi abbandonati, presso vecchi compagni o persone che avevano accesso allo studio.

Ora, con la pubblicazione del nuovo catalogo ragionato, alcune di queste opere ritenute non valide dall'autore sono state probabilmente riclassificate come veri e propri Bacon. "Dobbiamo esaminare questo catalogo con molta attenzione", afferma Peppiatt. Peppiatt aveva rifiutato di collaborare con l'Estate.

Gli storici dell’arte generano milioni di dollari

Il rapido sviluppo del mercato dell'arte dall'inizio del millennio ha dato agli storici dell'arte un potere che a volte rasenta la magia: "Quando l'arte viene venduta per milioni di dollari, la fiducia nell'attribuzione dell'opera apre le porte a una fortuna", scrive il professore di economia ed esperto del mercato dell'arte Don Thompson nel suo libro "The Supermodel and the Brillo Box". I consigli di amministrazione e i comitati diventano istituzioni chiave. In questa scena "il denaro passa di mano in mano", dice un curatore londinese. "Puoi reinventare il mondo di Bacon e generare centinaia di milioni nel processo."

Ma chi o cosa è esattamente la Bacon Estate? L'amministrazione respinge le domande di Stern sulla forma organizzativa e sulla funzione. Non ci sono informazioni nemmeno sul sito web della Estate. Solo nella sezione "Amici" si può trovare, tra tutti gli illustri artisti, scrittori, modelli e partner dell'artista, la foto di un giovane che non figura in nessuna delle biografie dell'artista: Brian Clarke.

L'unico erede di Bacon, John Edwards, un bell'uomo analfabeta che aveva lavorato nei bar di Soho dei suoi fratelli ed era stato vicino a Bacon per l'ultimo decennio della sua vita, aveva passato la responsabilità dell'eredità al designer del vetro Brian Clarke nel 1998.

"Un gruppo di cowboy"

"Sono un gruppo di cowboy", dice il critico d'arte Brian Sewell di Edwards e Clarke. Edwards non sapeva nulla del mercato dell'arte e Clarke capì che c'era un tesoro da trovare. Clarke ha ritirato il diritto della Marlborough Gallery di rappresentare il patrimonio di Bacon e aveva citato in giudizio la galleria per il rilascio di 33 opere e documenti presumibilmente sottratti indebitamente per circa 100 milioni di sterline. Nel 2002 dovette ritirare la causa. Ma ora era il custode del lavoro del pittore.

Nel 2006 Larry Gagosian, probabilmente il più potente mercante d'arte del mondo, allestì a Londra la prima mostra su Bacon dopo la separazione da Marlborough. La presentazione di un'installazione di Brian Clarke nel 2005 probabilmente non ha ostacolato il colpo. Clarke ora si definisce il “leader mondiale” nella categoria delle vetrate colorate. Lo studio di Bacon nell'ex rimessa per carrozze al 7 di Reece Mews è stato trasformato da Clarke ed Edwards in un appartamento di lusso per i soggiorni londinesi dell'erede [John Edwards], che dopo la morte di Bacon visse, tra l'altro, alle Keys in Florida e successivamente in Tailandia, dove è anche morto. Oggi è la sede della Bacon Estate. Brian Clarke appare raramente in relazione a Francis Bacon. Ha trovato un prestanome per i suoi affari che è fin troppo felice di essere sotto i riflettori: l'ex fotografo di moda e curatore Martin Harrison, che viene descritto dall'editore del catalogo ragionato come un "esperto eccezionale" del lavoro di Francis Bacon.

Dopo più di dieci anni di ricerca per il catalogo ragionato, la sua conoscenza specialistica non può essere messa in dubbio. Tuttavia, il fatto che nel 2006 si sia reso retroattivamente co-organizzatore della grande mostra di Bacon a Düsseldorf è solo uno dei tanti aspetti discutibili di Harrison. Armin Zweite, allora direttore delle Collezioni d'arte NRW e curatore della mostra, dice: "L'ho incontrato una o due volte, è arrivato relativamente tardi e ha scritto un buon articolo su Bacon e la fotografia".

Il fatto che Harrison presenti ora circa 100 Bacon appena scoperti sorprende Zweite: "Dopo tutte le recenti esperienze, questo ti rende sospettoso". Per il noto storico dell'arte è discutibile reinserire nell'opera le immagini rifiutate: "Se un artista dicesse: "L'ho rifiutato", allora dovresti prenderne atto". Harrison e l'ESTATE vendono i reperti come sensazionali. A fine maggio hanno invitato a visionare in anteprima il catalogo in una mostra su Bacon allestita appositamente per quella giornata nel quartiere di Soho. Alle pareti: sei grandi opere di Bacon. Per quanto riguarda l’origine dei quadri, Harrison sussurra che provengono da “collezioni private molto private”. Altre furono scoperte in un magazzino chiuso a chiave a Chelsea, insieme a molti altri dipinti che Bacon scartò, mise via e poi probabilmente dimenticò, ha detto Harrison.

I dipinti dovettero essere sollevati al primo piano con una gru e un impiegato dell'editore dormì nella mostra per paura che le opere venissero rubate. Harrison, che indossa un gilet di velluto verde sotto una giacca blu, si avvicina al microfono. "Questo è l'inizio di qualcosa", dice. Più avanti nella conversazione non può rispondere su chi ha ereditato l'eredità dopo la morte di John Edwards, né chi siede nel consiglio di amministrazione della Bacon Estate: "Brian Clarke è il direttore della Bacon Estate, non ho idea della situazione legale. Ci sono degli amministratori [Trustee], o come si chiamano. Non so nemmeno chi siano." Non gli basterebbe chiedere a suo figlio? Ben Harrison lavora presso la Bacon Estate.

Harrison presentò le sue scoperte a un comitato, che alla fine decise se includerle nel catalogo. Lo conferma lo storico dell'arte e attuale direttore della sede londinese di Gagosian, Richard Calvocoressi: "Sono stato membro del comitato dalla sua nascita nel 2006 fino allo scorso anno, 2015, quando mi sono trasferito alla galleria Gagosian. Di solito ci incontravamo due volte l'anno. "


"Un catalogo di opere non è una hit parade"

Il compito del comitato era decidere se qualcosa era reale o falso. "A volte ho fatto molta fatica a convincerli: no, quello è proprio Bacon! Ci sono circa 20 opere nel catalogo che avrebbero dovuto essere distrutte. Ma sono venute al mondo, in un modo o nell'altro, soprattutto perché qualcuno le ha trafugate. Ma io non sono Dio, se esistono devo registrarle. Un catalogo di opere non è una hit-parade."

Harrison va avanti. È quasi certo che non ci sia un falso Bacon tra i 584 dipinti in catalogo, quando il discorso passa a Roma, al pittore Caravaggio: "So esattamente di cosa sto parlando. Lo so assolutamente. Il Narciso di Caravaggio a Roma non è di Caravaggio. Perché lo dico io!"

Riguardo alla resuscitazione delle opere elencate come distrutte nel catalogo ragionato del 1964, Harrison dice: "A Bacon non importava molto. Non era un contabile. Ho visto la maggior parte delle opere che furono distrutte. E come avrei potuto vederle se fossero state distrutte nel 1964? Fine della discussione!"

L'uomo è controverso. E chi lo ha incontrato sa perché. Edward Lucie-Smith, poeta, autore, esperto d'arte, fotografo e intimo conoscitore della scena artistica londinese, descrive Harrison come "straordinariamente spietato. Si comporta come il "re delle attribuzioni di Bacon". Bacon sarebbe estremamente scontento di tutto il lavoro che è ora apparso in catalogo, dice Lucie-Smith. L'enorme attenzione che il mercato attualmente riserva a Bacon e che l'Estate sta alimentando con le sue attività è una grande opportunità per Harrison per far avanzare la sua carriera. A Monaco ha curato un'importante mostra di Bacon, per poi trasferirla al Guggenheim di Bilbao. In questo modo, cercò di trasformare la figura sociale marginale di Francis Bacon in un artista socialmente accettabile. Minimizzò la sessualità gay, spesso violenta di Bacon. Harrison sottolineò che c'erano solo undici quadri. in cui gli uomini facevano sesso. Ci sarebbero invece 18 raffigurazioni di donne nude.

Al Grimaldi Forum di Monaco sono state esposte 13 opere del periodo fino al 1964 che non compaiono nel primo catalogo ragionato - e molte altre del periodo successivo. Harrison le ha presentate tra tende scure, ciascuna sulle proprie pareti, in parte allestite sui pianerottoli delle scale e illuminate in modo spettacolare dall'oscurità con i riflettori. Reperti che sono ormai prepotentemente iscritti nel canone delle grandi opere di Bacon.

Lo scopo della mostra era quello di stilizzare i soggiorni di Bacon a Monaco tra il 1946 e il 1949 come momenti chiave della sua carriera. Rothenstein affermò già nel 1964: "Sebbene Bacon provasse a dipingere quando viveva a Monte Carlo, si rese conto che lì non avrebbe potuto ottenere quasi nulla e dovette tornare a Londra per lavorare per la sua mostra".

Harrison ora sta diffondendo il contrario. Non c'è da stupirsi: un importante partner di Harrison e sponsor di mostre, cataloghi e progetti di ricerca è il filantropo e proprietario di hotel di lusso libanese Majid Boustany, che vive a Monaco [NdT: Figlio di un mercante d'armi, promotore presso il principe di Monaco di "giovanissimi talenti musicali libanesi"]. Un pazzo pazzo, ricco, entusiasta e la sua passione per il collezionismo difficilmente può essere fermata. Ora ha fondato una fondazione, ha aperto il suo museo nella micromonarchia e, secondo Harrison, possiede la più grande collezione privata di Bacon al mondo. Harrison consiglia inoltre Boustany sugli acquisti e sulla direzione della sua collezione. “Dovrei smettere di prendere soldi per questo”, aggiunge.

Nessuno sa se Bacon, il grande distruttore, approverebbe una qualsiasi di queste azioni. I suoi compagni e coloro che lo hanno studiato a fondo ne dubitano, e qui anche Harrison concorda con i suoi critici: "Grazie a Dio Bacon non è qui. Un uomo orribile, rompiscatole. Non avrebbe mai permesso che accadesse una cosa del genere qui".



Originale tedesco:

STERN
ZWEIFELHAFTE WERKE AUFGETAUCHT
Francis Bacon: Das irre Millionengeschäft mit seinem Nachlass
Silke Müller
von Silke Müller
06.11.2016, 16:01

2016 ist das Jahr des Francis Bacon: Fünf große Ausstellungen weltweit feiern den Künstler, ein Werkverzeichnis trumpft mit rund 100 bislang unbekannten Gemälden auf. Dem Kunstmarkt wächst ein Millionengeschäft zu. Die Fäden ziehen die Nachlassverwalter des Künstlers.

"Und jetzt kommen wir zu Los 8A, zu sehen auf der linken Seite, Ihnen zur Rechten, Damen und Herren, das großartige Triptychon 'Lucien Freud' von Francis Bacon aus 1969. Wunderbares Ding, hier haben wir es."

New York, 12. November 2013. Im Verkaufsraum des Auktionshauses Christie's im Rockefeller Center steuert die Abendauktion für Nachkriegs- und zeitgenössische Kunst auf ihren Höhepunkt zu. Das Bietgefecht ist eröffnet. Geld liegt in der Luft. Und Schweigen. Auktionator Jussi Pylkkanen presst ein Lachen hervor, ermuntert zum ersten Gebot: "Husch, wir beginnen jetzt!" Dann ein erlöstes "80 Millionen Dollar!", gefolgt von einem vor-wärts drängendem "85 Millionen Dollar!" Dann "90, ich habe 90."

Der Preis steigt in Fünf-Millionen-Schritten bis 120. Dann 121, 122, zwei Bieter am Telefon kämpfen jetzt um das Bild, im Saal herrscht angespannte Stille. Bei 126 Millionen Dollar beugt sich Pylkkanen über sein Pult, als wolle er die Millionen eigenhändig aus der Luft scheffeln und stellt fest: "Ein historischer Moment." 

Am Ende, mit dem handelsüblichen Aufschlag fürs Auktionshaus, lan-det das dreiteilige Gemälde für 142.405.000 Dollar bei Elaine Wynn, der Ex-Frau des Las Vegas Casino-Moguls Stephen Wynn. Hammerschlag, "Verkauft!", Weltrekord.

Der teuerste Künstler der Welt

Der Maler Francis Bacon, 1909 als Sohn eines englischen Pferdetrainers in Dublin geboren, ein Autodidakt ohne nennenswerte Schulbildung, galt bereits zu Lebzeiten als der teuerste zeitgenössische Künstler. Seine Bilder von Menschen, die sich in Fleischmassen aufzulösen scheinen, von schreienden Päpsten und sich windenden Körpern wirken bis heute rätselhaft und verstörend.

Seit seinem Tod 1992 ist ein unerbittlicher Kampf um das auf rund 100 Millionen britische Pfund geschätzte Erbe des Malers und die Deutungshoheit über sein Werk entbrannt. Und die wenigen großen Arbeiten, die überhaupt auf den Markt kommen, sind zu Trophäen von Hedgefond-Milliardären wie J. Tomilson Hill von Blackstone und russischen Oligarchen wie Roman Abramovic geworden. Wer auf konventionellem Wege nicht zu einem Bacon-Original kommt, greift zu rabiateren Methoden: Im März wurde bekannt, dass aus der Wohnung von Bacons letztem Lover in Madrid fünf Gemälde im Wert von über 30 Millionen Euro gestohlen wurden. 

Plötzlich überall neue Bacon-Werke

Dieses Jahr nun ist die Bacon-Mania mit Ausstellungen in Liverpool, Monaco, Stuttgart, Bilbao und Los Angeles sowie einem publizistischen Großprojekt auf einem neuen Höhepunkt angekommen: Um die 100 bislang unbekannte Gemälde will "The Estate of Francis Bacon", also die Nachlassverwaltung des Künstlers, entdeckt und verifiziert haben.

In einem fünfbändigen Opus Magnum im schwarzen Schuber, 15 Kilo schwer und 1000 Britische Pfund teuer, veröffentlichte der Nachlass im Juni dieses Jahres alle von ihm als authentisch eingestuften Arbeiten. Und gemäß gängiger Kunsthandelspraxis gilt ab sofort: Echt ist, was drin ist.

So mancher Besitzer eines Gemäldes, das bislang undokumentiert an der Wand hing und höchstens als "Bacon zugeschrieben" bezeichnet werden konnte, kann sich nun über eine in Zahlen kaum zu benennende Wertsteigerung freuen. Und die Auktionshäuser, gierig nach großen Namen und noch nie gehandelten, also marktfrischen Werken, stehen längst in den Startlöchern.

400.000 Pfund für ein Abfallprodukt

Derzeit lässt sich nahezu alles, was irgendwie mit Bacon in Verbindung zu bringen ist, verkaufen: Eine plumpe und wohl zurecht verworfene Studie Bacons, die ein englischer Künstler in zwei Teile geschnitten, umgedreht und mit Landschaften bemalt hatte, brachte im März 434.500 Pfund, 15 Mal so viel, wie das Auktionshaus erwartet hatte. Und zwei linke Handschuhe, die Bacon beim Malen getragen haben soll, sicherte sich ein Käufer für fast 7000 Pfund.

Bacon-Bilder erzielen auf Auktionen häufig Erlöse zwischen 10 und 30 Millionen Euro. Dabei schwanken die Preise ganz erheblich – je nach Größe, Bedeutung und öffentlicher Würdigung des Werkes. Und nach seiner Anmutung: Die düsteren Arbeiten bringen meistens weniger. Mit den rund 100 neu veröffentlichten Bildern wächst dem Kunstmarkt ein Potenzial von Hunderten Millionen Euro zu.

Daran profitieren werden eine Heerschar von Art Consultants, Galeristen, Auktionshäusern und nicht zuletzt jene, die den Kontakt herstellen zwischen Kaufinteressenten und verkaufsbereiten Eigentümern, die im Werkverzeichnis als anonyme Privatsammler gelistet sind: Das kann nur der Francis Bacon Estate.

Der Ruf des Malers steht auf dem Spiel

Die Kehrseite des großen Reibachs: Der Ruf des Malers steht auf dem Spiel. Denn die Autoren, Martin Harrison und seine Assistentin Rebecca Daniels, nehmen nach eigenen Angaben lückenlos alles in das Verzeichnis auf, was sich nach ihren Erkenntnissen der Hand Francis Bacons zuschreiben lässt: Auch jene Werke, die der Maler in allseits bekanntem Furor zerrissen, zerschnitten und auf den Müll geworfen hat. Und die auf wundersame Weise überlebt haben.

Mit den zusammen gefegten Wiederentdeckungen und Fehlversuchen sowie allem, was Bacon zu Lebzeiten noch anerkannte, erhöht sich das Werk des Malers von einst 221 im ersten Werkverzeichnis 1964 dokumentierten Arbeiten auf jetzt 584. 

Einer, der Bacon sehr gut kannte und als der maßgebliche Biograf des Künstlers gilt, hat ein lang gehütetes Werk Bacons im Februar zur Auktion gegeben. Weil er wusste, dass eine Flut neuer, zum Teil minderwertiger Werke auf den Markt drängen werden? Michael Peppiatt schüttelt den Kopf. "Das Bild war mein Pensionsfonds. Durch die große Wertsteigerung in den vergangenen Jahren konnte ich mir noch nicht einmal die Versicherung dafür leisten, also habe ich es immer an Museen und für Ausstellungen verliehen. So war es zumindest sicher."

Knapp fünf Millionen Pfund brachte das Geschenk des Freundes. Dieses Jahr wird Peppiatt 75 Jahre alt, und noch immer befreit er sich mit jedem Buch, jeder Ausstellung und eben diesem Verkauf aus dem Bann seines Mentors. Die Erinnerung tauscht er nun gegen ein Haus an der Cote d'Azur.

Ein Treffen mit dem Biografen

Peppiatt sitzt im ersten Stock des Café de Flore am Boulevard Saint-Germain, Paris. Er hat diesen Ort gewählt, weil er für die gute alte Zeit steht – als Paris der Sehnsuchtsort der Künstler und Intellektuellen aus aller Welt war. Als Gemälde noch existenzielle Debatten provozierten. Und als der junge Londoner Kunsthistoriker Peppiatt hier 1966 sein Glück suchte und fand.

Wie sehr seine eigene Geschichte mit dem Leben und Werk Bacons verbunden ist, und wie viel er dem Maler verdankt, hat der renommierte Autor zuletzt in der 2015 in London erschienenen Doppelbiografie "Francis Bacon in your blood" erzählt: "Verrückt, böse und eine gefährliche Bekanntschaft, und das war er, wurde Francis Bacon zu einer Vaterfigur für mich und zum wichtigsten Einfluss auf mein Leben."

Peppiatt war 21 und Student in Cambridge, als er 1963 sein erstes Magazin gründete und dafür ein Interview mit dem damals 53-jährigen Francis Bacon führen wollte. Er traf den notorischen Trinker, Spieler und Liebhaber junger Kleingangster in einer Kaschemme in London und begann ein Gespräch, das erst mit dem Tod Bacons enden sollte.

Unglaublicher Ruhm und persönliche Dramen

Bacon stand am Anfang seiner erfolgreichsten und besten Dekade: 1958 hatte er bei der führenden Londoner Galerie Marlborough unterschrieben, 1962 verankerte ihn die Tate Gallery mit einer Retrospektive in der Kunstgeschichte, 1963 folgte das Guggenheim Museum in New York, 1964 erschien sein bis dato gültiges Werkverzeichnis. Der Triumph ging einher mit Bacons persönlichem Drama: Kurz vor der Eröffnung der Tate-Schau 1962 trank sich Bacons Geliebter Peter Lacy zu Tode. Und 1971, am Vorabend der gefeierten Ausstellung im Pariser Grand Palais, brachte sich Bacons Geliebter George Dyer um.

Dass es mit seiner Karriere so schnell und konsequent nach oben ging, verdankte Bacon dem genialen Kunsthändler Frank Lloyd, einem Wiener Juden, der nach London emigriert war und mit Marlborough die wohl einflussreichste Galerie der Nachkriegszeit gegründet hatte. Lloyd arbeitete so effizient wie eine Investmentbank. Künstler erhielten Vorschüsse, monatliche Festbeträge und all ihre finanziellen Angelegenheiten wurden von der Galerie gemanagt. Und sie produzierten Tauschwerte, die Lloyd zu vervielfachen verstand.

Bacon genoss das Geld, aber er zählte es nicht. Nachmittags brach er auf, einen Schweif an Freunden hinter sich her ziehend, die er zu feinstem Essen, Champagner und Bordeaux einlud, um dann weiter zu treiben, in die Bars von Soho, "The French House", den legendären "Colony Room", den "Coronation Club". Und Peppiatt, fasziniert von dieser ihm fremden Welt, folgte ihm.

"Wenn du mit Bacon unterwegs bist, musst du Schritt halten können", sagt Peppiatt. "Ganz egal, wie viel du am Abend zuvor mit ihm getrunken hast, es steht nicht zur Debatte, am nächsten Tag weniger zu trinken. Francis schien zu glauben, die einzige Lösung sei andauernder, unerbittlicher Exzess."

Abends saufen, morgens malen

Doch genau so konsequent, wie sich Bacon den nächtlichen Gelagen widmete, stand er am nächsten Morgen in seinem Atelier und arbeitete an seinen Leinwänden. Spät hatte er die Malerei für sich entdeckt, erst mit 35 Jahren begann er ernsthaft, an seiner Karriere zu arbeiten. Sein Vorgehen war in jeder Hinsicht unakademisch: Ohne klassische Ausbildung gab er sich eruptivem Schaffen hin und produzierte auf einem unbeständigen Niveau. Prinzip Trial and Error. "Der haarfeine Unterschied, den er zwischen Fehlschlag und Erfolg macht, entspringt einer tiefen Überzeugung und wird gnadenlos umgesetzt", schrieb John Rothenstein 1962, der als damaliger Direktor der Londoner Tate Gallery die erste große Retrospektive des Malers ausrichtete und 1964 das Werkverzeichnis mit herausgab.

Die Malerei bliebt das einzig Beständige in seinem Leben. Seit der Vater ihn in den Kleidern der Mutter erwischt und zur Disziplinie-rung mit einem Onkel nach Berlin geschickt hatte, zog Bacon durch Europa und Nordafrika, suchte Halt bei Gefährten, verlor zwei Geliebte und versenkte seinen Schmerz in der Kunst. Er sei in der Offenbarung des Nichts abgetaucht, sagt Peppiatt. Das habe ihm Freiheit verschafft. Aber es habe ihn auch jeder Hoffnung beraubt.

Bacons Gemälde dokumentieren diesen epischen Kampf zwischen Wahrheitssuche und Zerstörung: "Du musst Erscheinung zu einem Bild deformieren", beschreibt er seine Arbeitsweise. "Ich versuche einfach nur, etwas zur Wahrheit zu verbiegen."

Auf der Suche nach dem Absoluten war Bacon nicht zimperlich – weder im Leben noch in der Kunst. Sein Frühwerk aus den zwanziger und dreißiger Jahren löschte er nahezu vollständig aus. Allein bis 1949 soll er bereits mehr als 700 Bilder vernichtet haben. Doch nicht jede Leinwand ist Bacons Selbsthass und seinen Zweifeln zum Opfer gefallen. "In seinem Atelier gab es einen Stapel ausgemusterter Bilder", berichtet Peppiatt. Und er erzählt, dass immer wieder irgendwo verworfene Arbeiten auftauchten, in zurückgelassenen Studios, bei alten Weggefährten oder Leuten, die Zugang zum Atelier hatten.

Nun, mit Veröffentlichung des neuen Werkverzeichnisses, sind vermutlich etliche dieser vom Urheber als ungültig betrachteten Arbeiten wieder zu echten Bacons umgeschrieben worden. "Wir müssen uns diesen Katalog sehr genau anschauen", sagt Peppiatt dazu. Eine Zusammenarbeit mit dem Nachlass hat Peppiatt abgelehnt.

Kunsthistoriker generieren Millionenwerte

Die rasante Entwicklung des Kunstmarkts seit der Jahrtausendwende hat Kunsthistorikern zu einer zuweilen an Magie grenzenden Macht verholfen: "Wenn Kunst für Millionen Dollar verkauft wird, öffnet Vertrauen in die Zuschreibung des Werkes die Tür zu einem Vermögen", schreibt der Wirtschaftsprofessor und Kunstmarkt-Experte Don Thompson in seinem Buch "The Supermodel and the Brillo Box." Die Boards und Komitees werden zu Schlüssel-Institutionen. In dieser Szene "geht Geld von Hand zu Hand", erzählt ein Londoner Kurator. "Sie können die Welt Bacons neu erfinden und dabei hunderte von Millionen generieren."

Doch wer oder was genau ist der Bacon Estate? Anfragen des stern zur Organisationsform und Funktion weist der Estate zurück. Auch auf der Website des Estate gibt es keine Hinweise. Nur in der Rubrik der "Freunde" findet sich zwischen all den illustren Künstlern, Schriftstellern, Modellen und Partnern des Künstlers das Foto eines jungen Mannes, der in keiner Biographie des Künstlers eine Rolle spielt: Brian Clarke.

Bacons Alleinerbe John Edwards, ein gut aussehender Analphabet, der in den Soho-Bars seiner Brüder gearbeitet hatte und Bacon in den letzten zehn Jahren seines Lebens nahe stand, hatte die Verantwortung für den Nachlass 1998 an den Glasdesigner Brian Clarke abgetreten.

"Ein Haufen Cowboys"

"Die sind ein Haufen Cowboys", sagt der Kunstkritiker Brian Sewell über Edwards und Clarke. Edwards hatte keine Ahnung vom Kunstmarkt und Clarke hatte erkannt, dass es einen Schatz zu heben galt. Clarke entzog der Galerie Marlborough das Recht, Bacons Nachlass zu vertreten und verklagte mit einem Streitwert von rund 100 Millionen Pfund die Galerie auf die Herausgabe von 33 angeblich unterschlagenen Bildern und Unterlagen. 2002 musste er die Klage zurücknehmen. Doch er war nun der Türhüter zum Werk des Malers.

2006 trumpfte der wohl mächtigste Kunsthändler der Welt, Larry Gagosian, mit der ersten Bacon-Ausstellung nach der Trennung von Marlborough in London auf. Die Präsentation einer Installation von Brian Clarke 2005 dürfte dem Coup nicht im Weg gestanden haben. Mittlerweile nennt Clarke sich selbst den "World leader" in der Gattung Bleiglasfenster. Bacons Studio im ehemaligen Kutscherhaus 7 Reece Mews verwandelten Clarke und Edwards in ein Luxusapartment für die London-Aufenthalte des Erben, der nach Bacons Tod unter anderem auf den Keys in Florida und später in Thailand lebte, wo er auch starb. Heute ist es der Sitz des Bacon Estate. Brian Clarke tritt selten im Zusammenhang mit Francis Bacon in Erscheinung. Er hat einen Frontmann für seine Angelegenheiten gefunden, der nur allzu gern ins Rampenlicht rückt: den einstigen Modefotografen und Kurator Martin Harrison, der vom Verlag des Werkverzeichnisses als "herausragender Experte" für das Werk Francis Bacons bezeichnet wird.

Nach über zehn Jahren Recherche für das Werkverzeichnis ist sein Fachwissen kaum zu bezweifeln. Dass er sich rückwirkend zum Mitorganisator der großen Bacon-Ausstellung in Düsseldorf 2006 macht, ist jedoch nur einer von vielen fragwürdigen Aspekten in Bezug auf Harrison. Armin Zweite, damals Direktor der Kunstsammlungen NRW und Kurator der Schau, sagt: "Ich bin ihm ein oder zwei Mal begegnet, er ist relativ spät dazu gekommen und hat einen guten Beitrag über Bacon und die Fotografie geschrieben."

Dass Harrison nun um die 100 neu entdeckte Bacons präsentiert, verwundert Zweite: "Nach all den Erfahrungen der letzten Zeit macht einen das stutzig." Verworfene Bilder zurück ins Oevre zu schreiben, hält der renommierte Kunsthistoriker für fragwürdig: "Wenn ein Künstler sagt, das habe ich verworfen, dann müsste man das akzeptieren." Harrison und der Estate verkaufen die Funde als Sensation. Ende Mai luden sie zur Vorab-Besichtigung des Katalogs in eine eigens für diesen Tag eingerichtete Bacon-Schau im Stadtteil Soho. An den Wänden: sechs kapitale Bacon-Werke. Zur Herkunft der Bilder raunt Harrison, sie stammten aus "sehr privaten privaten Sammlungen". Andere habe man in einem abgeschlossenen Lager in Chelsea entdeckt, zusammen mit etlichen weiteren Gemälden, die Bacon verworfen, weggeräumt und dann wohl vergessen habe, so Harrison.

Die Gemälde mussten mit einem Kran in die erste Etage gehievt werden, und eine Mitarbeiterin des Verlags schlief in der Ausstellung, aus Angst, die Arbeiten würden gestohlen. Harrison, in grüner Samtweste unter blauem Jackett, tritt ans Mikrophon. "Dies hier ist der Anfang von Etwas", sagt er. Später im Gespräch kann er weder beantworten, wer nach dem Tod von John Edwards den Nachlass geerbt hat, noch wer im Vorstand des Bacon Estate sitzt: "Brian Clarke ist der Direktor des Bacon-Nachlasses, ich habe keine Ahnung von der rechtlichen Situation. Es gibt da Trustees, oder wie immer die heißen. Ich weiß noch nicht einmal, wer die sind." Dabei müsste er einfach nur seinen Sohn fragen: Ben Harrison arbeitet beim Bacon Estate.

Seine Erkenntnisse habe Harrison einem Komitee vorgelegt, das schließlich über die Aufnahme in den Katalog entschieden habe. Der Kunsthistoriker und heutige Direk-tor der Londoner Niederlassung von Gagosian, Richard Calvocoressi, bestätigt das: "Ich war Mitglied des Komitees von seiner Gründung 2006 bis vergangenes Jahr, 2015, als ich zur Gagosian Galerie wechselte. Für gewöhnlich trafen wir uns zweimal im Jahr."

"Ein Werkkatalog ist keine Hitparade"

Die Aufgabe des Komitees war es, über echt oder unecht zu befinden. "Manchmal hatte ich große Mühe, sie zu überzeugen: Nein, das ist wirklich Bacon! Es gibt ungefähr 20 Arbeiten im Katalog, die eigentlich zerstört gehörten. Aber sie kamen in die Welt, auf dem ein oder anderen Weg, meistens weil jemand sie gestohlen hat. Aber ich bin nicht Gott, wenn es existiert, muss ich es aufnehmen. Ein Werkkatalog ist keine Hitparade."

Harrison kommt in Fahrt. Gerade noch garantiert er, dass sich kein einziger gefälschter Bacon unter den 584 Gemälden im Katalog befindet, da schwenkt er um auf Rom, auf den Maler Caravaggio: "Ich weiß genau, worüber ich spreche. Ich weiß es absolut. Der Narzissus von Caravaggio in Rom ist nicht von Caravaggio. Weil ich es sage!"

Zur Wiederkehr der 1964 im Werkkatalog als zerstört gelisteten Bilder sagt Harrison: "Bacon kümmerte sich nicht wirklich darum. Er war kein Buchhalter. Ich habe die meisten der zerstörten Bilder gesehen. Und wie könnte ich sie gesehen haben, wenn sie 1964 zerstört wurden? Ende der Diskussion!"

Der Mann ist umstritten. Und wer ihn trifft, ahnt, warum. Edward Lucie-Smith, Dichter, Autor, Kunstexperte, Fotograf und intimer Kenner der Londoner Kunstszene, beschreibt Harrison als "außerordentlich rücksichtslos. Er führe sich als "König der Bacon-Zuschreibungen" auf. Bacon wäre extrem unglücklich über all die Arbeiten, die nun im Katalog auftauchten, sagt Lucie-Smith. Die enorme Aufmerksamkeit, die der Markt derzeit Bacon schenkt und die der Estate mit seinen Aktivitäten anfeuert, ist Harrisons große Chance, seine Karriere voran zu treiben. In Monaco hat er eine große Bacon-Schau kuratiert, abgewandelt zog sie weiter ins Guggenheim Bilbao. Dabei versucht er, aus der gesellschaftlichen Randfigur Francis Bacon einen salonfähigen Künstler zu machen. Bacons schwule, oft gewalttätige Sexualität spielt er herunter. Harrison betont, es gäbe nur elf Bilder, auf denen Männer Sex hätten. Dagegen stünden 18 Darstellungen nackter Frauen.

Allein 13 Arbeiten aus der Zeit bis 1964, die nicht im ersten Werkverzeichnis auftauchen, sind im Grimaldi Forum in Monaco ausgestellt worden – und etliche weitere aus der Zeit danach. Harrison präsentierte sie zwischen dunklen Vorhängen, auf jeweils eigenen Wänden, zum Teil auf Treppenpodesten inszeniert und spektakulär aus dem Dunkel heraus mit Spotlights angestrahlt. Fundstücke, die nun mit Macht in den Kanon der großen Werke Bacons eingeschrieben werden.

Ziel der Ausstellung war es, Bacons Aufenthalte in Monaco zwischen 1946 und 1949 zu Schlüsselmomenten seiner Karriere zu stilisieren. Dabei konstatierte Rothenstein schon 1964: "Obwohl Bacon zu Malen versuchte, als er in Monte Carlo wohnte, erkannte er, dass er dort nahezu nichts zustande brachte und musste zurück nach London kommen, um für seine Ausstellung zu arbeiten."

Harrison verbreitet nun das Gegenteil. Kein Wunder: Ein wichtiger Partner Harrisons und Sponsor von Ausstellungen, Katalogen und Forschungsprojekten ist der in Monaco lebende libanesische Philanthrop und Luxushotel-Besitzer Majid Boustany. Ein Bacon-Verrückter, vermögend, enthusiastisch und in seiner Sammelleidenschaft kaum zu bremsen. Mittlerweile hat er eine Stiftung gegründet, ein eigenes Museum in der Kleinstmonarchie eröffnet und besitzt laut Harrison die größte Bacon-Privatsammlung weltweit. Harrison berät Boustany auch bei Ankäufen und der Ausrichtung seiner Kollektion. "Ich sollte aufhören, dafür Geld zu nehmen", fügt er hinzu.

Ob Bacon, der große Zerstörer, auch nur eine dieser ganzen Aktionen gutheißen würde, darüber lässt sich nur spekulieren. Seine Weggefährten und auch jene, die sich intensiv mit ihm beschäftigt haben, bezweifeln das. Und hier stimmt sogar Harrison mit seinen Kritikern überein: "Gottseidank ist Bacon nicht hier. Ein grässlicher Mann, Pain in the ass. Er hätte nie zugelassen, dass dies hier passiert."


English translation:

DUBIOUS WORKS APPEARED
Francis Bacon: The crazy million-dollar deal with his estate

by Silke Müller
STERN, November 6, 2016, 4:01 p.m

2016 is the year of Francis Bacon: five major exhibitions worldwide celebrate the artist, and a catalog raisonné boasts around 100 previously unknown paintings. The art market is growing into a million-dollar business. The artist's executors are pulling the strings.

"And now we come to lot 8A, visible on the left, to you on the right, ladies and gentlemen, the magnificent triptych 'Lucien Freud' by Francis Bacon from 1969. Wonderful thing, here we have it."

New York, November 12, 2013. In the sales room of Christie's auction house in Rockefeller Center, the evening auction for post-war and contemporary art is approaching its climax. The bidding war is on. Money is in the air. And silence. Auctioneer Jussi Pylkkanen squeezes out a laugh and encourages the first bid: "Hush, let's start now!" Then a redeemed "80 million dollars!", followed by a forward-pushing "85 million dollars!" Then "90, I have 90."

The price rises in five million increments to 120. Then 121, 122, two bidders on the phone are now fighting for the picture, there is a tense silence in the room. At $126 million, Pylkkanen leans over his desk as if he wanted to scoop up the millions himself and states: "A historic moment."

In the end, with the usual mark-up for the auction house, the three-part painting ended up with Elaine Wynn, the ex-wife of Las Vegas casino mogul Stephen Wynn, for $142,405,000. Hammer strike, “Sold!”, world record.

The most expensive artist in the world

The painter Francis Bacon, born in Dublin in 1909 as the son of an English horse trainer, an autodidact without any significant schooling, was already considered the most expensive contemporary artist during his lifetime. His images of people who seem to dissolve into masses of flesh, of screaming popes and writhing bodies still seem enigmatic and disturbing to this day.

Since his death in 1992, a relentless battle has broken out over the painter's legacy, estimated at around 100 million British pounds, and the authority to interpret his work. And the few major works that do make it to market have become trophies of hedge fund billionaires like Blackstone's J. Tomilson Hill and Russian oligarchs like Roman Abramovic. Anyone who can't get a Bacon original through conventional means resorts to more brutal methods: In March it became known that five paintings worth over 30 million euros were stolen from the apartment of Bacon's last lover in Madrid.

Suddenly new Bacon works everywhere

This year, Bacon mania has reached a new peak with exhibitions in Liverpool, Monaco, Stuttgart, Bilbao and Los Angeles as well as a large-scale journalistic project: "The Estate of Francis Bacon", i.e. the estate administration of the artist, discovered and verified.

In June of this year, the estate published all the works it classified as authentic in a five-volume magnum opus in a black slipcase, weighing 15 kilos and costing 1,000 British pounds. And according to common art trading practice, the following applies from now on: What's inside is real.

Many an owner of a painting that previously hung undocumented on the wall and could only be described as "attributed to Bacon" can now look forward to an increase in value that is difficult to quantify. And the auction houses, greedy for big names and works that have never been traded before, i.e. works that are fresh to the market, have long been in the starting blocks.

£400,000 for a waste product

Almost anything that can be associated with Bacon can currently be sold: a clumsy and probably rightly rejected study of Bacon, which an English artist cut into two parts, turned over and painted with landscapes, fetched 434,500 pounds in March, 15 Times as much as the auction house expected. And a buyer secured two left-hand gloves that Bacon is said to have worn while painting for almost £7,000.

Bacon pictures often fetch between 10 and 30 million euros at auction. The prices vary considerably - depending on the size, importance and public appreciation of the work. And according to his impression: The dark works usually bring less. With around 100 newly published images, the art market has a potential of hundreds of millions of euros.

A host of art consultants, gallery owners, auction houses and, last but not least, those who establish contact between prospective buyers and owners willing to sell who are listed in the catalog raisonné as anonymous private collectors will benefit from this: only the Francis Bacon Estate can do that.

The painter's reputation is at stake

The downside of the great manipulation: The painter's reputation is at stake. The authors, Martin Harrison and his assistant Rebecca Daniels, say they include everything in the directory that, according to their findings, can be attributed to Francis Bacon's hand: including those works that the painter tore up, cut up and painted in a well-known furor thrown in the trash. And who miraculously survived.

With the rediscoveries and failed attempts as well as everything that Bacon still recognized during his lifetime, the painter's oeuvre has increased from 221 works documented in the first catalog raisonné in 1964 to now 584.

Someone who knew Bacon very well and is considered the artist's leading biographer put a long-held work by Bacon up for auction in February. Because he knew that a flood of new, sometimes inferior works would enter the market? Michael Peppiatt shakes his head. "The painting was my pension fund. Due to the large increase in value over the past few years, I couldn't even afford insurance for it, so I always loaned it out to museums and for exhibitions. At least that way it was safe."

The friend's gift brought in almost five million pounds. This year Peppiatt turns 75, and he continues to free himself from his mentor's spell with every book, every exhibition and this very sale. He is now swapping the memory for a house on the Cote d'Azur.

A meeting with the biographer

Peppiatt sits on the first floor of the Café de Flore on Boulevard Saint-Germain, Paris. He chose this place because it represents the good old days - when Paris was the place of longing for artists and intellectuals from all over the world. When paintings still provoked existential debates. And when the young London art historian Peppiatt sought and found his fortune here in 1966.

The renowned author recently told how closely his own story is connected to Bacon's life and work, and how much he owes the painter, in the double biography "Francis Bacon in your blood", published in London in 2015: "Crazy, evil and dangerous After meeting him, and he did, Francis Bacon became a father figure to me and the most important influence in my life."

Peppiatt was 21 and a student in Cambridge when he founded his first magazine in 1963 and wanted to do an interview with the then 53-year-old Francis Bacon. He met the notorious drinker, gambler and lover of young petty gangsters in a bar in London and began a conversation that would only end with Bacon's death.

Incredible fame and personal drama

Bacon was at the beginning of his most successful and best decade: in 1958 he signed with the leading London gallery Marlborough, in 1962 the Tate Gallery anchored him in art history with a retrospective, in 1963 the Guggenheim Museum in New York followed, and in 1964 his current catalog raisonné was published . The triumph went hand in hand with Bacon's personal drama: Shortly before the opening of the Tate show in 1962, Bacon's lover Peter Lacy drank himself to death. And in 1971, on the eve of the celebrated exhibition at the Grand Palais in Paris, Bacon's lover George Dyer killed himself.

Bacon owed the fact that his career rose so quickly and consistently to the brilliant art dealer Frank Lloyd, a Viennese Jew who emigrated to London and founded Marlborough, probably the most influential gallery of the post-war period. Lloyd operated as efficiently as an investment bank. Artists received advances, fixed monthly payments, and all of their financial matters were managed by the gallery. And they produced exchange values that Lloyd knew how to multiply.

Bacon enjoyed the money, but he didn't count it. In the afternoon he set off, trailing a trail of friends whom he invited to the finest food, champagne and Bordeaux, and then continued on to the bars of Soho, "The French House", the legendary "Colony Room", the Coronation Club. And Peppiatt, fascinated by this world that was foreign to him, followed him.

"When you're traveling with Bacon, you have to be able to keep up," says Peppiatt. "No matter how much you drank with him the night before, there's no question of drinking less the next day. Francis seemed to think the only solution was constant, relentless excess."

Drink in the evening, paint in the morning

But just as consistently as Bacon devoted himself to his nightly revelry, he stood in his studio the next morning and worked on his canvases. He discovered painting late in life and only began working seriously on his career at the age of 35. His approach was unacademic in every respect: without classical training, he indulged in eruptive creativity and produced at an inconsistent level. Principle of trial and error. "The hairline difference, "That he makes between failure and success arises from a deep conviction and is implemented mercilessly," wrote John Rothenstein in 1962, who, as director of the Tate Gallery in London at the time, organized the painter's first major retrospective and co-edited the catalog raisonné in 1964.

Painting remained the only constant thing in his life. Since his father caught him in his mother's clothes and sent him to Berlin with an uncle to discipline him, Bacon traveled through Europe and North Africa, sought support from companions, lost two lovers and poured his pain into art. He was immersed in the revelation of nothingness, says Peppiatt. That gave him freedom. But it also robbed him of all hope.

Bacon's paintings document this epic battle between the search for truth and destruction: "You have to deform appearance into an image," is how he describes his working method. "I'm just trying to bend something to the truth."

In his search for the absolute, Bacon was not squeamish - neither in life nor in art. He almost completely deleted his early work from the 1920s and 1930s. By 1949 alone he is said to have destroyed more than 700 pictures. But not every canvas has fallen victim to Bacon's self-loathing and doubts. “There was a stack of discarded pictures in his studio,” reports Peppiatt. And he says that rejected works kept turning up somewhere, in studios that were left behind, with old companions or people who had access to the studio.

Now, with the publication of the new catalog raisonné, a number of these works that were considered invalid by the author have probably been rewritten into real Bacons. “We have to look at this catalog very carefully,” says Peppiatt. Peppiatt has refused to work with the estate.

Art historians generate millions of dollars

The rapid development of the art market since the turn of the millennium has given art historians a power that sometimes borders on magic: "When art sells for millions of dollars, trust in the attribution of the work opens the door to a fortune," writes economics professor and art market expert Don Thompson in his book "The Supermodel and the Brillo Box." The boards and committees become key institutions. In this scene, "money passes from hand to hand," says a London curator. "You can reinvent Bacon's world and generate hundreds of millions in the process."

But who or what exactly is the Bacon Estate? The estate rejects stern's inquiries about the organizational form and function. There is no information on the estate's website either. Only in the "Friends" section can one find, among all the artist's illustrious artists, writers, models and partners, the photo of a young man who does not play a role in any of the artist's biographies: Brian Clarke.

Bacon's sole heir John Edwards, a handsome, illiterate man who had worked in his brothers' Soho bars and was close to Bacon for the last decade of his life, had passed responsibility for the estate to glass designer Brian Clarke in 1998.

"A Bunch of Cowboys"

"They're a bunch of cowboys," art critic Brian Sewell says of Edwards and Clarke. Edwards knew nothing about the art market and Clarke realized there was a treasure to be found. Clarke withdrew the Marlborough Gallery's right to represent Bacon's estate and sued the gallery for the release of 33 allegedly embezzled images and documents for around £100 million. In 2002 he had to withdraw the lawsuit. But he was now the gatekeeper to the painter's work.

In 2006, Larry Gagosian, probably the most powerful art dealer in the world, staged the first Bacon exhibition after the separation from Marlborough in London. The presentation of an installation by Brian Clarke in 2005 probably did not stand in the way of the coup. Clarke now calls himself the “world leader” in the stained glass window category. Bacon's studio in the former coach house 7 Reece Mews was converted by Clarke and Edwards into a luxury apartment for the London stays of the heir, who after Bacon's death lived, among other places, in the Keys in Florida and later in Thailand, where he also died. Today it is the headquarters of the Bacon Estate. Brian Clarke rarely appears in connection with Francis Bacon. He has found a front man for his affairs who is only too happy to be in the spotlight: the former fashion photographer and curator Martin Harrison, who is described by the publisher of the catalog raisonné as an "outstanding expert" on the work of Francis Bacon.

After more than ten years of research for the catalog raisonné, his specialist knowledge can hardly be doubted. However, the fact that he retroactively became a co-organizer of the large bacon exhibition in Düsseldorf in 2006 is just one of many worthy aspects regarding Harrison. Armin Second, then director of the NRW Art Collections and curator of the show, says: "I met him once or twice, he came relatively late and wrote a good article about Bacon and photography."

The fact that Harrison is now presenting around 100 newly discovered bacon surprises the second person: "After all the recent experiences, that makes you suspicious." The renowned art historian considers it questionable to write rejected images back into the oeuvre: "If an artist says, I rejected that, then you would have to accept that." Harrison and the estate sell the finds as a sensation. At the end of May, they invited people to preview the catalog in a bacon show in the Soho district that was set up especially for that day. On the walls: six major Bacon works. Regarding the origin of the pictures, Harrison whispers that they come from “very private private collections.” Others were discovered in a locked warehouse in Chelsea, along with several other paintings that Bacon discarded, put away and then probably forgot about, Harrison said.

The paintings had to be lifted to the first floor by crane, and a publisher employee slept in the exhibition for fear the works would be stolen. Harrison, wearing a green velvet vest under a blue jacket, steps up to the microphone. "This is the beginning of something," he says. Later in the conversation he cannot answer who inherited the estate after John Edwards' death, nor who sits on the board of the Bacon Estate: "Brian Clarke is the director of the Bacon estate, I have no idea about the legal situation. It "There are trustees, or whatever their names are. I don't even know who they are." All he would have to do is ask his son: Ben Harrison works at the Bacon Estate.

Harrison presented his findings to a committee, which ultimately decided whether to include it in the catalog. Art historian and current director of Gagosian's London office, Richard Calvocoressi, confirms this: "I was a member of the committee from its inception in 2006 until last year, 2015, when I moved to the Gagosian gallery. We usually met twice a year ."

"A catalog of works is not a hit parade"

The committee's job was to decide whether something was real or fake. "Sometimes I had a lot of trouble convincing them: No, that's really Bacon! There are about 20 works in the catalog that should have been destroyed. But they came into the world, one way or another, mostly because someone stole them But I'm not God, if it exists, I have to record it. A catalog of works is not a chart."

Harrison is getting going. He's just about guaranteed that there isn't a single fake Bacon among the 584 paintings in the catalog when he switches to Rome, to the painter Caravaggio: "I know exactly what I'm talking about. I know it absolutely. The Narcissus by Caravaggio in Rome is not by Caravaggio. Because I say so!"

Regarding the return of the pictures listed as destroyed in the catalog raisonné in 1964, Harrison says: "Bacon didn't really care about it. He wasn't an accountant. I've seen most of the pictures that were destroyed. And how could I have seen them if they were destroyed in 1964? End the discussion!"

The man is controversial. And anyone who meets him knows why. Edward Lucie-Smith, poet, author, art expert, photographer and intimate expert on the London art scene, describes Harrison as "extraordinarily ruthless. He behaves as the "king of Bacon attributions." Bacon would be extremely unhappy about all the work that is now appeared in the catalogue, says Lucie-Smith. The enormous attention that the market is currently paying to Bacon and that the Estate is fueling with its activities is Harrison's big opportunity to advance his career. In Monaco he curated a major Bacon show, In a modified version, she moved on to the Guggenheim Bilbao. In doing so, he tried to turn the marginal social figure Francis Bacon into a socially acceptable artist. He downplayed Bacon's gay, often violent sexuality. Harrison emphasized that there were only eleven pictures in which men had sex. On the other hand there would be 18 depictions of naked women.

13 works from the period up to 1964 that do not appear in the first catalog raisonné were exhibited in the Grimaldi Forum in Monaco - and several more from the period after. Harrison presented them between dark curtains, each on its own walls, partly staged on stair landings and illuminated spectacularly from the darkness with spotlights. Finds that are now powerfully inscribed in the canon of Bacon's great works.

The aim of the exhibition was to stylize Bacon's stays in Monaco between 1946 and 1949 as key moments in his career. Rothenstein stated as early as 1964: "Although Bacon tried to paint when he was in Monte Carlo lived there, he realized he was getting next to nothing there and had to come back to London to work on his exhibition."

Harrison is now spreading the opposite. No wonder: an important partner of Harrison and sponsor of exhibitions, catalogs and research projects is the Lebanese philanthropist and luxury hotel owner Majid Boustany, who lives in Monaco. A bacon madman, wealthy, enthusiastic and his passion for collecting can hardly be stopped. He has now founded a foundation, opened his own museum in the micro-monarchy and, according to Harrison, has the largest private collection of bacon in the world. Harrison also advises Boustany on purchases and the direction of his collection. “I should stop taking money for this,” he adds.

Whether Bacon, the great destroyer, would approve of any of these actions is anyone's guess. His companions and those who have studied him intensively doubt this. And here even Harrison agrees with his critics: "Thank God Bacon is not here. A horrible man, a pain in the ass. He would never have allowed this to happen here."

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