NOTA DIPLOMATICA
REAL GEOPOLITICS
25 febbraio 2022
Gerente: James Hansen
— Russia e Cina —
Innocent Bystanders — Le dimensioni fisiche della Russia sono praticamente aldilà della comprensione. Il paese—la cui superficie occupa un sesto del totale delle terre emerse del globo—è lungo da ovest a est poco meno di 11mila chilometri, compresi in undici fusi orari. Di fusi ne basta uno per la maggior parte dell’Europa Occidentale e sono sufficienti quattro per gli Usa continentali.
Malgrado il territorio immenso, la popolazione russa è modesta, 146 milioni,
un po’ più grande di quella del Messico (130 mln). Il paese è quasi vuoto.
Condivide però un lungo e spesso indifendibile confine di oltre 4.200 km con
la nazione più popolosa del mondo, la Cina. I cinesi, secondo dati recenti,
sarebbero 1.445.119.631.
L’Esercito Popolare di Liberazione cinese conta un po’ più di 2 milioni di
regolari e un altro mezzo milione di riservisti. È una forza enorme—circa quattro volte quella russa—che si è parecchio modernizzata negli ultimi anni, ma la cui qualità e efficacia sono incerte. L’ultima volta che è entrata in guerra, con la tentata invasione del Vietnam nel 1979, hanno vinto—con facilità—i vietnamiti.
Tanti numeri per dire che se la Russia di Vladimir Putin ha un problema di sicurezza dei confini, non è dell'Ucraina che si dovrebbe preoccupare. In parole povere, un miliardo e mezzo di cinesi, affamati di risorse, premono su un confine—quello con la vicina Siberia—che in parecchie tratte non è molto più di una linea su una carta geografica, una riga d’inchiostro che li tiene lontani da sterminati estesi vuoti che i russi non possono permettersi il lusso di sviluppare.
C’è già un consistente flusso migratorio “informale” di piccoli agricoltori e commercianti cinesi verso queste terre. C’è anche un’interessante produzione cinese di studi e ricerche che sottolineano le magnifiche potenzialità agricole e minerarie della Siberia—un po’ come dire: “Noi invece sapremmo cosa farcene di questo territorio sprecato”...
All’inizio del mese, il 4 febbraio, la russa Gazprom ha firmato un contratto con l’omologa cinese, CNPC, per la fornitura annuale di 10 miliardi di metri cubi di gas naturale per i prossimi trent’anni—ciò in aggiunta a contratti già in corso per altri 16,5 miliardi di metri cubi annui. Le forniture russe all’Europa prima dell’attuale crisi viaggiavano mediamente su una ventina di miliardi di metri cubi all’anno. Con il nuovo accordo, alla sola Cina andrà più gas russo che all’intera Europa.
C’è però una differenza tra le forniture europee e quelle cinesi. Se i russi chiudono il rubinetto europeo, noi rischieremmo di congelare nelle nostre case durante l'inverno e le nostre fabbriche sospenderebbero la produzione. Se invece toccassero l’altro rubinetto, quello che dirige il gas siberiano verso la Cina, i cinesi molto probabilmente passerebbero il confine fragile per venirselo a riaprire…
Vladimir Putin, nelle circostanze, non potrebbe farci assolutamente niente—un po’ come gli europei e, indirettamente, gli americani nel presente momento ucraino. Stiamo vivendo “history in the making”—ed è maledettamente scomodo.