venerdì 17 settembre 2021

Glexit et al.— Quando l’Unione Europea comunica per “informare, non influenzare”...

NOTA DIPLOMATICA REAL GEOPOLITICS
17 settembre 2021
Unione Europea Gerente: James Hansen


Glexit et al. Quando l’Unione Europea comunica per “informare, non influenzare”, tende comprensibilmente ad accentuare ciò che è positivo nell’andamento del “progetto europeo” e a trascurare i momenti meno felici, come il voto del 1982 con cui la (minuscola) popolazione della Groenlandia—avendo ottenuto l’autonomia rispetto alla Danimarca—decise di uscire dall’Ue.

La cosa è ovviamente di scarsa importanza—visto che i groenlandesi sono meno di 60mila—anche se l’Ue, curiosamente, insiste ancora nel conteggiarli tra i propri “cittadini” nelle sue statistiche. Di maggiore impatto è la minoranza di paesi dell’Unione che preferisce restare fuori dall’euro. Dopo Brexit, sono 8 su 27: Svezia, Danimarca, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Romania.

Con la sola eccezione del Regno di Danimarca, che respinse il Trattato di Maastricht con un referendum nazionale nel 1992, tutti gli altri sarebbero obbligati a entrare nel sistema euro “prima o poi”, al raggiungimento di certi criteri economici e legali riguardanti la stabilità economica, l’inflazione, l’integrazione dei mercati e i bilanci di pagamento nazionali.
Ipoteticamente, l’andamento dei “criteri di convergenza” dovrebbe essere misurato ogni due anni, ma—e non è un “ma” da poco—solo su richiesta del paese interessato. I singoli stati possono allora rimandare l’effettiva entrata nell’euro sine die: ed è esattamente ciò che hanno fatto finora, né ci sono indicazioni che intenderebbero entrarci prossimamente.

Le motivazioni dei paesi “riluttanti” sono perlopiù economiche. Riguardano la percepita necessità di mantenere l’indipendenza nello stabilire le politiche monetarie rispetto a temi come l’indebitamento nazionale e la gestione dell’inflazione, nonché la possibilità di svalutare la propria moneta all’occorrenza.
I dubbi sulla gestione centralizzata europea sono cresciuti dopo il crac del 2008. Gli inglesi—mai entrati nell’euro—reagirono quasi istantaneamente, nel 2009, con un programma di quantitative easing, iniettando 375 miliardi di sterline “nuove” nell’economia, mentre la Banca Centrale Europea attese fino al 2015 prima di ricorrere agli stimoli economici. La “gara” economica di quegli anni è stata vinta nettamente dagli inglesi... Da allora, la politica della BCE di creare nuovi soldi “à go-go” in risposta allo sconvolgimento economico provocato dal Covid non ha fatto che aumentare i dubbi dei paesi Ue fuori dall’euro, afflitti come sono dalle stesse incertezze coltivate da buona parte dell’Establishment tedesco.

Qualche consolazione c’è però. Esistono alcuni paesi non-Ue che utilizzano la valuta europea. Non sono forse economie primarie, ma comprendono Kosovo, Montenegro, Andorra, San Marino, Monaco e la Città del Vaticano, come anche alcuni piccoli territori francesi “d’oltremare”: Saint Pierre e Miquelon (al largo della costa canadese), alcune isole nel Oceano Indiano e Saint-Barthélemy, nel Mare dei Caraibi.
Altri utilizzano l’euro senza aderire al sistema. La Croazia, per esempio, dalla creazione nel 1994 della propria valuta, la kuna, segue una politica di “pegging” che lega strettamente il valore della moneta domestica a quella europea—seppure non necessariamente in via permanente...


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Copyright 2021 James Douglas Hansen

giovedì 16 settembre 2021

Le banche centrali devono "agire ora" sul boom delle criptovalute

Criptovalute
Le banche centrali devono "agire ora" sul boom delle criptovalute, dice Benoît Coeuré
Il politico avverte che la finanza decentralizzata e le criptovalute "sfideranno" i modelli di business delle banche
© Dado Ruvic/Reuters

Eva Szalay a Londra il 10 settembre 2021
https://www.ft.com/content/8dc38c24-8da1-40a0-a3f1-6f189bc94c3a
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Le tendenze di mercato più importanti e come le migliori menti di Wall Street rispondono ad esse. Consegnato ogni giorno della settimana.

Le Stablecoin e la finanza decentralizzata sfideranno i modelli di business delle banche e le autorità monetarie devono agire più rapidamente per sviluppare asset digitali ufficiali, ha detto il veterano della politica Benoît Coeuré in un discorso di venerdì.

I commenti di Coeuré, un alto funzionario della Banca dei Regolamenti Internazionali ed ex membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, evidenziano la crescente angoscia tra le autorità finanziarie sul boom delle criptovalute e altre innovazioni della finanza digitale.

Coeuré ha detto che sia le imprese finanziarie decentralizzate che gli stablecoin - una riserva di valore nel mercato degli asset digitali - rappresentano una minaccia per le istituzioni di deposito e gli intermediari come le banche. Le banche centrali e i cani da guardia finanziari devono ora affrontare domande urgenti su come rispondere, ha detto alla conferenza Eurofi.

"[Le banche centrali] hanno un lavoro da fare - garantire la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria - e devono mantenere la loro capacità di farlo", ha detto Coeuré in un discorso intitolato Banca centrale valuta digitale: il futuro inizia oggi. "[Essi] devono agire mentre il sistema attuale è ancora in vigore - e agire ora".

Coeuré, che sta conducendo la ricerca sulle valute digitali delle banche centrali per la BRI, ha esortato i responsabili politici ad affrettare la loro risposta alla minaccia delle criptovalute e ad accelerare il loro lavoro sulle attività digitali sostenute dai responsabili politici nazionali, altrimenti affrontano la perdita del loro ruolo chiave nel sistema finanziario.

"Il tempo è passato per le banche centrali per andare avanti", ha detto Coeuré. "Le valute digitali delle banche centrali impiegheranno anni per essere diffuse, mentre gli stablecoin e le criptovalute sono già qui. Questo rende ancora più urgente iniziare".
Benoît Coeuré
Benoît Coeuré: Le banche centrali "hanno un lavoro da fare - garantire la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria - e devono mantenere la loro capacità di farlo" © Bloomberg

Ha anche detto che le banche centrali e le autorità di regolamentazione hanno bisogno di considerare quale ruolo le banche giocheranno dopo l'avvento delle valute digitali della banca centrale e il ruolo degli intermediari in un sistema finanziario digitale, così come le implicazioni della progettazione di questi nuovi beni.

Coeuré ha detto che le banche centrali vedono le imprese finanziarie tradizionali come parte della nuova infrastruttura di pagamenti in valuta digitale. "Ma non fate errori: le stablecoin globali, le piattaforme DeFi e le grandi imprese tecnologiche sfideranno i modelli delle banche a prescindere", ha detto.
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Le grandi banche centrali sono state lente a rispondere alla sfida del bitcoin e di altri asset digitali privati, in contrasto con i responsabili politici nelle economie in via di sviluppo dove i progetti intorno alle valute digitali sostenute dalle banche centrali sono in una fase avanzata.

In Cina, la versione digitale del renminbi è già in una fase di prova e sarà lanciata alle prossime Olimpiadi invernali di Pechino come parte dell'esperimento del governo con le criptovalute centralizzate.

Al contrario, la BCE ha lanciato la fase di indagine di un progetto di euro digitale nel luglio di quest'anno e la banca centrale statunitense non ha deciso se andare avanti con una versione digitale del primo bene di riserva del mondo.

Ft (https://www.ft.com/content/8dc38c24-8da1-40a0-a3f1-6f189bc94c3a)


giovedì 2 settembre 2021

LA LETTERA DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI BERGAMO AL RETTORE

LA LETTERA DA BRIVIDI DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI BERGAMO AL RETTORE E AI DOCENTI
1 Settembre 2021

Francesco Capo


Bergamo, 1 Settembre 2021
Alla cortese attenzione de
I docenti tutti
I ricercatori e i dottorandi
I componenti del Senato Accademico
Il Magnifico Rettore Remo Morzenti Pellegrini
Il personale tecnico e amministrativo
I responsabili delle Biblioteche di Dipartimento
Gli uscieri dell’Università degli Studi di Bergamo
e p.c. a
Tutti gli studenti dell’Università degli Studi di Bergamo e i loro rappresentanti
L’Associazione Laureati Università di Bergamo, LUBERG
I giornalisti e gli organi di stampa


Gentili tutti,
vorremmo iniziare col ricordarvi alcuni presupposti eletti a linee-guida della nostra Università, così ben
esposti nel manifesto disponibile sul sito della stessa:

La mission della nostra università è già tutta racchiusa nel suo nome: universĭtas. Apertura, pluralità,
libertà, incontro, appunto: “universalità”. Sapere vuol dire sfidare i tempi, saperli scuotere.
Un’interpretazione preconfezionata non è mai buona: ogni interpretazione pretende infatti una mente
critica.

Dunque: apertura, pluralità, libertà, incontro, universalità, capacità di porsi criticamente rispetto ai tempi e
di sfidarli. Insieme a voi, crediamo e vorremmo continuare a credere in questi valori, che il biglietto da visita
della nostra università come di molte altre università d’Italia e del mondo dichiara esplicitamente di tenere in alto grado. Ma oggi, alla luce del D.L. 111/2021 del 6 agosto (Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), si impone un principio di discriminazione, legittimato da motivazioni presentate come medico-scientifiche, che ci appare agli
antipodi di quella stessa inclusività posta sin dall’etimo a fondamento dell’istituzione universitaria. Con questo provvedimento discriminante e divisivo vengono di fatto esclusi dal diritto allo studio e dai servizi erogati dall’Università o ne viene gravemente limitata l’accessibilità ‒ tutti coloro che per legittima scelta personale non intendono prestarsi a trattamenti sanitari invasivi e a proprie spese, quali i tamponi PCR, né aderire alla campagna vaccinale sperimentale, consapevoli di come sulla reale attendibilità dei primi e, soprattutto, sulla validità e sulla sicurezza della seconda manchi ad oggi un accordo scientifico risolto e unanime.


Com’è possibile accettare che strumenti sanitari di dubbia efficacia condizionino i principi di apertura,
libertà e indipendenza dell’insegnamento universitario?

Ancora in piena emergenza pandemica, il nostro stesso Rettore aveva avuto modo di ribadirci alcuni
obiettivi essenziali dell’Istituzione che è chiamato a rappresentare, promettendo di mantenere l’Università
saldamente imperniata sui principi di inclusione (garantire un sapere condiviso e relazionale, email del 31
marzo 2020; siamo una comunità dove studiano e lavorano tante persone, dove ognuno deve essere
rispettato tanto nei propri doveri quanto nei propri diritti, email del 29 aprile 2020) e di coesione
(l’obiettivo dell’UniBg di farvi provare sempre e comunque la forza coesiva che deve caratterizzare un
Ateneo [...] crediamo fortemente nel nostro procedere uniti, nonostante le difficoltà che possono
presentarsi, email del 14 ottobre 2020). Non ha dimenticato nemmeno di sottolineare l’impegno
dell’Università nel garantire un sostegno costante (senza mai permettere che il vostro e, anzi, il nostro
percorso verso le conoscenze possa essere interrotto, email del 4 novembre 2020).
Questa promessa, però, sembra ora venir meno, con la comunicazione del 10 agosto 2021 agli
studenti: tutti coloro che accederanno, per motivi di studio o lavoro, alle sedi universitarie dovranno essere
infatti in possesso del cosiddetto green pass. Non un cenno a chi non si adegua a questo aut-aut, scegliendo
di non sottoporsi ai tamponi diagnostici, il cui alto tasso di inattendibilità è certificato dallo stesso Istituto
Superiore di Sanità (cfr. rapporto ISS Covid-19 n. 46/2020), né all’inoculazione dei vaccini sperimentali a
mRna o a Dna ricombinante, la cui efficacia nell’arginare i contagi è presentata come relativa, ad esempio,
nello stesso foglietto illustrativo della Pfizer: potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo
ricevono e la durata della protezione non è nota (dalla nota informativa 1 del modulo di consenso vaccinale
Comirnaty).
Considerato che lo stesso vaccinato può contagiare ed essere a sua volta contagiato, ci si chiede quale
possa in effetti essere la funzione del Green Pass, e se essa sia realmente di natura sanitaria o
eminentemente politica. Anche la garanzia di non nocività dei vaccini sperimentali è alquanto dubbia:
come esplicitato dal punto 10 del consenso informato (non è possibile al momento prevedere danni a lunga
distanza), non si escludono possibili effetti collaterali a lungo termine, anche gravi.

Che ne sarà allora delle promesse di inclusione, di coesione e di sostegno per tutti gli studenti che
sceglieranno di non aderire acriticamente e incondizionatamente alla sperimentazione vaccinale di massa o
al tracciamento sanitario via Green Pass, dispositivo di controllo sociale e amministrativo in aperta
violazione del diritto alla privacy dei propri dati?

Proprio a Bergamo, come se i molti lutti non fossero bastati, osiamo mettere in discussione quella che
viene attualmente presentata come l’unica soluzione in grado di contenere il contagio? Sì, proprio a
Bergamo, la città più colpita dalla pandemia. Come in tutt’Italia, ci si prepara ora a perdere anche
l’universale diritto all’istruzione e alla cultura (sancito dalla nostra Costituzione all’art. 34) o quantomeno a
vederne compromessa la fruibilità.
Proprio a Bergamo, la città in cui com’è noto il direttore del dipartimento di anatomia patologica
dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, mettendo in discussione le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità e del Ministero della Salute che sconsigliavano di eseguire le autopsie sui corpi deceduti a causa
del Covid, scoprì il ruolo decisivo della formazione dei trombi nell’aggravarsi della malattia, evidenziando la
necessità dell’utilizzo dei farmaci anticoagulanti.
Proprio a Bergamo, la città in cui il primo atto di disubbidienza in materia di pandemia si è dimostrato un
primo passo verso la verità clinica.

Con lo stesso spirito, siamo portati oggi a dubitare dell’utilità scientifica, della legittimità giuridica e della
liceità etica di un lasciapassare sanitario formalmente preposto a contenere la diffusione del Covid-19.
Questo strumento, infatti, oltre a non garantire la non-contagiosità dei suoi detentori, comporta la
discriminazione nei diritti costituzionali in base allo stato di salute e all’assunzione di un prodotto
sperimentale (non privo di possibili effetti collaterali gravi) per una malattia ritenuta curabile da sempre più
medici con i protocolli farmacologici di terapia domiciliare (come testimoniato, ad esempio, dall’esperienza
dei dottori di ippocrateorg.org e del Comitato Cure Domiciliari Covid-19, a smentire con oltre 60.000 guariti
la diffusa vulgata secondo cui non esistono valide alternative mediche al vaccino).

Proprio a Bergamo, dove a inizio pandemia l’abbandono dei pazienti fino all’aggravarsi della malattia e
l’inopportuna pratica di ventilazione forzata precoce hanno contribuito a causare così tante morti,
possiamo permetterci altri errori?

Oggi chiunque critichi l’effettiva utilità sanitaria e la neutralità politica del Green Pass rischia di attirarsi
quella stessa accusa di “irresponsabilità” che viene già disinvoltamente rivolta, con modi sempre più
violenti e intimidatori, a chiunque decida di non farsi iniettare i vaccini genici a mRna e a Dna ricombinante
(la cui fase di sperimentazione terminerà, per i diversi brevetti, tra il 2022 e il 2023). Ci si chiede quale
considerazione del concetto di responsabilità abbia realmente oggi chi ci governa, laddove Stato,
istituzioni e multinazionali farmaceutiche ben lungi dall’assumersi la responsabilità delle proprie
decisioni politiche e tantomeno i rischi degli effetti avversi da vaccini li scaricano sul senso civico e sulla
“libera scelta” dei cittadini stessi. La manleva di responsabilità avviene tramite consenso informato,
accompagnata da forme di pressione psicologica, sociale e mediatica che giungono ora a compimento con
l’imposizione del Green Pass, una sorta di obbligo indiretto che preclude in assenza di tamponi diagnostici
o certificati d’avvenuta vaccinazione l’accesso a servizi essenziali.

Queste misure, come l’obbligo vaccinale ventilato in queste settimane, sarebbero forse più comprensibili e
accettabili se il rapporto benefici/rischi della vaccinazione anti-Covid 19 fosse nettamente a vantaggio dei
primi, ma anche su questo vi sono ragionevoli dubbi all’interno della stessa comunità scientifica. Al netto di
una controversa ma in genere assai bassa letalità del virus (attestata secondo l’OMS allo 0,6%, senza
considerare le differenze per fasce d’età e i casi di co-morbilità e patologie pregresse), si ricorda che tra
gli effetti avversi a breve termine dei vaccini genici possono presentarsi gravi trombosi, danni neurologici,
miocarditi e pericarditi; nel lungo termine, sono svariati gli scienziati che prospettano il serio rischio di
effetti mutageni, infertilità, malattie autoimmuni e tumori. Perfino i dati ufficiali iniziano a parlare chiaro:
l’Eudravigilance, la banca dati europea di farmacovigilanza dell’EMA, registrava al 31 luglio 2021 e per i soli
paesi dell’Unione Europea un totale di 20.594 morti associate ai vaccini anti-Covid e un totale di 1.960.607
effetti avversi provocati dagli stessi (dei quali 968.870 gravi).

In fatto di responsabilità, com’è possibile sorvolare sulle gravi reazioni che possono conseguire dalla
vaccinazione anti-Covid 19, specie per una fascia d’età, quella degli studenti universitari, in cui la relativa
pericolosità del virus è ulteriormente ridotta?
Tornando a noi, e sempre a questo proposito, è utile a questo punto richiamare le parole del nostro
Rettore, dalla citata email del 10 agosto 2021 sull’introduzione del Green Pass: Contiamo sul vostro senso di
responsabilità, come abbiamo sempre fatto, convinti che provvederete quanto prima (e possibile) a farvi
vaccinare: solo in questo modo avremo la speranza di “tenere a bada” il contagio e, di conseguenza, di
proseguire le nostre attività in presenza tutti insieme, senza paura di danneggiarci l’un l’altro.

Caro Rettore, con la presente ci sentiamo di rassicurarLa: Lei può senz’altro contare sul nostro senso di
responsabilità morale, non certo nel farci “quanto prima (possibile)” vaccinare (visto che il vaccino, come
sopra ricordato, non assicura affatto di poter “tenere a bada” il contagio), bensì nel non assecondare, per il
bene nostro e altrui, un nuovo ordine culturale, legislativo e sociale nutrito d’irresponsabilità politica e di
coartazione tecnologico-sanitaria. Da parte nostra sarebbe relativamente comodo, facile e indolore
accettare il requisito del Green Pass per meglio concentrarci egoisticamente sulla nostra singola carriera
universitaria, apprestandoci a vivere il mondo di domani come se non fosse un prodotto delle nostre scelte
(o delle nostre reticenze) di oggi. Disgraziatamente, però, il nostro senso di responsabilità ci trattiene dal
farlo. A Lei che ce ne ha ricordato l’importanza, ci permettiamo così a nostra volta di ringraziarLa
richiamandoLa a questo stesso principio, non solo nei riguardi dell’Università di Bergamo ma di tutti gli
atenei lombardi di cui è coordinatore. A porsi idealmente di fronte a tutti gli studenti, indistintamente. E a
ribadire, se vorrà, queste sue stesse parole suasive e perentorie. È sicuro di volersene prendere la
responsabilità?

Insieme a tutti i destinatari della presente, ci chiediamo in particolare se anche i professori della nostra
Università vorranno accondiscendere, foss’anche solo nel silenzio/assenso, a questa stessa sovrana
attitudine alla deresponsabilizzazione, al pensiero unilaterale e semplificatorio, al silenziamento d’ogni
dissenso critico, quando non già criminalizzato o patologizzato.

Esattamente novant’anni fa, nel 1931, venne imposto a tutti i professori universitari l’obbligo di giurare
fedeltà al regime fascista, pena la destituzione dalla cattedra di cui erano titolari. Come ben sappiamo, solo
12 professori su 1.225 rifiutarono. Oggi il personale docente e non docente presente negli istituti
universitari italiani ammonta a circa 125.600 persone: quanti di questi si rassegneranno ad accettare
l’inaccettabile? Giova ricordare a tutti noi che conosciamo così male la Storia quanto ancora rischiamo
di ripeterne gli orrori?
Cari professori: anche noi, come il Rettore nei nostri confronti, sappiamo di poter contare sul suo e sul
vostro senso di responsabilità, certi “che provvederete quanto prima (e possibile)” a levare finalmente una
voce contraria e non sottomessa dinanzi a questo provvedimento incostituzionale e inqualificabile, come
alcuni vostri colleghi stanno già coraggiosamente iniziando a fare, da
Andrea-Sigfrido Camperio
Ciani
(ordinario di Etologia, Psicobiologia e Psicologia evoluzionistica all’Università di Padova) a Francesco
Benozzo
(associato di Filologia e linguistica romanza all’Università di Bologna, candidato al Nobel per la
Letteratura dal 2015). Forse non sarete tutti, forse sarete solo una piccola parte, ma ci basterà per essere
fieri, una volta di più, di essere o essere stati vostri studenti. Ci sarà sufficiente per non incrinare la fiducia
che in questi anni di studio abbiamo avuto e tuttora abbiamo in voi. Per non dover mettere in discussione,
alla radice, il senso del vostro stesso insegnamento.

Se poi vorrete, spazientiti, sbirciare già alla fine di questo messaggio ben poco smart, social friendly o
parcellizzabile in slogan pronti ad essere confutati con ottusa disinvoltura dai sedicenti fact-checker,
troverete un nuovo motivo di delusione. Vedete, non ci firmiamo “Studenti contro il Green Pass”.
Nemmeno “Studenti contro i sieri genici sperimentali a mRna e Dna ricombinante”, o “Studenti contro il
terrorismo mediatico, il tracciamento sanitario e la digitalizzazione totalitaria”. Siamo, semplicemente,
studenti dell’Università di Bergamo. Spiacenti di aggiungere un’inerte constatazione in un momento già
governato dal consenso tautologico e dal culto dell’identico, ma, sapete, questo non è niente di più e
niente di meno di quello che effettivamente siamo. Siamo parte della comunità universitaria. Ci siamo
regolarmente iscritti, pagando le tasse universitarie. Abbiamo frequentato le lezioni, abbiamo sostenuto gli
esami, anche con medie eccellenti. Durante il nostro percorso universitario, come tutti, siamo stati colpiti
dai lutti e dalle restrizioni.
Infine siamo tornati in Università, per riprendere, terminare o proseguire i nostri studi. E ora? Ora, con il
D.L. 111/2021 e la conseguente comunicazione del Rettore, chi è deciso a non accettare l’illegittima
imposizione del Green Pass non sembra venir nemmeno contemplato nella vita universitaria, sia pure con
altre modalità di partecipazione (senza curarsi del considerando n. 36 del regolamento 953/2021 del
Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea sull’uso del Green Pass, dove si sancisce che anche coloro che
hanno scelto di non essere vaccinati non possono essere oggetto di discriminazione, diretta o indiretta).

Neppure un riferimento alla possibilità comunque moralmente discutibile e insoddisfacente di svolgere
gli esami a distanza, ricorrendo a una modalità partecipativa così sistematicamente e agilmente adottata
nell’anno e mezzo di emergenza pandemica. Ed eccoci esclusi, come accaduto ad altri studenti Unibg
nel curioso caso di occultamento dei 192 commenti in larghissima parte critici sottoscritti al post di
Facebook con cui l’Università di Bergamo informava dell’introduzione del Green Pass, lo scorso 23 agosto:
fuori dal testo, fuori dal diritto, fuori dalla comunità. Confidiamo in una dimenticanza, in un refuso, a cui
auspichiamo si rimedi presto, come a livello governativo si è fatto con quel celebre “per scelta
curiosamente omesso e poi reintegrato nella traduzione italiana dello stesso 953/2021. Perché questo è
quello che siamo: studenti dell’Università di Bergamo, a rappresentanza di pressoché tutte le sue facoltà.
Non ci qualifichiamo, non ci quantifichiamo. Potremmo essere 10, 100, 1000, 10000... Ma anche se fossimo
solo in due, come erroneamente e grottescamente riportato dal Corriere della Sera-Bergamo in data 18
agosto 2021 riguardo ai primi due giorni di raccolta firme a Bergamo per la petizione indetta dal Prof.
Granara, dovrete fare i conti con la nostra presenza. E con le nostre domande.

Da aspiranti filologi e filosofi, ci chiediamo come sia ammissibile una massificazione tanto violenta e un
depauperamento tanto sistematico e su larga scala del linguaggio e del pensiero critico. Da aspiranti
pedagogisti, ci domandiamo se tutto ciò non sottintenda un preoccupante stravolgimento dei concetti
stessi di istruzione, di educazione e di insegnamento.
Da aspiranti psicologi, ci interroghiamo su quanto sia legittimo ed eticamente accettabile l’abuso di
tecniche di condizionamento mentale da parte di mass media e istituzioni nel promuovere la campagna
vaccinale.
Da aspiranti ingegneri, ci chiediamo quanto sia effettivamente fondato e corretto un utilizzo mediatico e
strumentale di statistiche e dati, volti a giustificare restrizioni e norme politico-sanitarie.
Da aspiranti giuristi, ci interroghiamo su quanto siano tollerabili nel nome dell’emergenza sanitaria la
drastica riduzione e il graduale smantellamento delle libertà fondamentali sancite dalla Costituzione
Italiana e dell’ordinamento democratico del nostro Paese.
Da esseri umani, ci domandiamo quanto sia sostenibile questa china tecnocratica e disumana che si va
profilando, e a quale idea di futuro autoritario e biomedicalizzato ci stiamo progressivamente adattando.
Per paura, indifferenza o conformismo.
Ci chiediamo tutto questo, e lo chiediamo a voi. A ciascuno di voi.

Cosa deciderete di fare?
In un contesto di pianificato caos normativo e statistico dove di osservabile e verificabile sembra rimanere
ben poco, e dove a dettare legge sono spesso gli scienziati più autoritari in luogo dei più autorevoli,
avanziamo il sospetto che l’Università tutta rischi oggi di trovarsi davanti a un bivio cruciale. Può darsi, a
ben vedere, che non siamo lontani dalla concreta, drammatica possibilità di regredire dai moderni principi
del metodo scientifico sperimentale che delle Università rinnovarono, illuminarono e affinarono lo spirito
all’opacità di un nuovo, restaurando dominio del principio d’autorità, sclerotizzato in granitica e
incontestabile Scienza. Per riconoscere la direzione più giusta e probabilmente più sana, può darsi che la
strada da percorrere non sia all’insegna della paura e del controllo, bensì del coraggio e della libertà,
debitamente scrostati dalle sedimentazioni propagandistiche di questi mesi.

E può darsi che al netto di tutti i ricatti morali e occupazionali del caso, non siamo altri che noi mittenti
e destinatari di questa lettera, insieme i primi artefici del futuro che ci aspetta.
Da oggi stesso, ognuno di noi, individualmente, ne sarà responsabile.  

Grazie dell’attenzione,
Studenti dell’Università di Bergamo

 

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