mercoledì 27 luglio 2022

La Bolla d'Oro dell'imperatore Carlo IV

 


Nel nome della santa e indivisibile Trinità felicemente amen.

Carlo Quarto, per grazia della divina misericordia imperatore dei Romani, sempre augusto, e re di Boemia; a perenne ricordo di questa vicenda. Ogni regno diviso contro se stesso sarà desolato. Perché i suoi principi sono diventati compagni dei ladri. Dio ha mescolato tra loro lo spirito di vertigine, perché brancolino a mezzogiorno come nelle tenebre; e ha tolto il loro candelabro dal suo posto, perché siano ciechi e capi dei ciechi. E quelli che camminano nelle tenebre inciampano; e i ciechi commettono crimini nei loro cuori che si compiono in tempo di discordia. Dicci, orgoglio, come avresti regnato su Lucifero se non avessi avuto la discordia ad aiutarti? Dicci, odioso Satana, come avresti cacciato Adamo dal Paradiso se non lo avessi diviso dalla sua obbedienza? Dicci, lusso, come avresti distrutto Troia, se non avessi diviso Elena da suo marito? Dicci, ira, come avresti distrutto la repubblica romana se non avessi, per mezzo della discordia, spronato Pompeo e Cesare con spade furiose al conflitto interno? Tu, infatti, o invidia, ospiti, con empia malvagità, il veleno antico contro l'impero cristiano che è fortificato da Dio, come la santa e indivisibile Trinità, con le virtù teologali della fede, della speranza e della carità, il cui fondamento è felicemente stabilito in alto nel regno stesso di Cristo. Tu hai fatto questo, come un serpente, contro i rami dell'impero e i suoi membri più vicini; così che, scosse le colonne, hai sottoposto a rovina l'intero edificio. Tu hai spesso seminato discordia tra i sette elettori del santo impero, attraverso i quali, come attraverso sette candelabri che gettano luce nell'unità di uno spirito settuplice, il santo impero dovrebbe essere illuminato.

Poiché noi, per la carica con cui possediamo la dignità imperiale, siamo doppiamente tenuti - sia come imperatore sia per il diritto elettorale di cui godiamo - a porre fine al futuro pericolo di discordie tra gli stessi elettori, al cui numero noi, come re di Boemia, sappiamo di appartenere: abbiamo promulgato, decretato e raccomandato per la ratifica le leggi qui di seguito riportate, allo scopo di mantenere l'unità tra gli elettori e di realizzare un'elezione unanime, e di chiudere ogni approccio alla detestabile discordia e ai vari pericoli che ne derivano. Questo abbiamo fatto nel nostro solenne tribunale di Norimberga, in seduta con tutti i principi elettori, ecclesiastici e secolari, e in mezzo a una numerosa moltitudine di altri principi, conti, baroni, magnati, nobili e cittadini; dopo una matura deliberazione, dalla pienezza del nostro potere imperiale; seduto sul trono della nostra maestà imperiale, ornato delle fasce imperiali, delle insegne e del diadema; nell'anno del Signore 1356, nella nona indizione, il quarto giorno prima delle idi di gennaio, nel decimo anno del nostro regno come re, il primo come imperatore.
 

1. Che tipo di scorta devono avere gli elettori e da chi deve essere fornita.

(1) Noi decretiamo e, con il presente editto imperiale e sempre valido, sanciamo, per conoscenza certa e per la pienezza del potere imperiale: che ogni volta che, in futuro, si presenterà la necessità o l'occasione di eleggere un re dei Romani e un futuro imperatore e i principi elettori, secondo l'antica e lodevole consuetudine, saranno obbligati a recarsi a tale elezione, ogni principe elettore, se e quando sarà chiamato a farlo, sarà tenuto a scortare i suoi colleghi principi elettori o gli inviati che essi invieranno a tale elezione attraverso le sue terre, i suoi territori e i suoi distretti, e anche al di là di essi, per quanto gli sarà possibile; e di fornire loro una scorta senza inganno durante il tragitto verso la città in cui si terranno le elezioni e anche nel ritorno da essa. Questo sotto pena di falsa testimonianza e della perdita, solo per quel periodo, del voto che stava per avere in tali elezioni; la quale pena, in effetti, decretiamo che colui o coloro che si dimostreranno ribelli o negligenti nel fornire la suddetta scorta, incorreranno, con l'atto stesso.

(2) Decretiamo inoltre e ordiniamo a tutti gli altri principi che detengono feudi del Sacro Romano Impero, qualunque sia il servizio che devono svolgere, e a tutti i conti baroni, cavalieri, seguaci nobili e comuni, cittadini e comunità di castelli, città e distretti del Sacro Impero: che in questo stesso momento - quando, cioè, avrà luogo l'elezione del re dei Romani e del futuro imperatore - essi scortino, senza alcuna astuzia, nel modo suddetto, attraverso i loro territori e quanto più possibile al di là di essi, qualsiasi principe elettore che richieda da loro, o da uno di loro, un aiuto di questo tipo, o gli inviati che, come è stato spiegato in precedenza, egli avrà inviato a tale elezione.  Ma se qualcuno oserà opporsi a questo nostro decreto, incorrerà, in virtù dell'atto stesso, nelle seguenti pene: tutti i principi e i conti, i baroni, i nobili cavalieri e i seguaci, e tutti i nobili che agiranno in contrasto con esso, saranno considerati colpevoli di spergiuro e saranno privati di tutti i feudi che possiedono del Sacro Romano Impero e di qualsiasi signoria, e anche di tutti i loro beni, indipendentemente da chi li possieda. Tutte le città e le corporazioni, inoltre, che presumono di agire in contrasto con quanto sopra, saranno considerate colpevoli di spergiuro, e allo stesso modo saranno private di tutti i loro diritti, libertà, privilegi e favori ottenuti dal Sacro Impero, e sia nelle loro persone che in tutti i loro beni incorreranno nell'interdizione e nella proscrizione imperiale. E chiunque, di propria autorità e senza processo o convocazione di alcun magistrato, potrà d'ora in poi impunemente attaccare coloro che noi, con l'atto stesso, priviamo, da ora o da un tempo passato, di tutti i loro diritti. E, attaccandoli, non dovrà temere alcuna punizione da parte dell'Impero o di altri, in quanto essi, negligenti in una questione così importante, sono condannati per aver agito in modo infedele e perverso, come persone disobbedienti e perfide e ribelli allo Stato, alla maestà e alla dignità del Sacro Impero, e persino al proprio onore e alla propria sicurezza.

(3) Decretiamo, inoltre, e ordiniamo che i cittadini e le corporazioni di tutte le città siano obbligati a vendere o a far vendere ai suddetti principi elettori, o a chiunque di loro lo richieda, e ai loro inviati, quando si recano nella suddetta città per lo svolgimento di tali elezioni, e anche quando ne ritornano, generi alimentari al prezzo comune e corrente per il fabbisogno proprio o dei suddetti inviati e dei loro seguaci. E non dovranno in alcun modo agire in modo fraudolento riguardo a quanto sopra. Vogliamo che coloro che agiranno diversamente incorrano, con l'atto stesso, in quelle pene che noi, in precedenza, abbiamo ritenuto opportuno decretare contro i cittadini e le corporazioni. Chiunque, inoltre, tra i principi, i conti, i baroni, i cavalieri, i seguaci nobili o comuni, i cittadini o le corporazioni delle città, abbia l'ardire di erigere barriere ostili o di preparare imboscate a un principe elettore che si reca a tenere l'elezione di un re dei Romani o che ne ritorna, o di aggredire o disturbare loro o uno di loro nelle loro persone o nei loro beni, o nelle persone di detti inviati da loro o da uno di loro, sia che abbiano cercato una scorta sia che non abbiano ritenuto utile richiederla: decretiamo che egli, insieme a tutti i complici della sua iniquità, sia incorso, con l'atto stesso, nelle pene di cui sopra; in modo tale, cioè, che ciascuno incorra nella pena o nelle pene che, in base a quanto precede, abbiamo ritenuto più opportuno, relativamente al rango di quelle persone, infliggere. .

(4) Ma se un principe elettore fosse inimico di uno dei suoi co-elettori, e tra loro ci fosse una contesa, una controversia o un dissenso, nonostante questo, l'uno sarà tenuto, sotto pena di spergiuro e di perdita, per questa volta, del suo voto nell'elezione, come è stato detto sopra, a scortare in questo modo l'altro? O gli inviati dell'altro che saranno inviati in questo modo a tale elezione.

(5) Ma se qualche principe, conte, barone, cavaliere, seguace nobile o comune, cittadino o corporazione di città, nutrisse malanimo nei confronti di uno o più dei principi elettori, o se tra loro ci fosse discordia, guerra o dissenso reciproco: tuttavia, messa da parte ogni opposizione e frode, essi dovranno fornire la scorta a questo o a questi principi elettori, o ai suoi o ai loro inviati che si recano o tornano da tale elezione, nella misura in cui desiderano evitare le suddette punizioni dichiarate dall'Unione contro di loro; punizioni in cui coloro che agiscono contro di loro incorreranno, secondo il nostro decreto, con l'atto stesso. Inoltre, per una maggiore sicurezza e certezza di tutto ciò, ordiniamo e vogliamo che tutti i principi elettori e gli altri principi, nonché i conti, i baroni, i nobili, le città o le corporazioni degli stessi, confermino tutto ciò con i loro scritti e con i loro giuramenti, e si impegnino efficacemente ad adempierli con buona fede e senza inganno. Ma chi si rifiuterà di dare scritti di questo tipo, incorrerà, con l'atto stesso, in quelle pene che noi, per quanto detto sopra, abbiamo ritenuto opportuno infliggere a ciascuno secondo il suo grado.

(6) Ma se un principe elettore o un altro principe di qualsiasi condizione o rango, o un conte, un barone o un nobile, o i successori o gli eredi di questi, che detengono uno o più feudi del Sacro Impero, non volessero rispettare le nostre costituzioni imperiali e le leggi sopra e sotto stabilite, o presumessero di agire in contrasto con esse: se uno di questi è un principe elettore, i suoi co-elettori lo escluderanno da quel momento in poi dall'associazione con loro, ed egli perderà sia il suo voto nell'elezione sia la posizione, la dignità e i privilegi posseduti dagli altri elettori; non sarà nemmeno investito dei feudi che avrà ottenuto dal Sacro Impero. Ma anche qualsiasi altro principe o nobile che contravvenga, come abbiamo detto, a queste nostre leggi, non sarà investito dei feudi che otterrà dal Sacro Impero o da chiunque altro, e inoltre incorrerà, per l'atto stesso, in tutte le suddette pene riguardanti la sua persona.

(7) Anche se abbiamo voluto e decretato in termini generali che tutti i principi, i conti, i baroni, i nobili, i cavalieri, i seguaci, e anche le città e le corporazioni degli stessi sono tenuti, come si è detto, a fornire la suddetta scorta a qualsiasi principe elettore o ai suoi inviati; tuttavia abbiamo pensato di designare per ciascuno di loro scorta e conduttore speciali che saranno più adatti a loro secondo la vicinanza delle loro terre e dei loro distretti, come sarà direttamente chiarito da ciò che segue.

(8) In primo luogo il re di Boemia, arci-portatore del Santo Impero, sarà scortato dall'arcivescovo di Magonza, dai vescovi di Bamberga e di Wurzburg, dai burgravi di Norimberga; così pure da quelli di Hohenlohe, di Wertheim, di Brunico e di Hohenau; così pure dalle città di Norimberga, Rothenburg e Windesheim.

(9) Poi l'arcivescovo di Colonia, l'arcicancelliere del Sacro Impero per l'Italia saranno scortati - essendo essi tenuti a fornire tale scorta - dagli arcivescovi di Magonza e di Treves, dal conte palatino del Reno, dal langravio d'Assia; così pure dai conti di Katzenellenbogen, di Nassau, di Dietz; così pure da Ysenburg, da Vesterburg, da Runkel, da Limburg e da Falkenstein; così pure dalle città di Wetzlar, Gelnhausen e Friedberg.

(10) Allo stesso modo l'arcivescovo di Treves, arcicancelliere del Santo Impero per le province glalliche e per il regno di Arles, sarà scortato dall'arcivescovo di Magonza, dal conte palatino del Reno; allo stesso modo dai conti di Sponheim, di Veldenz. i Raugraves e i Wiltgraves di Nassau, di Ysenburg, di Westerburg, di Runkel, di Dietz, di Katzenellenbogen, di Eppenstein, di Falkenstein; la città di Magonza.

(11) Il conte palatino del Reno, arcivescovo del Sacro Impero, deve essere scortato dall'arcivescovo di Magonza.

(12) Ma il duca di Sassonia, arcimaresciallo del Sacro Impero, sarà scortato di diritto dal re di Boemia, dagli arcivescovi di Magonza e di Madgeburgo, dai vescovi di Bamberga e di Wurzburg, dal margravio di Meissen e dal langravio d'Assia; gli abati di Fulda e di Hersfeld, i burgravi di Norimberga; quelli di Hohenlohe, di Wertheim, di Brunico, di Hohenau, di Falkenstein; le città di Erfurt, Mulhausen, Norimberga, Rothenburg e Windesheim. E tutte queste ultime saranno tenute a scortare il margravio di Brandeburgo, arcicamerlengo del Sacro Impero.

(13) Inoltre, vogliamo e decretiamo espressamente che ogni principe elettore che desideri avere tale scorta renda noto questo fatto e la via per la quale deve passare, e richieda tale scorta in tempo utile, in modo che coloro che sono stati incaricati di fornire tale scorta, e ai quali è stata richiesta, possano prepararsi per tempo e in modo conveniente.

(14) Dichiariamo, inoltre, che i precedenti decreti promulgati in materia di scorta devono essere intesi in modo tale che ogni persona sopra nominata - o forse non espressa - alla quale, nel caso suddetto, possa essere richiesta una scorta, sia tenuta a fornirla almeno attraverso le sue terre e i suoi territori, e per quanto possibile, senza frode, sotto le pene sopra indicate.

(15) Inoltre decretiamo e ordiniamo che colui che in quel momento sarà arcivescovo di Magonza comunichi questa stessa elezione ai diversi principi, ecclesiastici e secolari, suoi co-elettori, con lettere patenti, tramite i suoi inviati. Nelle quali lettere, anzi, saranno espressi il giorno e il termine entro il quale tali lettere potranno probabilmente giungere a ciascuno di quei principi. E le lettere di questo tipo stabiliranno che, entro tre mesi successivi dal giorno espresso nelle lettere stesse, tutti i principi elettori dovranno stabilirsi a Francoforte sul Meno, o inviare i loro legittimi inviati, in quel momento e in quel luogo, con pieni e diversi poteri, e con le loro lettere patenti, firmate con il grande sigillo di ciascuno di loro, per eleggere un re dei Romani e futuro imperatore. Inoltre, come e sotto quale forma tali lettere debbano essere redatte e quali formalità debbano essere immutabilmente osservate al riguardo, e in quale forma e modo i principi elettori debbano disporre quali inviati debbano essere inviati a tale elezione, e il mandato, o il diritto di procura che essi debbano avere: tutto ciò si troverà scritto chiaramente ed espressamente alla fine del presente documento. E ordiniamo e decretiamo, per la pienezza del potere imperiale, che la forma ivi stabilita sia conservata in ogni tempo.

(16) Inoltre ordiniamo e decretiamo che quando la morte dell'imperatore o del re dei Romani sarà nota con certezza nella diocesi di Magonza, entro un mese da quel momento, contando ininterrottamente dal giorno della notizia di tale morte, la morte stessa e la convocazione di cui abbiamo parlato siano annunciate dall'arcivescovo di Magonza attraverso le sue lettere patenti. Ma se questo stesso arcivescovo dovesse essere negligente o negligente nell'eseguire questo e nell'inviare la convocazione, allora quegli stessi principi, di loro spontanea volontà, anche senza convocazione, in virtù della fedeltà che devono alla santa congiura, si riuniranno nella citata città di Francoforte entro tre mesi da questo, come è contenuto nel decreto immediatamente precedente, essendo in procinto di eleggere un re degli Umani e futuro imperatore.

(17) Inoltre ogni principe elettore dei suoi inviati dovrà, al momento della suddetta elezione, entrare nella suddetta città di Frankfort con non più di duecento seguaci a cavallo, tra i quali potrà portare con sé solo cinquanta uomini armati o meno, ma non di più.

(18) Ma un principe elettore, chiamato e convocato a tale elezione, e che non vi si presenti né invii inviati legittimi con lettere patenti, sigillate con il suo sigillo maggiore e contenenti poteri, pieni, liberi e di ogni genere, per l'elezione del re dei Romani e futuro imperatore; o colui che si reca, o eventualmente invia inviati, alla stessa, ma che poi, lui stesso - o la suddetta ambasceria - si allontana dal luogo dell'elezione prima che sia stato eletto un re dei Romani e futuro imperatore, e non sostituisce formalmente un legittimo procuratore e non lo lascia lì: perderà per quel periodo il voto o il diritto che aveva in quell'elezione e che ha abbandonato in tal modo.

(19) Ordiniamo, inoltre, ai cittadini di Francoforte che essi, in virtù del giuramento che abbiamo stabilito debbano prestare sul Vangelo a questo proposito, proteggano e difendano con fedele zelo e ansiosa diligenza tutti i principi elettori in generale e ciascuno di essi in particolare dall'invasione dell'altro, se dovesse sorgere una qualsiasi lite tra loro; e anche dall'invasione di qualsiasi altra persona. Lo stesso dicasi per tutti i seguaci che essi o qualcuno di loro avrà portato nella suddetta città tra il suddetto numero di duecento cavalieri. In caso contrario, essi incorreranno nella colpa di spergiuro e perderanno anche tutti i diritti, le libertà, i privilegi, i favori e le concessioni che sono noti per essere stati concessi dal Sacro Impero e, in base all'atto stesso, cadranno sotto il divieto dell'Impero per quanto riguarda le loro persone e tutti i loro beni. E, da quel momento in poi, ogni uomo, di propria autorità e senza sentenza giudiziaria, potrà impunemente invadere come traditori e sleali e come ribelli all'impero, quei cittadini che noi, in tal caso, da ora o da un tempo precedente, priviamo di tutti i loro diritti: E tali invasori non devono temere alcuna punizione da parte del Sacro Impero o di chiunque altro.

(20) I suddetti cittadini di Francoforte, inoltre, per tutto il tempo in cui si tratteranno e si svolgeranno le suddette elezioni, non ammetteranno o permetteranno in alcun modo che qualcuno, di qualsiasi dignità, condizione o posizione sia, entri nella suddetta città: sono esclusi solo i principi elettori e i loro inviati e i suddetti procuratori, ognuno dei quali sarà ammesso, come si è detto, con duecento cavalieri. Ma se dopo l'ingresso di questi stessi principi elettori, o durante la loro presenza, qualcuno dovesse trovarsi nella suddetta città, i cittadini stessi dovranno, senza indugio, provvedere subito a farlo uscire, sotto la pena di tutto ciò che è stato promulgato contro di loro e anche in virtù del giuramento che gli stessi cittadini di Frankfort devono prestare sul Vangelo, secondo le condizioni del presente decreto, come è stato spiegato in precedenza.

 
2. Riguardo all'elezione di un re dei Romani.

(1) Inoltre, dopo che i suddetti elettori o i loro inviati saranno entrati nella città di Frankfort, il giorno seguente all'alba, nella chiesa di San Bartolomeo apostolo, alla presenza di tutti, faranno cantare una messa allo Spirito Santo, affinché lo stesso Spirito Santo illumini i loro cuori e infonda la luce della sua virtù nei loro cuori. Bartolomeo apostolo, alla presenza di tutti loro, faranno cantare una messa allo Spirito Santo, affinché lo stesso Spirito Santo illumini i loro cuori e infonda nei loro sensi la luce della sua virtù, in modo che essi, armati della sua protezione, possano eleggere un uomo giusto, buono e utile come re dei Romani e futuro imperatore, e come salvaguardia del popolo di Cristo. Dopo la celebrazione di tale messa, tutti gli elettori o i loro inviati si avvicineranno all'altare su cui è stata celebrata la messa e lì i principi elettori ecclesiastici, davanti al Vangelo di San Giovanni: "In principio era il Verbo", che deve essere posto davanti a loro, porranno le mani con riverenza sul petto. Ma i principi elettori secolari toccheranno effettivamente il suddetto Vangelo con le mani. E tutti loro, con tutti i loro seguaci, staranno lì disarmati. L'arcivescovo di Magonza darà loro la forma del giuramento ed egli, insieme a loro, ed essi, o gli inviati degli assenti, insieme a lui, presteranno giuramento in comune come segue:

(2) "Io, arcivescovo di Magonza, arcicancelliere del Sacro Impero in tutta la Germania e principe elettore, giuro su questo santo vangelo di Dio qui effettivamente posto davanti a me, che per la fede che mi lega a Dio e al Sacro Romano Impero, intendo, con l'aiuto di Dio, nella misura massima della mia discrezione e intelligenza, e in conformità con la suddetta fede, di eleggere colui che sarà adatto, per quanto la mia discrezione e il mio discernimento possano dire, a capo temporale del popolo cristiano, cioè un re dei Romani e futuro imperatore. E la mia voce e il mio voto, o la suddetta elezione, li darò senza alcun patto, pagamento, prezzo o promessa, o come si possano chiamare queste cose. Che Dio e tutti i santi mi aiutino".

(3) Una volta prestato tale giuramento da parte degli elettori o dei loro inviati nella forma e nel modo suddetti, essi procederanno all'elezione. E d'ora in poi non si disperderanno dalla suddetta città di Francoforte finché la maggioranza di loro non avrà eletto un capo temporale per il mondo e per il popolo cristiano; un re, cioè, dei Romani e futuro imperatore. Ma se non riusciranno a fare questo entro trenta giorni, contando ininterrottamente dal giorno in cui hanno prestato il suddetto giuramento, quando questi trenta giorni saranno trascorsi, da quel momento in poi vivranno a pane e acqua, e non lasceranno in alcun modo la suddetta città se prima non sarà stato eletto da loro, o dalla maggioranza di loro, un sovrano o un capo temporale dei fedeli, come è stato detto prima.

(4) Inoltre, dopo che essi, o la maggioranza di essi, avranno fatto la loro scelta in quel luogo, tale elezione sarà considerata in futuro come se fosse stata fatta all'unanimità da tutti loro, nessuno escluso. E se qualcuno degli elettori o dei loro suddetti inviati dovesse essere trattenuto per un certo periodo di tempo e dovesse essere assente o in ritardo, se dovesse arrivare prima che la suddetta elezione sia stata consumata, stabiliamo che sarà ammesso all'elezione nello stato in cui si trovava al momento del suo arrivo. E poiché per antica consuetudine approvata e lodevole si è sempre osservato inviolabilmente ciò che segue, stabiliamo e decretiamo anche per la pienezza del potere imperiale che colui che sarà stato eletto, nel modo suddetto, re dei Romani, subito dopo l'elezione e prima di occuparsi di qualsiasi altro caso o questione in virtù della sua carica imperiale, senza indugio o contraddizione, confermerà e approverà, con le sue lettere e i suoi sigilli, a tutti i principi elettori, ecclesiastici e secolari, che sono noti per essere i più vicini al sacro impero, tutti i loro privilegi, carte, diritti, libertà, antiche consuetudini, e anche le loro dignità e tutto ciò che avranno ottenuto e posseduto dall'impero prima del giorno dell'elezione. E rinnoverà loro tutto ciò dopo che sarà stato incoronato con gli ornamenti imperiali. Inoltre, il re eletto farà tale conferma a ciascun principe elettore in particolare, prima come re, poi, rinnovandola, con il suo titolo di imperatore; e, in tali questioni, non sarà tenuto in alcun modo a ostacolare né gli stessi principi in generale né alcuno di essi in particolare, ma piuttosto a promuoverli con il suo favore e senza inganno.

(5) Nel caso, infine, in cui tre principi elettori in persona, o gli inviati degli assenti, eleggano come re dei Romani un quarto tra loro o tra tutto il loro numero - un principe elettore, cioè, che sia presente o assente: -Decretiamo che il voto di questo eletto, se sarà presente, o dei suoi inviati se sarà assente, avrà pieno vigore e aumenterà il numero degli eletti, e costituirà una maggioranza come quella degli altri principi elettori.


3. Riguardo all'insediamento dei vescovi di Treves, Colonia e Maine.

Nel nome della santa e indivisibile Trinità felicemente amen. Carlo IV, per grazia della divina misericordia imperatore dei Romani, sempre augusto, e re di Boemia. A perpetua memoria di questa vicenda. Lo splendore e la gloria del Sacro Romano Impero, l'onore imperiale e il prezioso vantaggio dello Stato sono favoriti dalla concorde volontà dei venerabili e illustri principi elettori, i quali, essendo per così dire le colonne portanti, sostengono il sacro edificio con la vigile pietà di una prudente prudenza; con la cui protezione viene rafforzata la mano destra del potere imperiale. E quanto più essi sono legati da una più ampia benignità di reciproco favore, tanto più abbondantemente le benedizioni della pace e della tranquillità fluiranno felicemente per il popolo di Cristo. Affinché, dunque, tra i venerabili arcivescovi di Magonza, Colonia e Treves, principi elettori del sacro impero, siano rimosse per sempre tutte le cause di conflitto e di sospetto che potrebbero sorgere in futuro riguardo alla priorità o alla dignità dei loro seggi nelle corti imperiali e reali, e affinché essi, rimanendo in uno stato di quiete del cuore e dell'anima, possano, con il favore concorde e lo zelo dell'amore virtuoso, meditare più convenientemente sugli affari del sacro impero, a consolazione del popolo cristiano: noi, dopo aver deliberato con tutti i principi elettori, sia ecclesiastici che secolari, decretiamo dalla pienezza del potere imperiale, con la presente legge, sotto forma di editto, che sarà valida per sempre, che i suddetti venerabili arcivescovi possono, possono e devono sedere come segue in tutte le operazioni pubbliche relative all'impero; cioè nei tribunali, nel conferimento dei feudi, nei banchetti, nei consigli e in tutti gli altri affari per i quali si riuniscono o si riuniranno per trattare dell'onore o dell'utilità dell'impero. Be di Treves, cioè, siederà di fronte all'imperatore. Ma alla destra dell'imperatore dei Romani siederà colui che è di Magonza, quando si trova nella sua diocesi e nella sua provincia; e anche, al di fuori della sua provincia, per tutto il suo arci-cancellierato di Germania, ad eccezione della sola provincia di Colonia. Infine, egli di Colonia siederà lì quando si trova nella sua diocesi e provincia e, al di fuori della sua provincia, in tutta l'Italia e la Gallia. E vogliamo che questa forma di insediamento, nello stesso ordine sopra espresso, sia estesa per sempre ai successori dei suddetti arcivescovi di Colonia, Treves e Magonza, in modo che non sorga mai alcun dubbio su questi argomenti.


4. Riguardo ai principi elettori in comune.

Decretiamo inoltre che, tutte le volte che d'ora in poi si terrà un tribunale imperiale, in ogni assemblea - in consiglio, cioè a tavola o in qualsiasi altro luogo in cui l'imperatore o il re dei Romani si trovi a sedere con i principi elettori - alla destra dell'imperatore o del re dei Romani sieda subito dopo l'arcivescovo di Magonza o l'arcivescovo di Colonia, a seconda di quale dei due si trovi in quel momento, a seconda del luogo o della provincia, seguendo il tenore del suo privilegio, siederà alla destra dell'imperatore - in primo luogo il re di Boemia, in quanto principe incoronato e unto, e in secondo luogo il conte palatino del Reno. Ma sul lato sinistro, subito dopo uno dei suddetti arcivescovi che siederà a sinistra, il duca di Sassonia avrà il primo posto e, dopo di lui, il margravio di Brandeburgo il secondo.

Ma ogni volta che il Sacro Impero sarà vacante, l'arcivescovo di Magonza avrà il diritto, come è noto da tempo, di convocare gli altri principi, suoi compagni nella suddetta elezione. E quando tutti loro, o quelli che possono e vogliono essere presenti, saranno riuniti al termine dell'elezione, spetterà al suddetto arcivescovo di Magonza e a nessun altro chiedere i voti di questi suoi co-elettori, uno per uno nell'ordine seguente. In primo luogo, infatti, dovrà interrogare l'arcivescovo di Treves, al quale dichiariamo che appartiene il primo voto e al quale, come constatiamo, è appartenuto finora. In secondo luogo, l'arcivescovo di Colonia, al quale spetta la dignità e anche il dovere di imporre per primo il diadema reale al re dei Romani. In terzo luogo, il re di Boemia, che, giustamente e doverosamente, per il prestigio della sua dignità regale, ha il primo posto tra gli elettori laici. Quarto, il conte palatino del Reno. Quinto, il duca di Sassonia. Sesto, il margravio di Brandeburgo. Di tutti questi il suddetto arcivescovo di Magonza chiederà i voti nell'ordine suddetto. Fatto ciò, i suddetti principi, suoi compagni, lo incaricheranno a loro volta di esprimere la propria intenzione e di rendere noto il proprio voto. Inoltre, quando si terrà una corte imperiale, il margravio di Brandeburgo presenterà l'acqua per lavare le mani all'imperatore o al re dei Romani. Il re di Boemia sarà il primo a offrire da bere; ma, secondo il tenore dei privilegi del suo regno, non sarà tenuto a offrirla con la corona reale indosso, se non di sua spontanea volontà. Il conte palatino del Reno, inoltre, sarà obbligato a offrire il cibo, e il duca di Sassonia svolgerà l'ufficio di maresciallo, come è consuetudine da sempre.


5. Riguardo al diritto del conte palatino e anche del duca di Sassonia.

Quando, inoltre, come si è detto, il trono del Sacro Impero sarà vacante, l'illustre conte palatino del Reno, arcistallo del Sacro Impero, braccio destro del futuro re dei Romani nei distretti del Reno e della Svevia e nei confini della Franconia, dovrà, in ragione del suo principato o per privilegio della contea palatina, essere l'amministratore dell'impero stesso, con il potere di emettere sentenze, di presentare ai benefici ecclesiastici, di riscuotere rendite ed entrate e di investire con feudi, di ricevere giuramenti di fedeltà per e in nome del santo impero. Tutti questi atti, tuttavia, dovranno essere rinnovati a tempo debito dal re dei Romani che sarà successivamente eletto, e i giuramenti dovranno essere prestati nuovamente a lui. Sono esclusi solo i feudi dei principi e quelli che comunemente vengono chiamati feudi-stendardo, il cui conferimento e la cui investitura sono riservati esclusivamente all'imperatore o al re dei Romani. Il conte palatino deve sapere, tuttavia, che ogni tipo di alienazione o vincolo dei beni imperiali, nel tempo di tale amministrazione, gli è espressamente vietato. E vogliamo che l'illustre re di Sassonia, arcimaresciallo del Sacro Impero, goda dello stesso diritto di amministrazione nei luoghi in cui prevale la giurisdizione sassone, in tutte le modalità e condizioni che sono state espresse sopra.

E sebbene l'imperatore o il re dei Romani, nelle questioni in cui è chiamato a rispondere, debba rispondere davanti al conte palatino del Reno e al principe elettore - come si dice sia stato introdotto dalla consuetudine -, tuttavia il conte palatino non potrà esercitare tale diritto di giudizio se non nella corte imperiale, dove sarà presente l'imperatore o il re dei Romani.


6. Riguardo al confronto tra i principi elettori e gli altri principi ordinari.

Decretiamo che, quando si terrà un tribunale imperiale, ogni volta che in futuro se ne terrà uno, i suddetti principi elettori, ecclesiastici e secolari, dovranno immutabilmente occupare i loro posti a destra e a sinistra, secondo l'ordine e il modo prescritti. E nessun altro principe, di qualsiasi rango, dignità, preminenza o condizione sia, potrà in alcun modo essere preferito a loro o a qualcuno di loro, in qualsiasi atto relativo a quel tribunale; nel recarvisi, nel sedersi o nello stare in piedi. E si dichiara distintamente che soprattutto il re di Boemia, nello svolgimento di tali tribunali, in ogni luogo e atto suddetto, precederà immutabilmente qualsiasi altro re, con qualsiasi prerogativa speciale di dignità sia adornato, qualunque sia l'occasione o la causa per la quale possa capitare che venga o sia presente.


7. Riguardo ai successori dei principi.

Tra le innumerevoli preoccupazioni per il benessere del santo impero su cui noi, per grazia di Dio, regniamo felicemente, preoccupazioni che quotidianamente mettono alla prova il nostro cuore, il nostro pensiero è rivolto soprattutto a questo: che l'unione, auspicabile e sempre salutare, fiorisca continuamente tra i principi elettori del sacro impero, e che i cuori di quegli uomini siano conservati nella concordia di una sincera carità, grazie alla cui tempestiva cura i disordini del mondo sono tanto più facilmente e rapidamente placati, quanto meno l'errore si insinua tra loro e quanto più la carità è puramente osservata, essendo rimossa l'oscurità e chiaramente definiti i diritti di ciascuno. È infatti comunemente noto in lungo e in largo, e chiaramente manifesto, per così dire, in tutto il mondo, che quegli uomini illustri, il re di Boemia e il conte palatino del Reno, il duca di Sassonia e il margravio di Brandeburgo, hanno - l'uno in ragione del suo regno, gli altri dei loro principati - insieme ai principi ecclesiastici, loro co-elettori, il diritto, il voto e il posto nell'elezione del re dei Romani e futuro imperatore. E, insieme ai principi spirituali, sono considerati e sono i veri e legittimi principi elettori del santo impero. Per evitare che in futuro, tra i figli di questi stessi principi elettori secolari, sorgano motivi di scandalo e di dissenso riguardo al diritto, al voto e al potere di cui sopra, e che il benessere comune sia messo a repentaglio da pericolosi ritardi, noi, volendo con l'aiuto di Dio evitare sani pericoli futuri, stabiliamo con autorità imperiale e decreto, in base alla presente legge sempre valida, che quando questi stessi principi elettori secolari, o uno di loro, moriranno, il diritto, il voto e il potere di eleggere passeranno, liberamente e senza la contraddizione di nessuno, al figlio primogenito, legittimo e laico; ma, se non vivente, al figlio di questo stesso primogenito, se laico. Se, tuttavia, tale primogenito sarà partito da questo mondo senza lasciare eredi laici legittimi maschi, in virtù del presente editto imperiale, il diritto, il voto e il suddetto potere di elezione spetteranno al fratello laico più anziano discendente per linea paterna vera e propria, e quindi al suo figlio laico primogenito. E tale successione dei primogeniti e degli eredi di questi stessi principi al diritto, al voto e al potere sarà osservata in tutti i tempi futuri; con la regola e la condizione, tuttavia, che se un principe elettore, o il suo primogenito o il suo figlio laico più anziano, dovesse morire lasciando eredi laici maschi, legittimi e minorenni, allora il più anziano dei fratelli di quell'elettore, o del suo primogenito, sarà il loro tutore e amministratore fino a quando il più anziano di loro non avrà raggiunto l'età legittima. Questa età vogliamo che sia considerata, e decretiamo che sia considerata, di diciotto anni pieni nel caso di principi elettori; e, quando essi l'avranno raggiunta, il tutore sarà subito obbligato a rinunciare completamente a loro, insieme alla sua carica, al diritto, al voto e al potere, e a tutto ciò che essi comportano. Ma se uno di questi principati dovesse tornare al Sacro Impero, l'imperatore o il re dei Romani di allora dovrà e potrà disporne come di un possesso legittimamente devoluto a se stesso e all'Impero. Sempre tenendo conto dei privilegi, dei diritti e delle consuetudini del nostro regno di Boemia per quanto riguarda l'elezione, attraverso i suoi sudditi, di un re in caso di vacanza. Essi infatti hanno il diritto di eleggere il re di Boemia; tale elezione deve avvenire secondo il contenuto di quei privilegi ottenuti dagli illustri imperatori o re romani e secondo le consuetudini da tempo osservate; ai quali privilegi non vogliamo fare violenza con un simile editto imperiale. Al contrario, decretiamo che, ora e in ogni tempo futuro, essi avranno un potere e una validità indubbi, sia per quanto riguarda l'importazione sia per quanto riguarda la forma.


8. Riguardo all'immunità del re di Boemia e dei suoi sudditi.

In quanto, attraverso i nostri predecessori, i divini imperatori e re dei Romani, è stato in passato graziosamente concesso e permesso ai nostri progenitori e predecessori, gli illustri re di Boemia, anche al regno di Boemia e alla corona di questo stesso regno; ed è stato introdotto, senza ostacoli di contraddizione o interruzione, in quel regno in un tempo a cui la memoria non arriva, per una lodevole consuetudine conservata incrollabile dal tempo, e richiesta dal carattere di coloro che ne godono; che nessun principe, barone, nobile, cavaliere, seguace, borghese, cittadino - in una parola nessuna persona appartenente a quel regno e alle sue dipendenze, ovunque si trovino, qualunque sia il suo rango, la sua dignità, la sua preminenza o la sua condizione - possa, o in tutti i tempi futuri, essere citato, o trascinato o convocato, su istanza di un qualsiasi querelante, davanti a un tribunale al di fuori di quel regno stesso che non sia quello del re di Boemia e dei giudici della sua corte reale: per questo motivo, con certezza, dall'autorità imperiale e dalla pienezza del potere imperiale, rinnoviamo e confermiamo anche tale privilegio, consuetudine e favore; e con questo nostro editto imperiale, valido per sempre, decretiamo che se, in contrasto con il suddetto privilegio, consuetudine o favore, qualcuno dei suddetti - e cioè qualsiasi principe, barone, nobile, cavaliere, seguace, cittadino, borghese o rustico, o qualsiasi altra persona di cui sopra, sia mai citato in una causa civile, penale o mista, o in merito a qualsiasi questione, davanti al tribunale di qualcuno al di fuori del suddetto regno di Boemia, non sarà affatto tenuto a comparire quando sarà convocato o a rispondere davanti al tribunale. Ma se dovesse accadere che, contro una o più persone che non compaiono, da parte di un qualsiasi giudice al di fuori di questo regno di Boemia, indipendentemente dalla sua autorità, venga avviato un procedimento giudiziario, si svolga un processo, o vengano emesse e promulgate una o più sentenze intermedie o definitive: In virtù della suddetta autorità, e anche per l'ampiezza del suddetto potere imperiale, dichiariamo del tutto vani e annulliamo tali citazioni, comandi, procedimenti e sentenze, nonché la loro esecuzione e tutto ciò che in qualsiasi modo possa essere tentato o fatto in conseguenza di essi o di uno qualsiasi di essi. E aggiungiamo espressamente e, con la stessa autorità e dalla pienezza del suddetto potere, decretiamo con un editto imperiale sempre valido che, come è stato continuamente osservato da tempo immemorabile nel suddetto regno di Boemia, così, d'ora in poi, nessun principe, barone, nobile, cavaliere, seguace, cittadino, borghese o rustico - in breve nessuna persona o abitante del suddetto regno di Boemia, qualunque sia la sua posizione, preminenza, dignità o condizione, potrà appellarsi a qualsiasi altro tribunale contro qualsiasi procedimento, sentenza provvisoria o definitiva, o ordinanza del re di Boemia o dei suoi giudici, intentata o promulgata, o che d'ora in poi sarà intentata o promulgata contro di lui, presso la corte reale o davanti ai tribunali del re, del regno o dei suddetti giudici. Né potrà appellarsi contro l'esecuzione delle stesse Provocazioni o appelli di questo tipo, inoltre, se dovessero essere presentati, in contrasto con il presente editto, saranno di per sé invalidi; e coloro che si appellano sapranno che, con l'atto stesso, sono incorsi nella pena della perdita della causa.


9. Riguardo alle miniere d'oro, d'argento e di altre specie.

Con il presente decreto, che sarà sempre valido, dichiariamo con certezza che i nostri successori, i re di Boemia e tutti i futuri principi elettori, ecclesiastici e secolari, potranno giustamente detenere e possedere legittimamente - con tutti i loro diritti, senza eccezioni, in base a come tali cose possono essere o sono state abitualmente possedute - tutte le miniere d'oro e d'argento e le miniere di stagno, rame, piombo, ferro e ogni altro tipo di metallo, e anche di sale: il re, quelli che si sono trovati e che si troveranno in futuro nel suddetto regno e nelle sue terre e dipendenze, e i suddetti elettori nei loro principati, terre, domini e dipendenze. E potranno anche avere le tasse sugli ebrei e godere dei pedaggi che sono stati decretati e assegnati loro in passato, e tutto ciò che i nostri progenitori, i re di Boemia di benedetta memoria, e questi stessi principi elettori e i loro progenitori e predecessori avranno legalmente posseduto fino ad oggi; come è noto che è stato osservato da antiche consuetudini, lodevoli e approvate, e sancite dal decorso di un lunghissimo periodo di tempo.


10. Per quanto riguarda il denaro.

(1) Decretiamo, inoltre, che il nostro successore, il re per il momento di Boemia, avrà lo stesso diritto che i nostri predecessori, i re di Boemia di benedetta memoria, sono noti per aver avuto e nel cui possesso pacifico e continuo sono rimasti: il diritto, cioè, in ogni luogo e parte del loro regno, e delle terre a loro soggette, e di tutte le loro dipendenze - ovunque il re stesso abbia decretato e voglia - di coniare moneta d'oro e d'argento e di farla circolare in ogni modo e maniera osservata fino ad oggi in questo stesso regno di Boemia in tali materie. (2) E, con questo nostro decreto imperiale sempre valido e favorevole, stabiliamo che tutti i futuri re di Boemia avranno per sempre il diritto di acquistare o comprare, o di ricevere in dono o donazione a qualsiasi titolo, o in obbligazione, da qualsiasi principe, magnate, conte o altra persona, qualsiasi terra, castello, possedimento, proprietà o bene, alle condizioni usuali per quanto riguarda tali terre, castelli, possedimenti, proprietà o beni: che, cioè, gli alods saranno acquistati o ricevuti come alods, i freeholds come freeholds; che le tenute in dipendenza feudale saranno acquistate come feudi e saranno tenute come tali una volta acquistate. In tal modo, però, i re di Boemia saranno tenuti a considerare e a rendere al Sacro Impero i suoi diritti incontaminati e consueti su queste cose (terre, ecc.) che avranno acquistato o ricevuto e che avranno ritenuto opportuno aggiungere al regno di Boemia. (3) Vogliamo, inoltre, che il presente decreto e il favore, in virtù di questa nostra attuale legge imperiale, siano pienamente estesi a tutti i principi elettori, sia ecclesiastici che secolari, e ai loro successori ed eredi legittimi, in tutte le forme e condizioni precedenti.


11. Riguardo all'immunità dei principi elettori.


Decretiamo inoltre che nessun conte, barone, nobile, vassallo feudale, cavaliere di castello, seguace, cittadino, borghese - anzi, nessun suddito maschio o femmina delle chiese di Colonia, Magonza e Treves, qualunque sia il suo rango, la sua condizione o la sua dignità - ha potuto nei tempi passati, o potrà essere convocato in futuro, su istanza di un qualsiasi attore, al di fuori del territorio, dei confini e dei limiti di queste stesse chiese e delle loro dipendenze, davanti a un tribunale o a una corte di qualsiasi altra persona che non siano gli arcivescovi di Magonza, Treves e Colonia e i loro giudici. E questo risulta essere stato osservato in passato. Ma se, contrariamente al nostro presente editto, uno o più dei suddetti sudditi delle chiese di Treves, di Magonza o di Colonia dovessero essere convocati, su istanza di chiunque, presso il tribunale di una qualsiasi persona al di fuori del territorio, dei limiti o dei confini di dette chiese o di una di esse, per qualsiasi causa penale, civile o mista, o per qualsiasi altra questione, non saranno minimamente obbligati a comparire o a rispondere. E decretiamo che le citazioni, i procedimenti, le sentenze provvisorie e definitive già inviate o pronunciate, o che in futuro saranno inviate o pronunciate contro coloro che non compaiono, da parte di tali giudici estranei, e inoltre le loro ordinanze, e l'esecuzione delle misure di cui sopra, e tutte le cose che potrebbero accadere, essere tentate o fatte per mezzo di loro o di uno di loro, saranno nulle di loro spontanea volontà. E aggiungiamo espressamente che nessun conte, barone, nobile, vassallo feudale, cavaliere di castello, cittadino, contadino - nessuna persona, insomma, soggetta a tali chiese o che abiti nelle terre delle stesse, qualunque sia la sua posizione, la sua dignità o la sua condizione - potrà appellarsi a qualsiasi altro tribunale contro i procedimenti, le sentenze provvisorie e definitive, o le ordinanze - o l'entrata in vigore delle stesse - di tali arcivescovi e delle loro chiese, o dei loro funzionari temporali, quando tali procedimenti, sentenze o ordinanze siano state o saranno in futuro tenute, emanate o fatte contro di lui nel tribunale degli arcivescovi o dei suddetti funzionari. A condizione che non sia stata negata la giustizia a coloro che hanno intentato causa presso i tribunali dei suddetti arcivescovi e dei loro funzionari. Ma i ricorsi contro questo statuto non potranno essere accolti; li dichiariamo nulli. In caso di difetto di giustizia, tuttavia, è consentito a tutti i suddetti appellarsi, ma solo alla corte e al tribunale imperiale o direttamente alla presenza del giudice che presiede in quel momento la corte imperiale. E, anche in caso di tale difetto, coloro ai quali è stata negata la giustizia non possono appellarsi a nessun altro giudice, sia esso ordinario o delegato. E tutto ciò che sarà stato fatto in contrasto con quanto sopra sarà nullo di per sé. E, in virtù di questa nostra attuale legge imperiale, vogliamo che questo statuto sia pienamente esteso, in tutte le forme e condizioni precedenti, a quegli uomini illustri che sono il conte palatino del Reno, il duca di Sassonia, il margravio di Brandeburgo, i principi elettori laici o secolari, i loro eredi, successori e sudditi.


12. Riguardo alla riunione dei principi.

In considerazione delle molteplici preoccupazioni di stato con le quali la nostra mente è costantemente distratta, la nostra sublimità, dopo aver riflettuto a lungo, ha ritenuto necessario che i principi elettori del Sacro Impero si riuniscano più frequentemente di quanto sia loro consuetudine, per trattare della sicurezza dello stesso impero e del mondo. Infatti essi, solide basi e colonne inamovibili dell'impero, pur risiedendo a grande distanza l'uno dall'altro, sono in grado di riferire e conferire sugli imminenti difetti dei distretti a loro noti e non ignorano come, con i saggi consigli della loro provvidenza, possano contribuire alla necessaria riforma degli stessi. Per questo motivo, nel solenne tribunale tenuto da Nostra Altezza a Norimberga insieme ai venerabili principi elettori ecclesiastici e agli illustri principi secolari, e a molti altri principi e nobili, noi, dopo aver deliberato con quegli stessi principi elettori e aver seguito i loro consigli, abbiamo ritenuto opportuno ordinare, insieme ai suddetti principi elettori, sia ecclesiastici che secolari, per il bene e la sicurezza comune: che questi stessi principi elettori, una volta all'anno, quando saranno trascorse quattro settimane, contando ininterrottamente dalla festa di Pasqua della resurrezione del Signore, si riuniranno personalmente in qualche città del sacro impero; e che quando si avvicinerà questa data, cioè nell'anno in corso, un colloquio, o tribunale, o assemblea di questo tipo sarà tenuto da noi e da questi stessi principi nella nostra città imperiale di Metz. E poi, e d'ora in poi, in qualsiasi giorno di un'assemblea di questo tipo, il luogo in cui si riuniranno l'anno successivo sarà stabilito da noi con il loro consiglio. E questa nostra ordinanza dovrà durare fino a quando sarà di nostro e loro gradimento. E, finché durerà, li prendiamo sotto la nostra guida imperiale quando andranno, resteranno o si riuniranno in un altro luogo.
Inoltre, per evitare che le operazioni per la sicurezza e la pace comune siano ritardate, come talvolta accade, dal ritardo e dall'intralcio dei divertimenti o dall'eccessiva frequenza delle feste, abbiamo pensato che sia meglio ordinare, per volontà concorde, che d'ora in poi, finché durerà la suddetta corte o congregazione, non sia permesso a nessuno di dare intrattenimenti generali per tutti i principi. Quelli speciali, tuttavia, che non ostacolino il disbrigo degli affari, possono essere consentiti con moderazione.


13. Riguardo alla revoca dei privilegi.

Inoltre stabiliamo, e con questo editto imperiale perpetuo decretiamo, che nessun privilegio o carta riguardante diritti, favori, immunità, consuetudini o altre cose, concessi, di nostra iniziativa o in altro modo, sotto qualsiasi forma di parole, da noi o dai nostri predecessori di benedetta memoria, i divini imperatori o re dei Romani, o che siano concessi in futuro da noi o dai nostri successori, gli imperatori e i re romani, a persone di qualsiasi rango, preminenza o dignità, o alle corporazioni di città, paesi o altri luoghi: possa derogare in qualsiasi modo alle libertà, alle giurisdizioni, ai diritti, agli onori o ai domini dei principi elettori ecclesiastici e secolari; anche se in tali privilegi e carte di persone, qualunque sia la loro preminenza, dignità o posizione, come si è detto, o di corporazioni di questo tipo, è stato o sarà in futuro espressamente avvertito che non saranno revocabili, a meno che, riguardo a questi stessi punti e all'intero tenore in essi incluso, non sia fatta una speciale menzione parola per parola e nel dovuto ordine in tale revoca. Per tali privilegi e carte, se e nella misura in cui si ritiene che deroghino in qualsiasi modo alle libertà, alle giurisdizioni, ai diritti, agli onori o ai domini dei suddetti principi elettori, o di uno di essi, in tal caso li revochiamo con cognizione di causa e li annulliamo, e decretiamo, dalla pienezza del nostro potere imperiale, che siano considerati e ritenuti revocati.


14. Riguardo a coloro ai quali, in quanto indegni, vengono tolti i possedimenti feudali.

In moltissimi luoghi i vassalli e i feudatari dei signori rinunciano o dimettono inopportunamente, verbalmente e fraudolentemente, i feudi o i benefici che detengono dagli stessi signori. E, dopo aver fatto tale rinuncia, sfidano maliziosamente quegli stessi signori e si dichiarano inimici contro di loro, infliggendo poi loro gravi danni. E, con il pretesto di una guerra o di un'ostilità, invadono e occupano di nuovo i benefici e i feudi a cui avevano rinunciato, e se ne impossessano. Perciò stabiliamo, con il presente decreto sempre valido, che tale rinuncia o dimissione si consideri come non avvenuta, a meno che non sia stata da loro liberamente ed effettivamente]v Eludere in modo tale che il possesso di tali benefici e feudi sia stato personalmente ed effettivamente ceduto a quegli stessi signori in modo così completo che, in nessun momento futuro, essi, né per mezzo di se stessi né per mezzo di altri, inviando sfide, disturbino quegli stessi signori per quanto riguarda i beni, i feudi o i benefici rinunciati; né prestino consigli, aiuti o favori a questo scopo. Chi agisce diversamente e invade in qualsiasi modo i suoi signori su benefici e feudi, dimessi o non dimessi, o li disturba, o reca loro danno, o fornisce consigli, aiuti o favori a chi fa questo: perderà, in virtù dell'atto stesso, tali feudi e benefici, sarà disonorato e subirà l'interdizione dell'impero; e nessun avvicinamento o ritorno a tali feudi o benefici gli sarà possibile in futuro, né gli potranno essere nuovamente concessi a qualsiasi condizione; e una concessione di essi, o un'investitura che avvenga in contrasto con ciò, non avrà alcun valore. Infine, in virtù del presente editto, decretiamo che colui o coloro che, senza aver presentato le dimissioni descritte, agendo in modo fraudolento contro i propri signori, li invaderanno consapevolmente - sia che la sfida sia stata inviata in precedenza, sia che sia stata omessa - incorreranno, con l'atto stesso, in tutte le pene summenzionate.


15. Riguardo alle cospirazioni.

Inoltre riproviamo, condanniamo e con certezza dichiariamo nulle tutte le cospirazioni, detestabili e disapprovate dalle leggi sacre e dai conventicoli, o le assemblee illegali nelle città e fuori di esse, e le associazioni tra città e città, tra persona e persona o tra una persona e una città, con il pretesto della clientela, o dell'accoglienza tra i cittadini, o per qualsiasi altro motivo; inoltre le confederazioni e i patti - e l'uso che è stato introdotto riguardo a queste cose, che noi consideriamo più che altro corruzione - che le città o le persone, di qualsiasi dignità, condizione o posizione, hanno fatto finora e presumono di fare in futuro, sia tra di loro che con altri, senza l'autorità dei signori di cui sono sudditi o servitori, essendo questi stessi signori espressamente esclusi.  Ed è chiaro che queste sono proibite e dichiarate nulle dalle sacre leggi dei divini imperatori nostri predecessori. Fanno eccezione solo le confederazioni e le leghe che principi, città e altri sono noti per aver formato tra loro per il bene della pace generale delle province e delle terre. Riservando queste ultime a una nostra dichiarazione speciale, ordiniamo che rimangano in pieno vigore fino a quando non decideremo di ordinare diversamente al riguardo. E decretiamo che, d'ora in poi, ogni singola persona che, contrariamente al tenore del presente decreto e dell'antica legge emanata in merito, presumerà di entrare in tali confederazioni, leghe, cospirazioni e patti, incorrerà, oltre alla pena di tale legge, in un marchio di infamia e in una sanzione di dieci libbre d'oro. Ma una città o una comunità che infranga in modo analogo questa nostra legge incorrerà, secondo il nostro decreto, nella pena di cento libbre d'oro, oltre alla perdita e alla privazione delle libertà e dei privilegi imperiali; una metà di questa pena pecuniaria andrà al fisco imperiale, l'altra al signore territoriale a danno del quale sono state formate le cospirazioni, ecc.


16. Riguardo ai falegnami.

Inoltre, poiché alcuni cittadini e sudditi di principi, baroni e altri uomini - come ci dimostrano le frequenti denunce - cercando di liberarsi dal giogo della loro originaria sudditanza, anzi disprezzandolo con audacia, riescono, e spesso in passato sono riusciti, ad essere accolti tra i cittadini di altre città; e, tuttavia, risiedendo di fatto nelle terre, nelle città, nei paesi e nei possedimenti degli antichi signori che essi presumevano o avevano presunto di disertare, riescono a godere delle libertà delle città in cui si trasferiscono e ad essere protetti da esse, essendo ciò che in Germania si suole chiamare nel linguaggio comune "pfalburghesi": pertanto, poiché la frode e l'inganno non dovrebbero mettere al riparo nessuno, dalla pienezza del potere imperiale e con il sano consiglio di tutti i principi elettori ecclesiastici e secolari, stabiliamo con certezza e, con la presente legge sempre valida, che in tutti i territori, in tutti i territori, luoghi e province del Sacro Impero, da oggi in poi, i suddetti cittadini e sudditi che si sottraggono a coloro ai quali appartengono, non potranno in alcun modo possedere i diritti e le libertà di quelle città tra i cui cittadini intendono, o hanno inteso, con tali mezzi fraudolenti, essere accolti; a meno che non si rechino fisicamente ed effettivamente in tali città e vi prendano il loro domicilio, facendovi un soggiorno continuato, vero e non fittizio, e si sottopongano ai loro doverosi oneri e funzioni municipali in esse. Ma se qualcuno, contrariamente al tenore della nostra legge attuale, è stato o sarà in futuro accolto come cittadino, la sua accoglienza sarà priva di qualsiasi validità e le persone accolte, di qualsiasi condizione o posizione siano, non potranno in alcun caso o questione esercitare o godere dei diritti e delle libertà delle città in cui pensano di essere accolti. Nonostante il contrario, tutti i diritti, i privilegi e le consuetudini, in qualsiasi momento ottenuti, saranno revocati con la presente, nella misura in cui sono contrari alla nostra legge attuale, decretando dalla pienezza del suddetto potere imperiale che essi sono privi di ogni forza e validità. Infatti, in tutti i suddetti aspetti, saranno sempre considerati i diritti dei principi, dei signori e degli altri uomini che hanno avuto o avranno in futuro la possibilità di essere disertati in questo modo, sulle persone e sui beni dei sudditi che li disertano nel modo sopra menzionato. Decretiamo, inoltre, che coloro che, contro l'ordinamento della nostra legge attuale, presumeranno, o avranno presumuto in passato, di ricevere i suddetti cittadini e sudditi di altri uomini, se non li licenzieranno del tutto entro un mese dalla presente intimazione, per tale trasgressione, tutte le volte che la commetteranno in futuro, incorreranno in una multa di cento marchi d'oro puro, di cui la metà sarà destinata senza dubbio al nostro fisco imperiale e il resto ai signori di coloro che sono stati accolti come cittadini.


17. Riguardo alle sfide e disfide.

Dichiariamo che coloro che in futuro, fingendo di avere un giusto motivo di sfida contro qualcuno, lo sfidino inopportunamente in luoghi in cui non ha il proprio domicilio o che non abita in comune, non potranno con onore infliggere alcun danno con il fuoco, la foliazione o la rapina agli sfidati.  E poiché la frode e l'inganno non devono mettere al riparo nessuno, con il presente decreto, che sarà sempre valido, stabiliamo che le sfide di questo tipo, fatte o che saranno fatte in futuro da chiunque, nei confronti di signori o di persone a cui erano precedentemente legati da rapporti di compagnia, di familiarità o di onesta amicizia, non saranno valide; né è lecito, con il pretesto di una sfida di qualsiasi tipo, invadere qualcuno attraverso il fuoco, la spoliazione o la rapina, a meno che la sfida, tre giorni naturali prima, non sia stata comunicata personalmente all'uomo sfidato, o pubblicamente nel luogo in cui è abituato a risiedere, dove si possa dare piena credibilità, attraverso testimoni adatti, a tale comunicazione. Chiunque abbia la presunzione di sfidare qualcuno e di invaderlo nel modo suddetto, incorrerà, con l'atto stesso, nella stessa infamia che avrebbe se non fosse stata fatta alcuna sfida; e decretiamo che sia punito come traditore dai suoi giudici, chiunque essi siano, con le pene previste dalla legge.

Proibiamo anche tutte le guerre e le faide ingiuste, tutti gli incendi ingiusti, le spoliazioni e le rapine, i pedaggi e le scorte illegali e inusuali, e le esazioni abitualmente estorte per tali scorte, sotto le pene con cui le sacre leggi prescrivono che i reati precedenti, o uno qualsiasi di essi, debbano essere puniti.


18. Lettera di intimazione.

A te, illustre e magnifico principe, signore margravio di Brandeburgo, arcicamerlengo del Sacro Impero, nostro co-elettore e carissimo amico, con la presente ti comunichiamo l'elezione del re dei Romani, che sta per avvenire per cause razionali. E, come dovere del nostro ufficio, ti abbiamo debitamente convocato per la suddetta elezione, intimandoti entro tre mesi, contando ininterrottamente, a partire da tale giorno, tu stesso, o in persona di uno o più inviati o procuratori che abbiano sufficienti mandati, di stare attento e di venire al luogo legittimo, secondo la forma delle sacre leggi emanate al riguardo, pronti a deliberare, negoziare e giungere a un accordo con gli altri principi, vostri e nostri co-elettori, riguardo all'elezione di un futuro re dei Romani e, per il favore di Dio, futuro imperatore. E siate pronti a rimanere lì fino alla piena consumazione di tale elezione, e per il resto ad agire e procedere come si trova espresso nelle sacre leggi accuratamente promulgate a questo proposito. Altrimenti, nonostante l'assenza vostra o dei vostri inviati, noi, insieme agli altri co-principi e co-elettori, prenderemo le misure definitive nelle suddette questioni, secondo quanto sancito dall'autorità di quelle stesse leggi.


19. Formula di rappresentanza inviata da quel principe elettore che deciderà di inviare i suoi inviati per effettuare un'elezione.

Noi ... tale per grazia di Dio, ecc. del santo impero, ecc, rendiamo noto a tutti gli uomini, con il tenore delle presenti, che poiché, per cause razionali, sta per essere fatta l'elezione di un re dei Romani, noi, desiderosi di vegliare con la dovuta attenzione sull'onore e sulla condizione del santo impero, affinché non sia pericolosamente sottoposto a un così grave danno, in quanto abbiamo la grande fiducia, per così dire di un'indubbia presunzione, nella fede e nello zelo circospetto dei nostri amati ... e ... nostri fedeli sudditi, li nominiamo, li costituiamo e li ordiniamo, ciascuno per intero, in ogni diritto, modo e forma in cui possiamo o possiamo farlo nel modo più efficace ed effettivo, nostri veri e legittimi procuratori e inviati speciali, in modo tale che la condizione di colui che agisce in quel momento non sia migliore di quella dell'altro, ma che ciò che è stato iniziato dall'uno sia finito e legittimamente terminato dall'altro. E li autorizziamo a trattare ovunque vogliano con gli altri, i nostri co-principi e co-elettori, sia ecclesiastici che secolari, e a concordare, decidere e stabilire una persona adatta e idonea a essere eletta re dei Romani, e a essere presenti, trattare e deliberare nelle operazioni da compiere riguardo all'elezione di tale persona, per noi e in nostro luogo e nome; e anche, in nostro luogo e nome, di nominare tale persona e di acconsentirvi, e anche di elevarla a re dei Romani, di eleggerla al sacro impero, e di prestare, sulla nostra anima, riguardo a quanto sopra o a uno qualsiasi dei precedenti, qualsiasi giuramento sia necessario, richiesto o consueto. E li autorizziamo a sostituire del tutto, così come a richiamare, uno o più altri procuratori che compiano ogni e qualsiasi atto, incluso e relativo alle questioni di cui sopra, che possa essere necessario, utile o anche in qualche modo conveniente, anche per la consumazione di tali trattative, nomina, deliberazione e imminente elezione. Anche se le suddette questioni, o una di esse, dovessero richiedere un mandato speciale; anche se dovessero risultare maggiori o più particolari di quelle sopra menzionate; purché avremmo potuto compierle noi stessi se fossimo stati presenti personalmente allo svolgimento di tali trattative, deliberazioni, nomine e elezioni. E consideriamo, e desideriamo considerare, e promettiamo fermamente che considereremo sempre soddisfacente e valida qualsiasi cosa fatta, transata o compiuta, o in qualsiasi modo ordinata, nelle suddette questioni o in una di esse, dai nostri suddetti procuratori o inviati, o dai loro sostituti, o da coloro che questi ultimi sostituiranno.


20. Riguardo alla laicità dei principati elettorali e dei diritti ad essi connessi.

Poiché tutti i principati, in virtù dei quali si sa che i principi elettori secolari detengono il diritto e il voto per l'elezione del re dei Romani e futuro imperatore, sono così uniti e inseparabili da tale diritto di elezione, nonché dagli uffici, dalle dignità e dagli altri diritti connessi con ciascuno di tali principati e da essi dipendenti, che il diritto, il voto, la carica e la dignità e tutti gli altri privilegi appartenenti a ciascuno di questi stessi principati non possono spettare ad altri che a colui che è riconosciuto come possessore di quel principato stesso, con tutte le sue terre, vassallaggi, feudi e domini, e tutte le sue pertinenze: decretiamo, con il presente editto imperiale sempre valido, che ciascuno dei detti principati, con il diritto, il voto e il dovere di elezione, e con tutte le altre dignità, diritti e pertinenze che li riguardano, deve continuare ed essere, indivisibilmente e per sempre, che il possessore di un qualsiasi principato dovrebbe anche gioire del tranquillo e libero possesso del suo diritto, del suo voto, della sua carica, della sua dignità e di tutte le pertinenze che ne derivano, ed essere considerato principe elettore da tutti. Ed egli stesso, e nessun altro, deve essere sempre chiamato e ammesso dagli altri principi elettori, senza alcuna contraddizione, all'elezione e a tutte le altre operazioni da compiere per l'onore e il benessere del Sacro Impero. Né, poiché sono e devono essere inseparabili, uno di questi diritti, ecc. può essere diviso dall'altro, o essere separato in qualsiasi momento, o essere richiesto separatamente, in tribunale o fuori, o pignorato, o, anche per decisione dei tribunali, essere separato; né potrà essere ascoltato nessuno che rivendichi l'uno senza l'altro. Ma se, per errore o per altro motivo, qualcuno avrà ottenuto un'udienza, o un procedimento, un giudizio, una sentenza o qualsiasi altra cosa del genere avrà avuto luogo, o sembrerà in qualche modo essere stato tentato, in contrasto con il presente decreto, tutto ciò e tutte le conseguenze di tali procedimenti, ecc. e di ciascuno di essi, saranno nulli di per sé.


21. Per quanto riguarda l'ordine di marcia degli arcivescovi.

Poiché abbiamo ritenuto opportuno, all'inizio dei nostri decreti, stabilire in modo esauriente l'ordine di seduta dei principi elettori ecclesiastici in consiglio, a tavola e altrove, quando in futuro si terrà un tribunale imperiale o i principi elettori si riuniranno con l'imperatore o il re dei Romani, e poiché abbiamo sentito che in passato sono sorte spesso discussioni sull'ordine di seduta, riteniamo opportuno fissare anche l'ordine di marcia e di marcia nei loro confronti. Pertanto, con questo editto imperiale perpetuo, stabiliamo che, tutte le volte che in un'assemblea dell'imperatore o del re dei Romani e dei suddetti principi, l'imperatore o il re dei Romani camminerà e accadrà che le insegne siano portate davanti a lui, l'arcivescovo di Treves camminerà in linea diametrale diretta davanti all'imperatore o all'imperatore, e nello spazio intermedio tra loro cammineranno solo coloro che portano le insegne imperiali o reali. Quando, invece, l'imperatore o il re avanzerà senza le stesse insegne, allora quello stesso arcivescovo precederà l'imperatore o il re nel modo suddetto, ma in modo che nessuno si trovi in mezzo a loro; gli altri due arcivescovi elettori manterranno sempre i loro posti - come per quanto riguarda la seduta sopra spiegata, così per quanto riguarda il cammino - secondo il privilegio delle loro province.


22. Riguardo all'ordine di procedere dei principi elettori e a chi portare le insegne.

Al fine di stabilire l'ordine di procedere, di cui abbiamo parlato sopra, dei principi elettori in presenza dell'imperatore o del re dei Romani quando questi è a passeggio, stabiliamo che, tutte le volte che, durante lo svolgimento di una corte imperiale, i principi elettori avranno occasione di camminare in processione con l'imperatore o il re dei Romani nell'adempimento di funzioni o solennità, le insegne imperiali o reali dovranno essere portate: il duca di Sassonia, che porta la spada imperiale o reale, precede direttamente l'imperatore o il re e si pone al centro tra lui e l'arcivescovo di Treves. Ma il conte palatino, che porta il globo imperiale, marcerà nella stessa linea sul lato destro, e il margravio di Brandeburgo, che porta lo scettro, sul lato sinistro dello stesso duca di Sassonia.  Ma il re di Boemia seguirà direttamente l'imperatore o il re stesso, senza che nessuno intervenga.


23. Riguardo alle benedizioni degli arcivescovi alla presenza dell'imperatore.

Inoltre, tutte le volte che la cerimonia della messa sarà celebrata alla presenza dell'imperatore o del re dei Romani e che saranno presenti gli arcivescovi di Magonza, Treves e Colonia, o due di loro, - nella confessione che di solito si dice prima della messa, e nella presentazione del Vangelo da baciare, e nella benedizione da pronunciare dopo l'"A gnus Dei", anche nelle benedizioni da pronunciare dopo la fine della messa, e anche in quelle dette prima dei pasti, e nel ringraziamento da offrire dopo che il cibo è stato consumato, si osservi tra loro il seguente ordine, come abbiamo ritenuto opportuno ordinare per loro stesso consiglio: cioè, il primo giorno tutti e ciascuno di questi compiti saranno svolti dal primo degli arcivescovi, il secondo dal secondo, il terzo dal terzo. Ma vogliamo che primo, secondo e terzo siano intesi in questo caso, a seconda che ciascuno di loro sia stato consacrato in una data precedente o successiva. E, affinché si facciano reciprocamente onore e diano esempio agli altri di rispetto reciproco, colui al quale tocca secondo quanto detto sopra, senza tener conto di questo fatto e con intento caritatevole, inviterà l'altro a officiare; e, non prima di aver fatto questo, procederà a svolgere le funzioni di cui sopra o una qualsiasi di esse.


24.

(1) Se qualcuno, insieme a principi, cavalieri o privati, o anche qualsiasi persona della plebe, intraprenderà una congiura indecorosa, o presterà giuramento di tale congiura, per la morte dei venerabili e illustri principi elettori del nostro e del Sacro Romano Impero, sia ecclesiastici che secolari, o di uno qualsiasi di loro - poiché anch'essi fanno parte del nostro corpo; e le leggi hanno stabilito che l'intenzione di un crimine deve essere punita con la stessa severità dell'esecuzione dello stesso: -Egli, infatti, morirà di spada come traditore e tutti i suoi beni saranno consegnati al nostro fisco. (2) Ma i suoi figli, ai quali, per speciale clemenza imperiale, concediamo la vita - poiché quelli dovrebbero morire con la stessa pena del padre, la cui parte è l'esempio di un crimine paterno, cioè ereditario - non dovranno partecipare ad alcuna eredità o successione da parte della madre o dei nonni, o anche dei parenti; non riceveranno nulla dai testamenti altrui e saranno sempre poveri e bisognosi; l'infamia del padre li seguirà sempre, e non otterranno mai alcun onore né potranno prestare alcun giuramento; in una parola, saranno tali che per loro, che gemono in una miseria perpetua, la morte sarà una consolazione e la vita un castigo. (3) Infine, ordiniamo che siano resi noti e non siano perdonati coloro che cercheranno di intervenire presso di noi a favore di queste persone. (4) Ma alle figlie, quante sono, di questi congiurati, vogliamo che vada solo la "falcidia", cioè la quarta parte dei beni della madre se muore intestata; in modo che possano avere piuttosto gli alimenti moderati di una figlia, che l'intero emolumento o il nome di un erede; perché la pena dovrebbe essere più mite nel caso di coloro che, come confidiamo, a causa dell'infermità del loro sesso, sono meno propensi a fare tentativi audaci. (I) Gli atti di donazione, inoltre, stipulati dalle suddette persone a favore di figli o figlie, dopo l'approvazione di questa legge, non saranno validi. (6) Le donazioni e le donazioni di qualsiasi bene; così come, in una parola, tutti i trasferimenti che si dimostreranno essere stati fatti, con frode o per diritto, dopo il momento in cui le suddette persone hanno concepito l'idea di entrare in una congiura o in un'unione, non avranno alcun valore, secondo il nostro decreto. (7) Ma le mogli dei suddetti congiurati, avendo recuperato la loro dote - se saranno in grado di riservare ai loro figli ciò che avranno ricevuto dai loro mariti sotto il nome di dono - sappiano che, dal momento in cui cesserà il loro usufrutto, dovranno lasciare al nostro fisco tutto ciò che, secondo la legge consueta, era dovuto ai loro figli. (8) E la quarta parte di tali beni dovrà essere messa da parte solo per le figlie, non anche per i figli. (9) Ciò che abbiamo disposto per i suddetti cospiratori e per i loro figli, lo decretiamo con la stessa severità anche per i loro seguaci, complici e aiutanti, e per i figli di questi. (10) Ma se qualcuno di questi, all'inizio della formazione di una congiura, infiammato dallo zelo per il giusto tipo di gloria, tradirà egli stesso la congiura, sarà da noi arricchito di ricompense e di onori; inoltre, colui che sarà stato attivo nella congiura, se, anche tardivamente, rivelerà piani segreti che erano, in effetti, fino ad allora sconosciuti, sarà comunque ritenuto degno di assoluzione e di perdono. (11) Decretiamo, inoltre, che se si dice che è stato commesso qualcosa contro i suddetti principi elettori, ecclesiastici o secolari, anche dopo la morte dell'accusato tale accusa può essere intentata". (12) Allo stesso modo, in una simile accusa, che riguarda l'alto tradimento contro i suoi principi elettori, gli schiavi saranno torturati anche in un caso che riguarda la vita del loro padrone. (13) Inoltre, con il presente editto imperiale, vogliamo e decretiamo che anche dopo la morte dei colpevoli questa accusa possa essere intentata e, se qualcuno già condannato muore, la sua memoria sarà condannata e i suoi beni saranno sottratti ai suoi eredi. (14) Infatti, dal momento in cui uno ha concepito una trama così malvagia, da quel momento in poi è stato in qualche modo punito mentalmente; ma dal momento in cui uno ha fatto ricadere su di sé tale accusa, stabiliamo che non può né alienare né affrancare, né alcun debitore può legittimamente pagarlo. (15) In questo caso, infatti, stabiliamo che gli schiavi possano essere torturati in una questione che riguarda la vita del loro padrone, cioè nel caso di una dannosa cospirazione contro i principi elettori, ecclesiastici e secolari, come è stato detto prima. (16) E se qualcuno dovesse morire, a causa dell'incertezza del suo successore, i suoi beni saranno trattenuti, se si dimostrerà che è morto in un caso del genere.


25.

Se è opportuno che gli altri principati siano conservati nella loro interezza, affinché la giustizia sia applicata e i sudditi fedeli gioiscano in pace e tranquillità, tanto più è necessario che i magnifici principati, i domini, gli onori e i diritti dei principi elettori siano conservati intatti - poiché, se il pericolo è maggiore, si deve applicare un rimedio più forte - per evitare che, se le colonne cadono, il sostegno dell'intero edificio venga distrutto. Decretiamo, quindi, e sanciamo, con il presente editto che sarà valido in perpetuo, che da ora fino a tutti i tempi futuri gli illustri e magnifici principati, cioè: il regno di Boemia, la contea palatina del Reno, il ducato di Sassonia e il margraviato di Brandeburgo, le loro terre, i loro territori, gli omaggi o i vassallaggi, e qualsiasi altra cosa ad essi relativa, non potranno essere tagliati, divisi o in qualsiasi condizione smembrati, ma rimarranno per sempre nella loro perfetta interezza. Ad essi succederà il primogenito e solo a lui spetterà la giurisdizione e il dominio, a meno che non sia sano di mente, o idiota, o abbia qualche altro difetto marcato e noto per cui non possa o non debba governare sugli uomini. In tal caso, se non gli è possibile succedere, vogliamo che la successione spetti al secondogenito, se ce n'è uno in quella famiglia, o a un altro fratello maggiore o a un parente laico, il più vicino da parte del padre in linea retta di discendenza. Egli, tuttavia, dovrà sempre mostrarsi clemente e benevolo con gli altri, fratelli e sorelle, secondo il favore mostratogli da Dio e secondo il suo miglior giudizio e l'entità del suo patrimonio, essendo in ogni modo vietata la divisione, la spartizione o lo smembramento del principato e delle sue pertinenze.

26.

Il giorno in cui si terrà un'udienza solenne imperiale o reale, i principi elettori ecclesiastici e secolari si recheranno, verso la prima ora, nel luogo di residenza imperiale o reale, e lì l'imperatore o il re saranno rivestiti di tutte le insegne imperiali; quindi, montati i loro cavalli, si recheranno tutti con l'imperatore o il re nel luogo predisposto per la sessione, e ognuno di loro si recherà nell'ordine e nel modo pienamente definito sopra nella legge relativa all'ordine di marcia di questi stessi principi elettori. L'arcicancelliere, inoltre, nel cui arcivescovado si svolge la sessione, porterà con sé, oltre al bastone d'argento, tutti i sigilli e le insegne imperiali o reali. I principi elettori secolari, invece, secondo quanto spiegato sopra, porteranno lo scettro, il globo e la spada. E subito prima dell'arcivescovo di Treves, marciando al suo posto, si porterà prima la corona di Aix e poi quella di Milano; e questo proprio davanti all'imperatore già splendente degli ornamenti imperiali; e queste corone saranno portate da alcuni principi minori, che saranno scelti per questo dall'imperatore secondo la sua volontà. L'imperatrice, inoltre, o regina dei Romani, rivestita delle sue insegne imperiali, affiancata dai suoi nobili e scortata dalle sue damigelle d'onore, procederà verso il luogo della seduta dopo il re o l'imperatore dei Romani e anche, con un intervallo sufficiente, dopo il re di Boemia, che segue immediatamente l'imperatore.


27. Riguardo alle cariche dei principi elettori nei tribunali solenni degli imperatori o dei re dei Romani.

Decretiamo che ogni volta che l'imperatore o il re dei Romani terrà i suoi tribunali solenni, nei quali i principi elettori dovranno prestare servizio o svolgere le loro funzioni, si osservi il seguente ordine. In primo luogo, dopo che l'imperatore o il re si sarà collocato sul seggio reale o sul trono imperiale, il duca di Sassonia adempirà alla sua funzione in questo modo: davanti all'edificio in cui si tiene la sessione imperiale o reale, sarà posto un mucchio di avena così alto da arrivare al petto o alla circonferenza del cavallo su cui siederà il duca stesso; egli avrà in mano un bastone d'argento e una misura d'argento che, insieme, peseranno 12 marchi d'argento; e, seduto sul suo cavallo, riempirà per prima cosa quella misura di avena e la offrirà al primo schiavo che si presenterà. Fatto questo, fissato il suo bastone nell'avena, si ritirerà; e il suo vicemaresciallo, cioè quello di Pappenheim, avvicinandosi - o, in sua assenza, il maresciallo di corte - distribuirà ulteriormente l'avena. Ma quando l'imperatore o il re si saranno messi a tavola, i principi elettori ecclesiastici, cioè gli arcivescovi, stando davanti alla tavola con gli altri prelati, benediranno la stessa secondo l'ordine sopra prescritto; e, terminata la benedizione, tutti gli stessi arcivescovi se sono presenti, altrimenti due o uno, riceveranno dal cancelliere della corte i sigilli e le insegne imperiali o reali, e colui presso il cui arcivescovado si svolge questa corte avanzando al centro, e gli altri due che lo raggiungono ai lati, porteranno quei sigilli e quelle insegne - toccando tutti con le mani il bastone su cui sono stati sospesi - e li deporranno con riverenza sulla tavola davanti all'imperatore o al re. L'imperatore o il re, tuttavia, li restituirà subito e colui nel cui arcicancellierato ciò avviene, come si è detto, porterà il grande sigillo appeso al collo fino alla fine del pasto e poi fino a quando, uscendo dalla corte imperiale o reale, non tornerà alla sua dimora. Il bastone, inoltre, di cui abbiamo parlato sarà d'argento, di peso pari a dodici marchi di schiavo; del quale argento, e del cui prezzo, ciascuno di quegli stessi arcivescovi pagherà un terzo; e quel bastone, poi, insieme ai sigilli e alle insegne, sarà assegnato al cancelliere della corte imperiale perché ne faccia l'uso che vuole. Ma dopo che colui al quale è toccato portare il grande sigillo, come descritto, sarà tornato dalla corte imperiale alla sua dimora, dovrà subito inviare il sigillo al suddetto cancelliere della corte imperiale. Ciò avverrà per mezzo di uno dei suoi servitori che cavalcherà un cavallo che, in base a ciò che è consono alla sua dignità e all'affetto che nutre per il cancelliere della corte, sarà tenuto a presentare a quest'ultimo.

Poi il margravio di Brandeburgo, l'arcicamerlengo, si avvicinerà a cavallo, avendo in mano bacinelle d'argento con acqua, del peso di dodici marchi d'argento, e un bell'asciugamano; e, scendendo da cavallo, presenterà l'acqua al signore imperatore o al re dei Romani per lavarsi le mani.

Il conte palatino del Reno entrerà a sua volta a cavallo, con in mano quattro piatti d'argento pieni di cibo, ognuno dei quali avrà un valore di tre marchi; scendendo da cavallo, li porterà e li metterà sulla tavola davanti all'imperatore o al re.

Dopo di ciò, sempre a cavallo, verrà il re di Boemia, l'arci-coppiere, con in mano una coppa o calice d'argento del peso di dodici marchi, coperto, riempito con una mistura di vino e acqua; e, scendendo da cavallo, offrirà quella coppa all'imperatore o al re dei Romani perché ne beva.

Inoltre, poiché ci risulta che sia stato finora osservato, decretiamo che, dopo che i principi elettori secolari avranno svolto le loro funzioni, il sottocamerlengo di Falkenstein riceverà per sé il cavallo e i bacini del margravio di Brandeburgo; lui di Northemburg, maestro di cucina, il cavallo e le stoviglie del conte palatino; lui di Limburg, il vice-cameriere, il cavallo e la coppa del re di Boemia; lui di Pappenhelm, il vice-sceriffo, il cavallo, il bastone e la suddetta misura del duca di Sassonia. Cioè, se questi sono presenti a tale corte imperiale o reale, e se ciascuno di loro esercita la propria funzione. Ma se essi, o qualcuno di loro, si assentasse dalla suddetta corte, allora coloro che quotidianamente prestano servizio presso la corte imperiale o reale godranno, al posto degli assenti, ciascuno, cioè, al posto di quell'assente con il quale ha in comune il nome e la carica, dei frutti relativi alle suddette funzioni, in quanto ne esercitano i doveri.


28.

Inoltre, la tavola imperiale o reale deve essere disposta in modo da essere elevata di sei piedi rispetto alle altre tavole della sala. E ad essa, nel giorno di un'udienza solenne, non siederà nessuno, se non l'imperatore o il re dei Romani.

Ma il seggio e la tavola dell'imperatrice o della regina saranno preparati da un lato della sala, in modo che quella tavola sia tre piedi più bassa della tavola imperiale o reale, e altrettanti più alta dei seggi dei principi elettori; i quali principi avranno i loro seggi e le loro tavole a una stessa altezza tra loro.

All'interno della sede imperiale si prepareranno tavoli per i sette principi elettori, ecclesiastici e secolari, tre a destra e altri tre a sinistra, e il settimo direttamente di fronte al volto dell'imperatore o del re, come è stato più chiaramente definito nel capitolo relativo ai posti e alle precedenze dei principi elettori; in modo tale che nessun altro, di qualsiasi dignità o rango, sieda tra loro o alla loro tavola.

Inoltre, non sarà consentito a nessuno dei suddetti principi elettori secolari, una volta adempiuto il dovere del proprio ufficio, di sedersi alla tavola preparata per lui finché uno dei suoi colleghi principi elettori deve ancora adempiere al proprio ufficio. Ma quando uno o più di essi avranno terminato il loro ministero, passeranno alle tavole preparate per loro e, stando davanti ad esse, aspetteranno che gli altri abbiano adempiuto ai suddetti doveri; e poi, finalmente, si metteranno tutti insieme davanti alle tavole preparate per loro.


29.

Inoltre, dai resoconti e dalle tradizioni più rinomate degli antichi, risulta che da tempo immemorabile è stato costantemente osservato da coloro che ci hanno felicemente preceduto che l'elezione del re dei Romani e futuro imperatore si tenesse nella città di Francoforte, e la prima incoronazione ad Aix, e che la sua prima corte imperiale fosse celebrata nella città di Norimberga. Pertanto, su basi certe, dichiariamo che le suddette consuetudini dovranno essere osservate anche in futuro, a meno che un legittimo impedimento non si frapponga a esse o a qualcuna di esse. Quando, inoltre, un principe elettore, ecclesiastico o secolare, trattenuto da un giusto impedimento e non in grado di presentarsi alla corte imperiale, invierà un inviato o un procuratore, di qualsiasi dignità o rango, quell'inviato, anche se, secondo il mandato conferitogli dal suo padrone, dovrebbe essere ammesso al posto di colui che lo invia, non potrà tuttavia sedersi alla tavola o al posto destinato a colui che lo ha inviato.

Inoltre, quando saranno state risolte le questioni che in quel momento dovevano essere trattate in un tribunale imperiale o reale, il maestro del tribunale riceverà per sé l'intera struttura o l'apparato ligneo della sede imperiale o reale, dove l'imperatore o il mentitore dei Romani si era seduto con i principi elettori per tenere il suo tribunale solenne o, come si è detto, per conferire i feudi ai principi.
30. Riguardo ai diritti dei funzionari quando i principi ricevono i loro feudi dall'imperatore o dal re dei Romani.

Con questo editto imperiale stabiliamo che i principi elettori, ecclesiastici e secolari, quando ricevono i loro feudi o le loro regalie dall'imperatore o dal re, non siano assolutamente tenuti a dare o a pagare nulla a nessuno. Infatti, il denaro che viene versato con questo pretesto è dovuto ai funzionari; ma poiché i principi elettori stessi sono a capo di tutti gli uffici della corte imperiale, avendo anche i loro sostituti in tali uffici, forniti per questo dai principi romani e retribuiti, sembrerebbe assurdo che i funzionari sostitutivi, con un pretesto qualsiasi, chiedano regali ai loro superiori; a meno che, per caso, quegli stessi principi elettori, liberamente e di propria volontà, non diano loro qualcosa.

D'altra parte, gli altri principi dell'impero, ecclesiastici o secolari, quando, nel modo suddetto, qualcuno di loro riceve i suoi feudi dall'imperatore o dal re dei Romani, devono dare agli ufficiali della corte imperiale o reale 63 marchi d'argento e un quarto, a meno che qualcuno di loro non si protegga con un privilegio o una concessione imperiale o reale e non dimostri di aver pagato o di essere esente da tali pagamenti, o anche da qualsiasi altro, che di solito si fanno quando si ricevono tali feudi. Inoltre, il maestro della corte imperiale o reale dovrà dividere i 631 marchi nel modo seguente: riservando prima di tutto 10 marchi per sé, darà al cancelliere della corte imperiale o reale 10 marchi; ai maestri, ai notai, ai copisti, 3 marchi; e al sigillatore, per la cera e la pergamena, un quarto. Questo con l'intesa che il cancelliere e i notai non saranno tenuti a fare di più che dare al principe che riceve il feudo una testimonianza che attesti che lo ha ricevuto, o una semplice carta di investitura.


Allo stesso modo, dal suddetto denaro, il maestro di corte darà al coppiere, lui di I`imburg, 10 marchi; al maestro di cucina, lui di Northemburg, 10 marchi; al vicemaresciallo, lui di Pappenheim, 10 marchi; e al ciambellano, lui di Falkenstein, 10 marchi: a condizione, però, che essi e ciascuno di loro siano presenti e svolgano i loro uffici in corti solenni di questo tipo. Ma se essi o qualcuno di loro fosse stato assente, gli ufficiali della corte imperiale o reale che svolgono queste stesse funzioni, porteranno via la ricompensa e i benefici di coloro di cui hanno compensato l'assenza, individuo per individuo, a seconda che occupino il loro posto, portino il loro nome e svolgano il loro compito.

Inoltre, quando un principe, seduto su un cavallo o su un'altra bestia, riceverà i suoi feudi dall'imperatore o dal re, quel cavallo o quella bestia, di qualsiasi tipo essi siano, spetteranno al maresciallo più alto, cioè al duca di Sassonia, se sarà presente, altrimenti a lui di Pappenheim, suo vicemaresciallo, o, in sua assenza, al maresciallo della corte imperiale o reale.
31.

Poiché la Maestà del Sacro Romano Impero deve gestire le leggi e il governo di nazioni diverse per costumi, modi di vita e lingua, si ritiene opportuno e, a giudizio di tutti i saggi, opportuno che i principi elettori, le colonne e le parti di quell'impero, siano istruiti nelle varietà dei diversi dialetti e lingue: in modo che coloro che aiutano la sublimità imperiale ad alleviare le necessità di moltissime persone e che sono costituiti per vigilare, comprendano e siano compresi dal maggior numero possibile di persone. Pertanto decretiamo che i figli, o gli eredi e i successori degli illustri principi elettori, cioè del re di Boemia, del conte palatino del Reno, del duca di Sassonia e del margravio di Brandeburgo - poiché ci si aspetta che abbiano acquisito naturalmente la lingua tedesca e che l'abbiano appresa fin dall'infanzia - siano istruiti nella grammatica delle lingue italiane e slave, a partire dal settimo anno di età. in modo che, prima del quattordicesimo anno di età, siano istruiti nelle stesse secondo la grazia concessa loro da Dio. Questo, infatti, è ritenuto non solo utile, ma anche, per le cause sopra citate, altamente necessario, dal momento che queste lingue sono molto impiegate nel servizio e per le necessità del santo impero, e in esse si discutono gli affari più ardui dell'impero. A questo proposito, stabiliamo il seguente modo di procedere da osservare: sarà lasciata la facoltà ai genitori di inviare i loro figli, se ne hanno, o i loro parenti che ritengono possano succedere nei loro principati, in luoghi in cui possano essere istruiti in tali lingue, oppure, nelle loro case, di dare loro maestri, istruttori e compagni di gioventù esperti nelle stesse, con la cui conversazione e il cui insegnamento possano diventare esperti in tali lingue. 

SOLI DEO GLORIA

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