martedì 31 ottobre 2023

PENTHOUSE: INTERVISTA FRANCIS BACON, IL PIÙ GRANDE, DOLCE, MALEDETTO

FRANCIS BACON IL PIÙ GRANDE, DOLCE, MALEDETTO

Conversazione con Francis Bacon

di Cristiano Lovatelli Ravarino

(il testo di questa intervista è stato pubblicato su "Penthouse" nell'aprile 1981: "Parla il più grande pittore del mondo").

Davanti a lui e ai suoi quadri Picasso si sentiva umile come un allievo. La sua pittura ritrae l'orrore di tutto il nostro secolo, "ma esprimere l'orrore", dice Bacon, "non vuol dire avvilirsi nella tristezza, se mai significa prepararsi alla difesa". 

Picasso lo definì "L'unico pittore vivente di fronte ai cui quadri mi sento ancora uno scolaro". I critici tendono oggi a considerarlo unanimemente, per lo meno come pittore puro, il più grande del secolo (e i mercanti pure: la quotazione media di un quadro di Bacon oggi si aggira sui duecento milioni). 

Quando alcuni anni fa il Vaticano volle sottolineare la continuità della sua presenza anche nell'arte dei nostri giorni, inaugurando a San Pietro le nuove sale d'arte moderna, Gianni Agnelli regalò a Paolo VI uno dei suoi tre Bacon. Faceva parte di una delle serie famose del pittore: il rifacimento in chiave personale dell'lnnocenzo X di Velasquez. 

Il Pontefice vi appare ingabbiato su una panca che sembra più una sedia elettrica che un trono. Il viso è sfigurato da un urlo feroce e impaurito. La faccia è una colata di carne flaccida, sul punto di esplodere. Il tutto sarebbe apparso anche agli occhi di un bambino come il simbolo di un potere sanguinario e impotente. Nonostante ciò il Papa fu ben lieto di accettare il dono.

Nato a Dublino nel 1909 e discendente in linea diretta da Francis Bacon, il filosofo che alcuni secoli fa mise le basi della moderna filosofia della scienza, il pittore crebbe lasciato a se stesso in un ambiente che sapeva essere selvaggio e raffinatissimo assieme. 

Il padre, sir Edward Anthony Mortimer Bacon, era un tipo troppo aristocratico per occuparsi della crescita dei figli e la madre, donna di straordinaria bellezza, trascorreva, forse per reazione, le giornate alla caccia alla volpe. L'unica vera compagna del pittore era la sua asma che fin da bambino lo tormentò dandogli forse da sempre la sensazione profonda dell'organismo umano come qualcosa di oscuramente estraneo e minaccioso. 

A diciassette anni venne cacciato di casa dal padre che lo aveva colto a provarsi abiti non del suo sesso, di fronte allo specchio. Da quella specie di fiaba noiosa che era stata per lui la vita nel castello familiare di Cheltenham la realtà lo tolse all'improvviso; una realtà che si presentava sotto le vesti traumatiche della Berlino del dopoguerra. 

Una città allo sfascio il cui grado di disintegrazione avanzato ci viene ricordato da tutta una letteratura. "Ero ancora quasi un bambino", ricorda il pittore, "e mi ritrovai in una città dove non c'è abitante che non ti sembrasse capace di accoltellarti per pochi spiccioli alla prima occasione. Ma", aggiunge, "era anche divertente. Era come se una intera popolazione si fosse denudata e nessuno usasse più alcuna perifrasi per nascondere la propria rapacità o le proprie sfrenate passioni". 

Per sopravvivere il futuro pittore si barcamena come designer di mobili e arredatore di appartamenti. Poi verso gli Anni Trenta l'incontro con la pittura: sarà una folgorazione definitiva. 

Ciò nonostante le mostre che si susseguiranno sempre più prestigiose (al Museum of Modern Art di New York, alla Biennale di Venezia, alla Tate Gallery di Londra, al Grand Palais di Parigi) non riusciranno a catturarlo, a farne un personaggio ufficiale. A differenza di un altro grande della pittura inglese, Graham Sutherland, che amava circondarsi di nomi famosi e gente titolata Bacon è sempre rimasto fedele ai suoi amici d'infanzia o a sconosciuti sparsi per il mondo ma che, dopo incontri casuali, per lui contavano qualcosa. 

A una televisione americana che anni fa riuscì a fare un programma su di lui impose che l'intervista avvenisse in una osteriaccia di un sobborgo londinese e che coinvolgesse degli anziani pensionati che durante l'intervista bevevano o discutevano insieme a lui. "Non vedo perché non avrebbero dovuto avere il diritto di parlare anche loro", osservò il maestro inglese. 

Pittore dell'atrocità, dell'incubo del quotidiano, del filo sanguinario che ormai sempre più lega molti degli avvenimenti di questi giorni (e in questo senso molte delle sue pitture di vent'anni fa si sono dimostrate profetiche) a un contatto diretto Bacon si rivela una persona dalla straordinaria delicatezza e profondità psicologica.


Inavvicinabile e ironico verso il potere (non si presentò né al ricevimento che Pompidou aveva organizzato in suo onore per la sua grande mostra parigina, né al ricevimento che aveva fatto la Casa Bianca dopo l'acquisto di due suoi quadri) si dimostra invece disponibile in maniera commovente verso chiunque lo accosti in maniera non istituzionale o arrogante. Possiede persino un archivio personale dove conserva tutta la corrispondenza che riceve, anche se il mittente è uno sconosciuto; e non trascura mai di rispondere di proprio pugno a tutti gli sconosciuti che gli scrivono da ogni parte del mondo. 

Infatti, a differenza di non pochi artisti, sa essere grande non solo nei suoi quadri. L'intervista che segue è la traduzione di un colloquio informale durato molte ore avvenuto a Calderino (Bologna).

Penthouse: Lei oggi è considerato da molti il più grande pittore del secolo. Fra tante definizioni ne ha una da dare a se stesso?

Bacon: Ho l'alito pesante e temo che dovrò farmi operare di gastrite.

Penthouse: Un momento... sto parlando di autodefinizioni.

Bacon: Sto parlando di me stesso. È questa la mia autodefinizione, oggi. Un corpo come tanti altri in via di decomposizione. Nonostante le definizioni. Nonostante la gloria. Nonostante i miliardi. Tutte cose che riempiono i libri e tutt'al più un assegno. Le cedo in blocco a chi mi restituisce un grammo di salute.

Penthouse: Lei è sempre stato ossessionato dal corpo.

Bacon: Bene, la sua è un'altra definizione. Ricorda quelle che danno di me i critici. Tipo surrealismo tragico. Oppure: dipinge il dramma della vita. È come dire che respiro o che per dipingere uso pennelli. Lei mi dice che sono ossessionato dal corpo. Conosce qualcuno per caso che ne prescinda? Sono ossessionato dal corpo come è tenuto a esserlo chiunque sia sano di mente. Ci pensi, quando raggiungerà un'altra galassia l'uomo avrà lo stesso corpo di Adamo. Un corpo uguale per tutti, gli stessi occhi, la stessa bocca. Ogni tanto leggo libri di fantascienza. Mutanti, corpi multipli, ellittici. Quelle sono popolazioni. Quella è la normalità. Non l'incubo di una umanità sempre uguale.

Penthouse: Anche gli alberi sono tutti uguali... le sembra forse sbagliato?

Bacon: Non sono d'accordo. Tra un platano e una mimosa c'è una differenza creativa. Per altro la biocibernetica ci ha dimostrato che quest'ultima è fornita di un sistema nervoso differenziato che la equipara perfettamente a un essere vivente. E non mi risulta che le piante, come creature pensanti, ci abbiano mai dato fastidio.

Penthouse: Secondo lei perché in genere i poeti sono poveri e i pittori ricchi?

Bacon: Perché la pittura può arredare le case dei ricchi anche se non la capiscono, mentre la poesia può essere letta da chiunque. Chiunque può acquistare un libro di poesie e impararle a memoria ma non può fare la stessa cosa con un quadro. Quindi, anche se una poesia è sublime, essendo di tutti non vale nulla. Un quadro, anche se mediocre, rispettando il possesso può valere milioni. È assurdo ma è così.

Penthouse: Lei passa dei lunghi periodi da solo. Va per esempio al cinema? 

Bacon: In realtà quasi mai. Mi fa paura.

Penthouse: il cinema dell'orrore?

Bacon: No, il cinema. Siamo talmente dominati da una cultura delle immagini che oggi solo se una cosa è simulata ci sembra vera. A Tangeri una volta vidi per strada tre corpi schiacciati da un camion. Sembravano finti. La stessa scena vista al cinema sono sicuro che mi avrebbe terrorizzato. Come quando uno muore. Nella realtà è quasi impossibile vedere uno morire. Si va al funerale. Al cinema invece ti mostrano tutto: antecedenti, penosità del trapasso, lunghezza dell'agonia, magari con il viso in primo piano. È troppo.

Penthouse: È per questo che nei suoi quadri...

Bacon: Ho già capito. E la mia risposta è no. I miei quadri non hanno alcuna simbologia e tantomeno sono una perifrasi della crudeltà della condizione umana. Se questa sia crudele o meno, non penso dopo duemila anni ci sia bisogno dei miei quadri per scoprirlo. Semplicemente un volto frantumato è più bello di un volto disteso perché mostra anche i suoi organi interni, il sangue, i tendini. Ho sempre sostenuto che i pittori realisti non lo sono nei confronti del corpo ma solo della sua pelle.

Penthouse: Cosa fa quando non lavora?

Bacon: In genere si ha bisogno di credere che un artista che ha una produzione diciamo traumatica conduca una vita traumatica. Infatti mi hanno sempre descritto come uno che deposto il pennello si scatenava in furori demoniaci, una specie di sagoma fumante imbottita di droga che si giocava i miliardi al casinò magari con occhi stravolti, iniettati di sangue.

Penthouse: In realtà?

Bacon: In realtà cose come il gioco o la droga sono attività anzitutto faticose. E io sono pigro. Anche se può deluderla uno dei miei maggiori divertimenti è andare in un caffè possibilmente anonimo a bere qualcosa osservando la gente. Discutono, gesticolano, si appassionano senza alcuna maschera per un punto al gioco. Sono capace di stare a guardarli anche per ore. Mi sembrano straordinari.


Penthouse: Sono loro i soggetti deformi che popolano i suoi quadri?

Bacon: Anzitutto non li chiamerei deformi e poi l'arte ha sempre deformato. Un pittore apparentemente classico come Ingres ritraeva dei corpi che a osservarli attentamente sono dei controsensi anatomici. Le teste in Michelangelo sono spesso un tredicesimo rispetto al corpo: un rimpicciolimento di livello picassiano.

Penthouse: La sua è un'arte, come è stato detto, di "realismo funebre"?

Bacon: No, la mia è un'arte antiellenistica con influenze solforose. A parte gli scherzi non saprei cosa dire su questi argomenti... magari mi piacerebbe che la smettessero di considerarmi eminentemente tragico. lo non sono tragico. Mi limito semmai a fare qualche piccolo cenno sull'orrore che viviamo giorno per giorno. Ma ottengo effetti contrari.

Penthouse: In che senso?

Bacon: Nel senso che la gente guarda le mie pitture e reagisce solo con reazioni estetiche. Pregevole quell'occhio sbilenco. Raffinato quel groviglio di corpi. È incredibile... forse se avessi dipinto garofani sarebbero rimasti più scossi. Come Swift, né più né meno.

Penthouse: Può spiegarmi meglio il paragone con Swift?

Bacon: È semplice, chi ha letto i viaggi di Gulliver nell'originale sa che cosa è veramente. Uno dei libri più atroci e crudeli che siano mai stati scritti. Ne hanno fatto un libro di favole. Lo hanno rimosso, un po' come sta accadendo alle mie pitture.

Penthouse: Che peso ha avuto la sua educazione nei temi delle sue pitture?

Bacon: Ecco un'altra definizione in arrivo. Una specie di laser. Mio padre come oscura sorgente degli uomini urlanti del primo periodo... la crocifissione come patricidio... o forse matricidio, chissà. La psicanalisi in arte, lo sappiamo, ha strumenti molto duttili al punto di fare della tolleranza di due tesi opposte una prova della sua, diciamo, complessità. Un po' come la Chiesa cattolica.

Penthouse: È tutto sbagliato?

Bacon: Be', naturalmente non è che si possa prescindere da chi ci ha messo al mondo. Mi citi un artista che da qualche parte della sua opera non faccia affiorare la famiglia. Comunque è una cosa più da scrittori che da pittori. lo quando facevo gli uomini stravolti in doppiopetto del primo periodo, non pensavo certo a mio padre. Pensavo... chissà a cosa pensavo. Non me lo ricordo. Solo che mi assale una specie di... come dire?, di prurito quando incontro un critico, magari mio amico, che mi fa: "Sai, ho compilato la scheda di quel tuo quadro del '62", risolino e scompare. Mi capita la scheda fra le mani e leggo: "il colore dominante (il blu) lo è per questo motivo, il formato del quadro per quest'altro, la posizione dei personaggi è dovuta a questa e quest' altra e quest'altra causa ancora, e infine è molto chiaro perché nel personaggio di sinistra il naso è deformato e in quello di centro il piede". Questi critici. Su di me sanno tutto. Anche quello che io ho sempre ignorato.

Penthouse: Lei va spesso in Africa o in posti come Tangeri. Cosa la attrae lì?

Bacon: La mancanza di avarizia nella bellezza.

Penthouse: Avarizia?

Bacon: Sì, la maggioranza delle popolazioni sono di una bellezza straordinaria. Da quelle parti i brutti sono una eccezione, non come da noi la norma. Ma non si sentono dei padreterni per questo. Non ci fanno sopra una carriera. Ricordo che una volta in Sud Africa io e un mio amico incontrammo una negra. Il mio amico, un medico inglese, era iI tipo europeo brutto, piccolo, flaccidino, stempiato, con i ponti ai denti. Cose che non contano quando sei come lui su una cattedra universitaria ma che umiliano quando sei in posti ben più seri, come per esempio un letto. Quella negra aveva qualcosa dell'apparizione. Era come se la natura avesse voluto sforzarsi di estrarre da tutti i suoi particolari anatomici, dalle unghie dei piedi alla radice dei capelli, il massimo dello splendore. Lavava dei panni e non sembrava per nulla inacidita dal fatto che tanto fulgore non venisse raccolto da un produttore cinematografico.

Penthouse: E cosa accadde?

Bacon: Accadde una cosa che in Europa sarebbe stata semplicemente impossibile. Il mio amico si mise a piangere, non esagero, a piangere calde lacrime. Per lui tanta incredibile bellezza era il simbolo di quello che non avrebbe mai avuto, di quello che non sarebbe mai stato. Le andò vicino e cadendo carponi le disse abbracciandole le ginocchia: "La prego, non mi respinga. Sono quasi vecchio, non tornerò più da queste parti, in Inghilterra le donne mi hanno sempre trattato come un verme schifoso. Non ho mai potuto neanche toccare una persona bella. La prego...". Lei non capiva certo il suo inglese ma avvertì, istintivamente, organicamente, che l'altro era in quel momento un povero omettino sull'orlo della pazzia. Un assetato, un moribondo che chiedeva, almeno una volta, l'assoluzione. Non potrò mai scordare il sorriso di infinita comprensione e di infinita bontà con cui ricambiò il suo abbraccio. Ora immagini la stessa scena in Europa. Lei gli avrebbe mollato uno schiaffo. Avrebbe urlato istericamente che era un porco. Oppure gli avrebbe chiesto dei soldi. Oppure con lo sguardo penetrante della corruzione avrebbe scrutato in lui l'industriale potenziale. Eh sì, abbiamo perso l'arte del dare.


Penthouse: Sembra quasi la favola del Buon Samaritano in chiave erotica.

Bacon: Mi aspettavo addirittura parlasse di colonialismo in ritardo. Lei è giovane e può permettersi di fare dell'ironia ma forse quando avrà sessant'anni capirà quello che voglio dire.

Penthouse: C'è mai stata nessuna figura che l'abbia influenzata profondamente?

Bacon: Culturalmente?

Penthouse: No, nel contatto diretto.

Bacon: Non saprei, forse il filosofo Bertrand Russell, non solo per i suoi libri quanto per quel che era lui come persona.

Penthouse: Lo conobbe bene?

Bacon: Quando frequentai per alcuni mesi casa sua ero ancora un ragazzo. Ma sapevo già osservare. Forse è l'unico uomo che abbia realmente visto infrangere la legge dei vent'anni.

Penthouse: La legge dei vent'anni?

Bacon: Si, quella legge per cui è pressoché impossibile che un uomo e una donna amino realmente se hanno più di dieci anni di differenza. Ho visto ventenni amare trentenni. Non ho mai visto ventenni amare quarantenni. Non ho mai visto trentenni amare cinquantenni. Al di là del fatto che ci siano milioni di coppie che per altri motivi, magari altrettanto seri che l'amore (l'interesse, la paura di rimanere soli), rimangono assieme con una differenza di età ancora maggiore.

Penthouse: E Russell?

Bacon: Bene, posso testimoniare di aver visto alcune stupende ragazze innamorarsi follemente di lui che allora era già una persona anziana. Era piccolo, gracile. Ma aveva due occhi stupendi e un che di pulito. E soprattutto ti dava la sensazione che qualunque cosa tu gli chiedessi, da un mistero interpretativo in Hegel a come si coltiva una rapa, avesse pronta una risposta straordinaria, definitiva e semplice. In fondo era come parlare con Dio. Come uno che abbia in mano le chiavi del creato.

Penthouse: Non è un privilegio della gloria?

Bacon: Assolutamente. lo per esempio non penso di essere uno sconosciuto, né mi manca la battuta. Ma su milioni di cose non so nulla, oppure ho una opinione frettolosa e di parte. Mentre Russell dava come la sensazione di parlare da un altro mondo. Forse potrei paragonarlo ai santi. Ma dei santi non aveva né l'arroganza né l'ignoranza.

Penthouse: I santi erano arroganti e ignoranti?

Bacon: Certo, quella storia per cui uno stabilisce il filo diretto con Dio e poi tutto quello che sa fare è alzare gli occhi al cielo e tirare le orecchie al mondo. Troppo facile. Ci riuscirebbe di certo chiunque.

Penthouse: Cambiamo argomento. Pensa che tra persone deIIo stesso sesso ci possa essere la stessa passione che in un rapporto eterosessuale?

Bacon: Moralmente sarebbe doveroso, tecnicamente è più difficile.

Penthouse: In che senso tecnicamente?

Bacon: Tecniche sociali. Un rapporto non è mai a due. Vive anche della simpatia e dell'armonia che sa crearsi attorno. E siccome i pregiudizi e le ostilità verso una coppia dello stesso sesso sono ancora molto forti è più difficile, per una coppia di questo tipo, passare illesa attraverso queste tensioni.

Penthouse: Lei pensa che possano innamorarsi felicemente solo le persone giovani e belle?

Bacon: Giovani e belle e dentro pulite.

Penthouse: Eppure dicono che Picasso, fino a tarda età...

Bacon: Ma certo. Una cosa è l'amore, un'altra è avere il potere di esplicare una lunga attività sessuale, così come non essere un grande scrittore non impedisce di stilare delle ottime lettere. E nonostante le sue cento amanti, potrei raccontarle mille episodi sul come si sentisse molto solo. Sapeva che l'amore è un fiore crudele che dura pochissimo, per pochissime persone. Il che non impedisce che curare la propria solitudine con cento amanti sia piacevole.

Penthouse: Che cosa è per lei l'orrore?

Bacon: Lei apparentemente è un ragazzo in forze e felice. Però osservandola meglio ecco un inizio di borse sotto gli occhi che rivelano i primi disturbi di fegato. Cinque minuti fa ha tossito e potrebbe arrivarle una bronchite. Forse un'ora dopo l'intervista la sua macchina uscirà di strada. Oppure tornando a casa le diranno che una persona a lei cara è scomparsa. Così senza muoversi senza aver fatto nulla. È l'orrore che si muove per noi.

Penthouse: Ma lei è sempre disperato?

Bacon: Temo sia in arrivo un'altra definizione... non si tratta di disperazione. Camus ha scritto che una cosa è non avere speranze, un'altra è essere disperati. Soppesare l'orrore non significa trasudare tristezza. Semmai aumentare le difese.

Penthouse: So che conobbe Pasolini.

Bacon: Venne a trovarmi una volta.

Penthouse: Cosa pensa della sua opera?

Bacon: Conosco abbastanza il greco antico da poter giudicare Sofocle ma non abbastanza l'italiano da poter chiedere dove si trova un buon ristorante. È un problema di traduzioni. Dostoevskij diceva che il russo è una lingua talmente brutta che qualunque traduzione migliorava la sua opera. In genere però non è così. Potrei dirle qualcosa di Verga perché ho letto la straordinaria traduzione che Lawrence fece del Mastro Don Gesualdo che già pare sia un capolavoro nell'originale. Comunque non sono in grado di appurarlo. Lawrence potrebbe averlo sublimato come appesantito, chissà. Come vede siamo circondati dall'ignoto.

Penthouse: Cosa avrebbe voluto fare se non avesse fatto il pittore?

Bacon: Il tennista.

Penthouse: Il tennista?

Bacon: Sì, oggi penso sia l'attività individuale più gratificante che ci sia al mondo. Di straordinario ha questo punteggio che cambia continuamente accendendo in ognuno dei giocatori il senso del trionfo o della sconfitta. Poi il fatto, ma anche qui mi devo fidare di chi me lo ha spiegato, che i colpi nascono non dal braccio ma dall'equilibrio di tutto il corpo, quindi è come se fosse un linguaggio in cui trova voce l'intero organismo. Da qualche parte ho letto che se il primo uomo sulla Luna fosse sbarcato in contemporanea alla finale di Wimbledon non avrebbe avuto molti telespettatori. Non stenterei a crederci.

Penthouse: Lei si sente inglese o cittadino del mondo?

Bacon: Dirmi orgogliosamente inglese ha un che di militare, proclamarmi cittadino del mondo avrebbe un che di enfatico. Queste sono le domande che mandavano in delirio soprattutto i nostri nonni.

Penthouse: Delle trasformazioni dell'Inghilterra e dell'Europa in genere pensa qualcosa?

Bacon: Penso non sia cambiato molto.

Penthouse: Eppure l'Inghilterra è stata un simbolo di cambiamento.

Bacon: Come giudizio mi sembra eccessivo. Ultimamente ha avuto successo in alcune cose come la musica o certi capi di abbigliamento, tutto qua. Questo non cambia i gusti o lo stile di una nazione.

Penthouse: Ma le nuove leve giovanili...

Bacon: Anche secoli fa gli studenti delle università si ribellavano e si facevano crescere i capelli.

Penthouse: Non penserà che Inghilterra sia ancora retta da duchi e da potentati?

Bacon: Cambiano i blasoni e le formule ma non la sostanza. Le teorie sociali si illudono di poter plasmare gli uomini a un ideale di giustizia che però non risiede nel posto di lavoro o nell'estendersi dei diritti civili, che pure sono sacrosanti.

Penthouse: Si può spiegare meglio?

Bacon: Cose come il razzismo o la ferocia sociale non sono cambiate.

Penthouse: Quale razzismo?

Bacon: Il razzismo per cui lei intervista me e non un pittore sconosciuto e più bravo di me. Il razzismo per cui una donna alta non amerà mai un uomo basso, anche nella più giusta delle società. Nell' ultima lettera di Lenin...

Penthouse: Lei ha letto Lenin?

Bacon: Accuratamente. Non gli scritti che mi paiono noiosi ma le lettere, che sono formidabili. Bene, quello di cui stiamo parlando può forse essere meglio esemplificato proprio dalla sua ultima lettera, sempre che sia vera, perché a me pare quasi troppo divertente per essere vera.

Penthouse: Di che si tratta?

Bacon: Gli storici ricordano questa lettera perché Lenin vi scrisse una violentissima reprimenda contro Stalin. Uno può supporre che la scrivesse perché aveva avvertito puzza di congiura o di tradimento ideologico. Sa invece perché si arrabbiò? Perché Stalin si era comportato in "modo sgraziato". Proprio così scrisse, con "modi poco educati" durante il tè della moglie di Lenin. Ora io non voglio ridurre una rivoluzione a un aneddoto (comunque stiamo parlando dell'ultima lettera di Lenin, non di un aneddoto) ma mi sembra straordinario che l'ultima lettera che si scrissero due grandi rivoluzionari si imperniasse su un dettaglio da salotto. Come due lord inglesi.

Penthouse: Lei crede in Dio?

Bacon: Sa, chiunque abbia un minimo di buon senso e un minimo di studi... nello stesso tempo mi colpisce quello che chiamerei l'arrogante eroismo degli atei. Questo qua non esiste! Quello là è falso! Avranno anche ragione ma il nulla è una entità talmente terribile che anche gli assurdi angeli della religione cattolica sarebbero divertenti, rispetto al nulla.

Penthouse: Lei dove pensa di andare a finire dopo morto?

Bacon: Diciamo che rispetto alla polvere neanche !'inferno mi sembrerebbe poi così terribile. Se ci vado io ci andranno anche molti miei amici e suppongo che sapremmo organizzarci e in quanto alla famosa "nostalgia di Dio", be' non l'abbiamo mai conosciuto, io non ho nostalgia di chi fa il prezioso.

Penthouse: È più importante essere giusti o felici?

Bacon: Molti che si proclamano giusti hanno finito per sapere fare solo i massacratori di popoli. Una specialità dei cosiddetti grandi della storia. Direi che la felicità è un obiettivo assai meno pericoloso.

Penthouse: Ha qualche rimpianto?

Bacon: Tutti.

Penthouse: Come, tutti?

Bacon: Tutti nel senso di tutti. Avrei voluto essere una persona in grado di amare passionalmente tutti gli esseri umani, e che tutti mi attraessero. Avrei voluto capire il linguaggio degli animali e che con ognuno di loro fosse stato possibile avere un rapporto paragonabile a quello con un essere umano. Avrei voluto che gli alberi non avessero un carattere così chiuso e fossero in grado di giocare con me, magari a tennis. Avrei voluto essere un animale meno goffo e sapere per lo meno volare e fare deiù viaggetti, quando mi andava, almeno in altri cinque universi. Avrei voluto conoscere Michelangelo mentre dipingeva la Sistina e Mozart mentre componeva il Don Giovanni. Non solo, ma di tutti e due avrei voluto essere il miglior amico e che loro proclamassero di aver compiuto insieme a me la loro opera migliore. E questo è solo l'inizio dei miei infiniti rimpianti. Quelli, in fondo, di un uomo qualunque. Ogni tanto qualcuno mi viene a dire che sono il più grande pittore del secolo. Se sia vero non so. In ogni caso per me non è una consolazione.

(Vedi anche: Personaggi scomparsi nelle biografie di Francis Bacon: Jacob Rothschild e Cristiano Lovatelli)




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