Due novelle di Argeo Basevi Magi
«2054: CHE COS’ERA UNA MATITA?»
Come tutte le mattine dalla mia piccola finestra scorgo il sole all’orizzonte che illumina la giornata e distende i suoi raggi silenziosi su un mondo diventato altrettanto silenzioso, e non certo per gratitudine, ma per necessità.
I colori dell’alba sono ormai diversi; scorro le immagini olografiche proiettate nelle mia stanza e rivedo una natura ormai legata a un ricordo che sembra lontanissimo, tuttavia, di soli cinquant’anni fa.
M’immergo in questi ricordi, mentre attivo il dispensatore di profumi, che mi è stato affidato in pagamento come optional. Intanto osservo le piante all’esterno o meglio ciò che è rimasto di esse.
Chiudo gli occhi e cerco d’immaginarmi fuori dalla mia finestra cinquanta anni fa, insieme al rumore delle automobili che dilagava, all’odore subdolo e sempre più acre dell’aria, alle foglie e ai fiori che a primavera vestivano le piante, e che forse, silenziosamente, avevano già intuito la loro decadenza anticipata.
Non capisco come alcuni uccelli riescano ancora a volare; forse, anche Leonardo avrebbe avuto una certa difficoltà nel capirne il motivo, oggi nel 2054. Immagino la gente che ancora poteva camminare fuori per le strade, senza dover rimanere in casa per potersi ossigenare.
Era l’aria, allora, che entrava nelle nostre case ora siamo noi che dovremmo cercare di fornirla. Illusione e ricordo di un magico momento che l’umanità sta scontando su se stessa e sui suoi figli, senza per questo poterlo giustificare alla natura oltraggiata.
È giunta la rata da pagare dell’erogatore dell’ossigeno: la ditta che lo costruisce, unica al mondo, ha deciso di aumentare ancora il suo costo di esercizio.
Ho saputo, ma non posso riferire per motivi di prudenza, che alcune famiglie impossibilitate a pagare i costi sempre più onerosi, sono state lasciate morire senza ossigeno e i loro organi sono stati riutilizzati per espianti a gente in grado di pagarli profumatamente. Gli ospedali sono un lusso per i pochi ricchi, ma almeno lì si è sicuri di morire <sani>.
L’inquinamento atmosferico è stato finalmente risolto con la scomparsa definitiva dell’ossigeno.
Il colore dell’acqua assomiglia sempre più a quello del liquido di raffreddamento di vecchie automobili.
I detenuti e le carceri sono scomparsi, ma ora i veri detenuti siamo noi, chiusi nelle nostre stanze per poter respirare.
Gli anziani non vanno più nelle case di riposo, ma vengono sezionati per utilizzare i loro organi ed arti per altri scopi.
Le famiglie più agiate si sono costruite delle residenze spaziali in attesa che i tempi migliorino quaggiù; persino le chiese sono diventate impraticabili.
Di chi può essere stata la responsabilità? Di tutti o di nessuno. Il cibo che arriva per posta pneumatica, spesso è in cattivo stato ed è impensabile reclamare, è meglio sperare in quello che c’è.
Alcuni sono riusciti a procurarsi un poco di terriccio da tenere in casa, ma sono stati identificati dalle forze speciali, che hanno scoperto l’invio di foglietti incredibilmente scritti a mano: pare che siano stati scritti con una matita!
Che cosa è una matita, quindi? Come ha potuto sopravvivere fino ad oggi? Chi ha potuto nasconderla fino ad oggi?
Le massime autorità vigenti hanno stabilito, che sarà sospesa l’erogazione di ossigeno come punizione, a chiunque venga trovato in possesso di una matita.
Questo genere di punizione stranamente mi ricorda qualcosa di simile successo un secolo fa, ma allora erano usate delle camere appositamente attrezzate, dove rinchiudere alcune persone indesiderate.
L’umanità, o meglio il suo clone, riesce sempre a sfruttare a suo favore anche le proprie aberrazioni mentali, tanto che in fondo non è cambiato poi molto nel suo stile esistenziale, è solo cambiato la biosfera che la circonda.
Oggi non abbiamo più bisogno di camere a gas, poiché abbiamo creato una camera a gas globalizzata e direi che come risoluzione sia risultata geniale per un vero controllo gestionale dell’umanità.
Una volta si sentiva il respiro della terra, oggi non si sente più nemmeno il nostro. Una volta ci si chiedeva dove fosse un «Dio», oggi ci chiediamo dove siamo noi per Lui.
Una volta una matita serviva ad evocare tante fantasie, oggi essa è diventata un oggetto terroristico, anche più d’ogni <credo>, ideologico, politico o religioso.
Il prossimo riscatto dell’umanità, che non possiede nemmeno il ricordo di se stessa, forse, sarà affidato a una matita? Che cosa rappresentava veramente una matita, allora?
Ora so che è sera, perché il sole mantenendo le sue abitudini quotidiane sta ritirando i suoi raggi, mentre le nuvole sono sempre più rare e chi possiede clandestinamente vecchie registrazioni video, può rivivere i momenti in cui si apriva una finestra e si godeva degli odori e sapori della natura benigna, quando il rumore della pioggia sembrava scandire un ritmo ormai lontano. Che strana vita è diventata quella dell’inumanità!
DELLA VITA E DELLA MORTE
Da poco è iniziato il nuovo anno e anche questa volta riecheggiano sporadicamente dei botti residui di un capodanno appena consumato.
Una volta ancora sono in compagnia dei miei pensieri e sogno nuovamente un mondo di buon senso. Si è festeggiato l’ennesimo trionfo del superfluo.
Sto scrivendo i miei pensieri in questo tardo pomeriggio d’inverno, mentre si susseguono rumori di un aereo in volo, di un treno che va, il cinguettio insolito di un uccello e l’eco delle campane della messa vespertina.
Sposto le tendine della mia finestra, e osservo il crepuscolo che si sostituisce ancora una volta al giorno, mentre il latrare di un cagnolino si confonde con esso.
Le nuvole silenziose all’orizzonte della mia finestra si scuriscono lentamente, in un impercettibile e progressivo scolorirsi del giorno, mentre la luna presenta il suo conto luminoso per la notte.
Chi ha paura della luna? Pensava Lorca. Anche questa volta rumori e silenzio si sono ritrovati in un coro di sensazioni, dove però, è sempre il «silenzio» cosmico del tramonto che prevale su tutto e su tutti.
È straordinario come attraverso una sola finestra si possano scorgere due mondi: uno silenzioso e infinito, l’altro rumoroso e finito.
Mi «sovviene» Leopardi seduto sul suo ermo colle, da lì all’infinito e comprendo come una finestra cittadina, sebbene così lontana dalla mia campagna infantile, sia l’ultima soglia rimasta tra i miei pensieri e l’infinito.
Ora che la notte si è sostituita al giorno, le luci della città si sono fatte più incisive, è la luna che rappresenta il mio infinito e il mio «naufragar in questo mare», mentre continuo nei miei pensieri.
La luna, libera dallo sguardo delle nuvole, sembra un occhio luminoso puntato sull’universo, che forse non sa neppure di esserlo o invece sa tutto di sé e di noi, ma non ha «tempo» di pensarlo.
Se un giorno scoprissimo che l’universo è proprio dietro una piccola finestra, allora i miei pensieri potrebbero aspettare nuovamente?
Se scoprissi che anche la mia mente è posto al di là della piccola finestra, allora i miei pensieri dovrebbero stare con lei? Allora come potrei pensare senza la mia mente o sono proprio i pensieri a pensarla? Che strana vita quella dell’umanità. Condannata a esistere e non a morire! Il nostro futuro innanzitutto.
Ma se la morte rappresenta in pratica il nostro futuro allora la vita sarà il nostro passato.
La vita e la morte si ritrovano in un macabro balletto senza musica, dove il ritmo è scandito dai silenzi del nostro «tempo» cosmico, un «tempo» che non trova il «tempo» di misurarsi, ma solamente di narrarci.
Ecco, noi siamo una narrazione, una sua narrazione e non una sua misurazione. Come si potrebbero misurare la nostra mente o i nostri pensieri?
Come si potrebbe misurare la nostra vita se non possedessimo anche la morte? Perché continuiamo a chiamarla morte, invece di <non-tempo>?
Tutti i nostri pensieri non sono basati sulla vita, ma sulla morte. Il <pensiero> è un’entità senza «tempo», noi pensiamo notte e giorno, quando dormiamo e quando siamo svegli e abbiamo percezione del «tempo» proprio quando essi si misurano con la realtà e la nostra umanità, tanto da ridurre questa sensazione proprio quando essa si unisce con la nostra vita: il narrarsi.
Vita e umanità sembrano essere una coppia inscindibile, dove il «tempo» irrompe perentoriamente e determina il suo predominio.
La luna mantiene silenziosamente il suo sguardo su di noi, mentre incurante del nostro «tempo», esso blocca i nostri pensieri e li riduce alla vita.
Non credo che la nostra vita sia breve e la morte sia lunga, ma semplicemente che la vita sia una distorsione della morte e perché una distorsione temporale di essa: un sogno.
Il «tempo» può narrare la vita e non la morte? Chiedetelo alla luna e lei a sua volta interrogherà il sole, che a sua volta interrogherà una cometa, finché la domanda ritornerà sull’umanità che s’interrogherà su un «Dio» nostro narratore ossia «il senza tempo».
Sin da bambino, quando risiedevo nella casa dei miei nonni in campagna e vedevo in lontananza lo sbuffo del treno a vapore che passava vicino al paese, sognavo come tutti i bambini, di salire rapito per un lungo viaggio desiderato, proprio nelle immaginazioni di un bambino; sogno e desiderio che non avevano «tempo» e né il «tempo» di svilupparsi se non nella mia fantasia.
Per poi, da grande, scoprire che quel treno strumento dei miei sogni era diventato anche l’inconsapevole complice di un drammatico disegno disumano: la Shoah.
Dal «tempo» dei sogni ero passato al «tempo» delle <scoperte>. Continuare ad avere paura della luna o farmi svegliare dalla luce del mattino?
Dove si nascondeva la luna con la luce del mattino? Dove erano finiti i miei pensieri di bambino?
La luna che vedevo era la medesima d’oggi e quindi anche miei pensieri erano i medesimi?
Allora la luna è sempre stata lì e anche stasera dalla mia piccola finestra ha sbirciato con il suo occhio luminoso, e i miei pensieri sono ritornati alla luna di questo fanciullo, una luna silenziosa che di notte si mostrava e di giorno si nascondeva, incurante della vita o della morte della nostra umanità.
Si comprende perché facesse paura la luna. Poiché la morte era nella notte. É strano tuttavia, sto scrivendo i miei pensieri, sto narrando il mio pensiero, ma non sto pensando al «tempo», ma ho usato il «tempo» che mi rimane per il mio «futuro» fino alla morte per narrare i miei pensieri, che come la luna non hanno «tempo».
Ho usato il «tempo» del «tempo» che mi ha narrato, pertanto sono esistito nel «tempo» o sono esistiti solo i miei pensieri?
Su quell’ermo colle dove eri salito per «essere» e non per «esserci», forse là sono naufragati anche i tuoi pensieri, nel tuo infinito mare, senza acqua.
Sappiamo che c’è un «tempo» per tutte le cose, ma non sappiamo se esse sono nel «tempo».
Un giorno un raggio di luna bussò ad una conchiglia sul fondo del mare e una perla incuriosita si affacciò e si arrampicò lungo il raggio della luna: il nostro occhio luminoso puntato sull’universo, si era rispecchiato nel mare.
Lo stupore della perla fu grande, quando si accorse che la luna riflessa era in cielo. Chi poteva aver paura della luna?
Improvvisamente, un pesce inghiottì una perla nel buio profondo del mare. Passò del «tempo» e quel pesce fu catturato, e la perla si ritrovò in balia della luce: ma dove era finita la luna? Dove si nascondeva?
Si ritrovò imprigionata in un anello, lontana dal suo mare. Ogni giorno pregava di rivedere il raggio di luna che aveva illuminato la sua amata conchiglia.
La perla era divenuta ostaggio di un mondo che non era il suo, ma che sembrava di tutti. Perché la luna aveva ingannato proprio lei e, forse, tutte le perle?
Tutte le sere, la perla piangeva in silenzio nella nostalgia del suo mare, così tanto che si formò un mare di lacrime, dove però la luna non riuscì più a rispecchiarsi. Questo fu il castigo per la luna, che talvolta è stata vista piangere di nascosto.
Abbiamo paura della luna, ma forse lei non ha paura di noi. Abbiamo paura della morte, ma non sappiamo se anche lei abbia paura di noi.
Si parla di una società disumana. Umani si nasce e disumani, poi, si diventa. Si è mai visto un bambino disumano? Non credo. Un adulto, almeno, sì è visto.
Ciò che sappiamo della vita non serve alla morte, ma ciò che non sappiamo della morte ci serve per ri-nascere.
La ri-conoscenza è come una nuova nascita ed è per questo che la morte non ha «tempo», perché con essa noi torniamo a una nuova conoscenza ovvero alla ri-conoscenza. Non scorgo più la luna dalla mia piccola finestra.
Vedo sempre le luci, le automobili che si allontanano. Abbasso la tapparella sulla mia città e sui miei pensieri e torno a sognare d’essere vivo, finché una luce mi ricorderà che sono diventato invisibile a tutti, ma non al «tempo» narratore. La notte sognerò d’essere vivo.
Il mattino mi sveglierà la luce; urlerò, pregherò, chiamerò, ma nessuno mi ascolterà. Sarò diventato invisibile. Allora tornerò a sognare nella notte, insieme alla mia luna.
Nessun commento:
Posta un commento